2005: tra tante nubi sprazzi di speranza

Tanti i problemi irrisolti: dal terrorismo internazionale alla riforma del Consiglio di sicurezza dell'Onu, ma sono successe anche cose di cui andare fieri.
21 Novembre 2005 | di

L'anno che scorre via non porta con sé, purtroppo, i problemi che l'hanno travagliato. Anzi, questi vengono ereditati quasi intatti, cioè non risolti, dal nuovo anno. Parliamo, innanzi tutto, di terrorismo internazionale, di Iraq, dei palestinesi, di caro petrolio. A sorpresa, s'è aggiunta la più grave crisi che ha colpito l'Europa comunitaria dalla sua fondazione - con il rigetto parziale del Trattato costituzionale europeo attraverso i referendum francese e olandese - che ha creato una situazione di stallo dalla quale non ci siamo ripresi. Su due di questi argomenti, Europa e Iraq, ci siamo già  soffermati in recenti articoli (cfr. il Msa rispettivamente di ottobre e novembre).
Su altri fronti, ugualmente il 2005 non ha fatto segnare progressi. Vediamo le istituzioni internazionali, soprattutto la più importante di tutte, l'Onu. Il summit del settembre scorso non ha partorito neppure un topolino, la riforma del Consiglio di Sicurezza di cui si parla da più di un decennio non ha fatto un passo avanti, ma qui forse conviene dire che è meglio niente piuttosto che una brutta riforma quale quella, appoggiata dagli Usa, di introdurre nuovi big permanenti anziché potenze regionali a rotazione (proposta italiana). In giro per il mondo, molti scontri etnici rimangono tamponati alla meglio, col rischio, però, di riesplodere: in Asia, nello Sri Lanka, in Africa, nel Darfur, nel Congo, in Costa d'Avorio, in Europa, nel Kosovo. Micro e macro nazionalismi continuano a confrontarsi sulla testa dei propri popoli, e la comunità  internazionale appare impari al compito di debellarli, anche se senza l'Onu attuale, pur imperfetta e incerta, sarebbe ancora più arduo arginarli.
Il terrorismo di matrice fondamentalista rimane il nemico pubblico numero uno di questo inizio di secolo. Come ci ricordano gli attentati di Londra e di Bali, e tuttavia va affrontato non soltanto manu militari , ma con un miglior coordinamento fra i Paesi democratici e quelli islamici moderati, con un più profondo dialogo di civiltà . I disperati che si affollano alle frontiere dell'Europa, siano esse le coste della Spagna o quelle italiane, ci rimandano alle ineguaglianze fra Nord e Sud del mondo, al dramma dell'«Africa dimenticata», quasi esclusa dalla «storia che conta». Ma, a questo proposito, il 2005 ci ha riservato anche qualche spiraglio di «buone notizie», di avvenimenti positivi.
Dopo tanto parlare - e nulla fare - di cancellazione dei debiti dei Paesi più poveri del mondo (quasi tutti concentrati in Africa) tanto che l'opinione pubblica poteva credere che il problema fosse già  risolto, finalmente sul finire dell'estate scorsa il G8 di Londra ha deciso di ripagare i debiti dei diciotto Paesi più poveri presso gli organismi di finanziamento internazionali, in modo che possano in futuro continuare ad essere aiutati.

Esempi di cui andare fieri
Il «giro del mondo» 2005 ci mostra anche esempi di cui andar fieri. Al centro dell'«Africa nera», nella regione dei grandi laghi, in Burundi, elezioni irreprensibili hanno portato alla presidenza Pierre Nkurunziza, rappresentante della maggioranza hutu ed ex capo di una guerriglia durata dodici anni, che si è riconciliato con la minoranza tutsi , che in passato deteneva il potere. Al pacifico passaggio di consegne ha contribuito anche la mediazione silenziosa ma efficace della Comunità  di Sant'Egidio. In Indonesia sono iniziati i colloqui tra il governo centrale e i rappresentanti della provincia di Aceh, ricca di petrolio, per concedere alla regione l'autonomia ed evitare il pericoloso diffondersi di una guerriglia tentata dal fondamentalismo musulmano.
In Egitto per la prima volta il presidente Hosni Mubarak è stato riconfermato con elezioni dirette. Elezioni non impeccabili, ma è già  un primo passo. Politologhi di gran fama, come il tedesco-britannico Ralf Dahrendorf, e l'arabo-americano Fareed Zakaria , sostengono che il passo fondamentale, nei Paesi arabi che vengono da dittature o da regimi autoritari, è lo stato di diritto e che «la libertà , più che nell'urna elettorale, la si ritrova nell'aula di giustizia».
Questo «passaggio» ci introduce agli eventi chiaroscurali. In Libano, la partenza dei «protettori siriani» ha aperto la via a elezioni libere da pressioni dirette, ma non a una vera normalizzazione della vita pubblica (continuano gli attentati contro gli anti-siriani) e al disarmo delle milizie degli hezbollah .
In Afghanistan si sono svolte laboriose elezioni politiche, non prive di presenze inquietanti, ma certamente in una situazione molto migliore di quella dell'Iraq. Gli israeliani hanno sgomberato le loro colonie dalla striscia palestinese di Gaza, ma occorre chiarire se si tratta di un primo, coraggioso passo sulla via del riconoscimento di uno stato palestinese vitale o se il premier Ariel Sharon vuole invece imporre la sua visione del futuro della regione. Tutti nodi, questi ultimi, che il prossimo anno potrà  chiarire o, al contrario, aggrovigliare.

In Palestina a gennaio si vota
In gennaio ci saranno le elezioni politiche nei territori palestinesi, test molto importante per vedere se prevarranno i moderati di al Fatah, fautori del dialogo, o gli estremisti fondamentalisti di Hamas. Il continente dove si voterà  di più sarà  l'America Latina, con elezioni presidenziali dal Messico sino al Cile, passando per Colombia, Perù e Brasile. Rischia di non essere rieletto Lula, il presidente-operaio del Brasile, personalmente integerrimo, ma colpito dagli scandali che hanno coinvolto i suoi collaboratori, di corruzione degli oppositori, fenomeno assai comune in Brasile, ma di cui Lula si era fatto fustigatore. Più vicino a noi, si voterà  in Ucraina, dove la «rivoluzione arancione» sta cercando un difficile equilibrio geopolitico tra l'Unione europea, da cui si sente attratta, e il confinante gigante russo.
Abbiamo detto che i grandi problemi restano intatti, e quasi sicuramente neppure l'anno che viene riuscirà  a risolverli. Speriamo riesca almeno a «contenerli», se possibile a dipanarli. Il terrorismo e l'Iraq, profondamente intrecciati. Il caro petrolio, anch'esso politicamente connesso. Sempre in Medio Oriente, l'aspirazione dei palestinesi al loro stato. La non proliferazione nucleare, che riguarda Paesi come l'Iran e la Corea del Nord. Per l'Iran sarà  indispensabile l'azione politica degli europei, per evitare il minacciato attacco aereo statunitense, e dell'Aifa, l'Agenzia internazionale insignita del Premio Nobel per la pace, incaricata di controllare che il programma di centrali iraniane non venga sfruttato dal governo per crearsi una propria bomba atomica.
Ma anche le grandi potenze devono dare l'esempio, proseguendo sul cammino della progressiva distruzione dei loro arsenali atomici, di cui invece, da tempo, non si parla più.
Chiudiamo con una speranza, questa sì possibile: che nel 2006 il progetto-Europa con i mutamenti necessari, riprenda il cammino. 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017