«Grazie, Santo dei miracoli!»
Quasi non te ne accorgi, finché non te la trovi di fronte, in uno spiazzo in mezzo alla campagna. Sorge qui chissà da quanto tempo e, per anni, nessuno se n’è preso cura. È costruita in pietra, materiale che non è difficile trovare da queste parti. Sapienti mani hanno assemblato le pietre, una a una, lavorandole in un piccolo arco. La volta accoglie al suo interno, quasi a proteggerla, un’immagine collocata sullo sfondo: è quella di sant’Antonio.
Siamo tra i colli a poco più di una cinquantina di chilometri da Roma. Il paesino si chiama Pisoniano, nemmeno 800 abitanti, nella Valle del Giovenzano. Il comune si estende tra dolci declivi, disegnati da filari di vigne e olivi, a un’altezza di circa cinquecento metri. Qui è nato il signor Vittorio, 78 anni, sposato.
La sua vita si divide tra Piacenza, dove abitano alcuni dei figli, quattro maschi, e il paese nel quale ha trascorso la sua infanzia scorazzando per i prati con i coetanei. Per diciassette anni ha militato nell’Arma dei Carabinieri. «Sono stato a lungo a diretto contatto con tanti eventi negativi: drammi famigliari, storie di disagio e di violenza, ma non ho mai perso la speranza e la fiducia in Dio», racconta.
Poi è andato alla Banca d’Italia, dove ha lavorato fino alla pensione. Quando torna al paese, coltiva l’orto e produce olio. Uno dei suoi terreni costeggia la strada che porta al monte Guadagnolo dove, su una rupe sporgente del versante orientale, sorge il Santuario della Madonna delle Grazie della Mentorella, uno dei più antichi santuari mariani d’Italia e d’Europa.
Un luogo molto caro a Giovanni Paolo II che vi si recava quando ancora era studente a Roma. Poco lontano, sperduta nella campagna, si trova la cappellina in pietra dedicata a sant’Antonio. Di recente è stata ripulita, sistemata anche con una nuova pavimentazione.
«Ho anch’io una storia da raccontare sul “nostro” Santo. Premetto che, da molti anni, sono abbonato al “Messaggero” e, prima di me, lo erano anche i miei genitori, ora scomparsi», esordisce Vittorio. «La mia devozione a sant’Antonio è cominciata quand’ero ragazzo. A instillarmela è stata mia madre, nata proprio il 13 giugno. Nel paese dove sono cresciuto, poi, esiste una confraternita denominata “Fratelli di sant’Antonio”. Si riunisce due volte al mese, la domenica dopo la Messa, raccogliendosi in preghiera davanti a una piccola cappella dedicata al Santo».
«Nei dintorni – prosegue Vittorio – esistono altre due cappelline che noi chiamiamo “cone”. Davanti a una di queste passavo da ragazzo almeno due volte al giorno per andare e tornare dalla campagna. Tutte le volte mi facevo il segno della croce per devozione».
Una fiducia nei confronti di sant’Antonio divenuta ancora più forte e profonda dopo un fatto, accaduto ormai tanti anni fa, che l’ex carabiniere ricorda con nitidezza come se gli fosse capitato in tempi recenti. «Avevo 24 anni ed ero appena entrato nell’Arma – comincia a raccontare Vittorio –. Ci sono rimasto per diciassette anni, spostandomi in varie città italiane. Ero comandante di stazione. Nel periodo in cui è avvenuto il fatto, mi trovavo a Roma, nel rione Monte Sacro.
Un giorno, alla guida della jeep di comando, mentre percorrevo un viale in discesa, mi azzardai a sorpassare un camion che mi precedeva. Una manovra davvero incosciente e spericolata. Tanto che, per compierla, dovetti accelerare al massimo. Mentre ero in pieno sorpasso, una donna anziana, partendo dal marciapiede sulla mia sinistra, cominciò ad attraversare la strada.
Terrorizzato, mi resi subito conto che non avrei potuto evitarla, perché sulla destra avevo il camion e sulla sinistra il marciapiede: non avevo, insomma, lo spazio sufficiente per arrestare il mezzo. In un frangente così drammatico, che poteva decidere di tutta la mia vita, mi apparve all’improvviso, proprio di fronte, immerso nell’aria, sant’Antonio.
L’immagine, che ricordo bene, era la classica raffigurazione del Santo con il libro e Gesù bambino in braccio. Subito dopo, in maniera inspiegabile o forse con le spiegazioni che solo i miracoli possono tessere, la jeep, senza che io lo volessi o effettuassi manovre precise o particolari sterzate, cominciò a fare rapidi sbandamenti sulla destra e sulla sinistra.
Giunta all’altezza della donna, che nel frattempo era arrivata al centro della carreggiata, l’auto sbandò improvvisamente e per pochi secondi sulla sinistra, riuscendo così a evitarla. L’anziana, che si trovava tra me e il camion lanciati a forte velocità, e nonostante lo spazio esiguo (pochi centimetri) che io ho sempre ritenuto insufficiente, si è miracolosamente salvata.
Com’è potuto accadere? Se si volesse dare una spiegazione logica e razionale, sarebbe davvero difficile trovarne una. Aggiungo che non sono un razionalista, ma cerco di usare sempre l’intelligenza che il Signore mi ha donato. E spesso sono giunto alla conclusione che siamo circondati dal mistero: Dio, gli angeli e i santi sono presenti, sono vicini a noi, anche se non li vediamo.
Quindi non c’è da stupirsi di fronte ai “miracoli” che accadono. Credo che di molte azioni miracolose di cui siamo beneficiari, non esistano manifesti. Il fatto inspiegabile, quando arriva, non urla. Anzi. Lo fa con discrezione, semplicità, nel silenzio. Non sempre ce ne accorgiamo, ma sono convinto che un giorno capiremo: accadrà quando andremo in Cielo».
«Dopo la pensione – conclude Vittorio –, quando sono tornato ad abitare, per almeno otto-nove mesi l’anno, al paese, mi sono attivato per restaurare la cappellina del Santo che era malridotta. I membri della Confraternita mi hanno così invitato a entrare a far parte dei “Fratelli di sant’Antonio”.
Oggi sono uno dei trentuno (numero fisso stabilito dallo Statuto). Poiché ritengo che, come diceva santa Teresa della Croce, nulla avvenga per caso, sono convinto che sant’Antonio continui a guidare tanti degli eventi della mia vita e di quella di tante altre persone. Per questo voglio dire “grazie” al nostro Santo dei miracoli!».