Un ospedale per l’Amazzonia
Di Ecuador in Italia si sente parlare davvero poco: periferia del mondo, arriva in coda alla cronaca appena appena se, come accaduto in aprile, interviene un devastante terremoto (7,8 gradi Richter). Ma bastano già poche settimane per scordarsi delle 660 vittime e dei 29 mila sfollati, rimuovendo il problema, se non le macerie.
Nel Paese sudamericano Caritas Antoniana è molto attiva, e non solo nell’emergenza, bensì prima, durante e dopo. Così non stupisce lo stanziamento speciale che il consiglio direttivo in giugno ha approvato per ricostruire un asilo nido a Jama, sulla costa pacifica. Delle evoluzioni dei lavori vi terremo aggiornati; in questa prima fase si stanno sgombrando i detriti della precedente costruzione, completamente collassata.
Non ha invece subìto danni un’altra struttura ecuadoregna ampliata grazie alla carità della Famiglia antoniana. Siamo più all’interno rispetto all’epicentro del sisma, nel pieno della foresta amazzonica e precisamente ad Archidona. Qui, negli anni Quaranta, i missionari giuseppini del Murialdo realizzarono un ospedale, ancor oggi unico punto di riferimento sanitario per cure generiche e specialistiche per circa 120 mila persone. La struttura è gestita dal vicariato apostolico del Napo, in collaborazione con le suore dorotee di san Giovanni Farina.
Confidando nella provvidenza, l’ospedale riesce a rispondere alle esigenze mediche di tanti bisognosi, come racconta padre Walter Coronel, parroco del vicino paese di Ahuano e referente dell’ospedale: «Quasi tutti i malati che frequentano il nostro centro di salute sono di origine indigena (circa l’80 per cento) e provengono da famiglie poverissime. Questo è l’unico centro in cui sono accolti con rispetto, senza escludere nessuno per l’origine etnica o per il fatto di non poter pagare».
La doccia fredda arriva nell’estate 2015, sotto forma di lettera del ministero per la Salute, che intima ai responsabili di dotare l’ospedale di un salone per la fisioterapia, una nuova cucina e un nuovo refettorio entro il 2016, pena la chiusura della struttura. Come fare? Non mancano né lo spazio né la volontà, ma i fondi? Padre Walter bussa a molte porte, riuscendo a raccogliere una prima importante somma. Non ancora sufficiente, però.
Quindi si rivolge a sant’Antonio, alla «sua» Caritas. Il progetto è serio, il bisogno è evidente, i referenti sicuri, pure la fattibilità dei lavori appare concreta: il «sì» arriva. In quattro rate, sull’asse Padova – Archidona transitano 40 mila euro. In ottobre i lavori iniziano, anche perché incombe lo spettro della chiusura, o comunque di una salatissima multa se non verrà rispettato l’ultimatum ministeriale. Impossibile concludere il tutto entro gennaio 2016, quando comunque il cantiere è già in uno stato avanzato, e tanto basta per il momento alla burocrazia, completamente soddisfatta solo a maggio, quando fisioterapia, cucina e refettorio sono ultimati e gli indios cominciano a frequentarli, riconoscenti come solo i poveri sanno esserlo.
Scrive padre Walter a Caritas Antoniana: «Non vi dimenticheremo mai, anche i nostri ammalati ricoverati in ospedale offrono la loro preghiera per le vostre intenzioni. Per intercessione di sant’Antonio il Signore porti avanti quest’opera che ha un unico scopo: servire i più poveri, portare il sollievo di Dio. Per averci dato una mano, grazie infinite, di cuore».