83a Adunata degli Alpini a Bergamo

Migliaia di «veci» e «bocia» da tutto il mondo per celebrare la festa scarpona, per ribadire l'amore verso la patria, l'impegno a favore della solidarietà e della pace. Con un omaggio al loro beato, don Carlo Gnocchi.
22 Giugno 2010 | di
Bergamo
L’eliminazione del servizio militare di leva obbligatorio, a favore del volontariato, la riduzione degli organici dell’Esercito, e di conseguenza delle Truppe Alpine, stanno concorrendo al calo degli iscritti all’ANA, l’Associazione Nazionale Alpini. Un calo che ancora non ha assunto caratteri pesanti, ma che in un futuro non lontano farà certamente sentire i suoi effetti.
Teniamoci allora al presente, volendo parlare di quella straordinaria realtà che è l’ANA. Non una semplice Associazione d’Arma, che mantiene viva la memoria e la storia, bensì qualcosa di più e di diverso. Perché il sodalizio delle Penne Nere, articolato in 81 sezioni in patria e in 31 all’estero, con rispettivamente, 306.477 (più gli «aggregati») e 2.468 soci (più, sempre, gli «aggregati»), è impegnatissimo sul fronte della solidarietà, non meno esteso dei fronti di guerra, andando dalle regioni italiane all’Europa, all’Africa, all’Oriente e alle Americhe.
Questo per dire che lo spirito alpino è qualcosa di non facile definizione e di non facile spiegazione. Diciamo che a questi uomini che hanno portato quel cappello con la penna nera, una volta finita la naja, quel cappello se lo sono tenuto caro, dovunque i casi della vita li abbiano portati.
Ecco perché, anche sulla via dell’emigrazione, gli alpini sono rimasti alpini! Se ne erano dovuti partire dalla patria per trovare un lavoro, per guadagnarsi il pane, ma non si sono mai dimenticati di essere alpini. E all’estero si sono ritrovati, hanno costituito sezioni e gruppi, hanno mantenuto viva la memoria, l’amore per la Patria lontana, hanno manifestato solidarietà fra di loro e al prossimo bisognoso.
E ogni anno, all’adunata nazionale scarpona, le loro rappresentanze ci sono, si incontrano con i vertici dell’ANA, sfilano nella giornata finale della stupenda kermesse, la festa nazional-popolare più bella del mondo!
Non sono mancati, dunque, gli alpini dall’estero anche a Bergamo, nelle giornate dal 7 al 9 maggio scorsi in occasione dell’83a Adunata. Significativa la presenza delle tre sezioni più recenti: Colombia, Romania, Bulgaria. E da segnalare che il presidente della sezione Bulgaria è nientemeno che il nostro ambasciatore a Sofia, Stefano Benazzo.
Tanti emigranti, tante storie, ma un sentimento unico: quello di voler testimoniare un’identità mai smarrita. Fernando Caretti, classe 1926, nato a Pallanza, fisico massiccio, parole misurate ma sentite, afferma: «Siamo consapevoli delle nostre origini. Certo, i nostri figli e nipoti vivono in una terra lontana dall’Italia, e noi siamo e stiamo con loro, ma la Patria ce l’abbiamo nel cuore. Del resto, basta leggere la scritta sullo striscione che abbiamo portato alla sfilata: “Argentina. Sempre italiani. Sempre Alpini”». La sezione argentina conta tra le sue fila un personaggio mitico: monsignor Luigi Mecchia, classe 1921, da Gemona del Friuli, il quale fino a pochi anni fa era un fedelissimo delle adunate, e in tanti, anche a Bergamo, lo hanno ricordato: quel piccolo prete in clergyman, gli occhi vivissimi dietro le lenti, il passo svelto, una cordialità spontanea.
«Alla sua età – aggiunge Caretti – non ce la fa più. La mente è ancora lucidissima, però le gambe non lo reggono, e quando esce di casa deve spostarsi in carrozzina, e con qualche aiuto. Per noi è stato un cappellano generoso, di fede; per noi alpini, ma anche per gli altri italiani in emigrazione».
Il discorso riferito a queste Penne Nere dell’America Latina non può trascurare un’altra affermazione di Caretti: «Abbiamo due bandiere: una ricorda l’Italia, un’altra ringrazia l’Argentina. Noi le amiamo tutte e due!».
Alla sfilata lungo le strade del centro di Bergamo, c’erano alpini di 19 Paesi: Sud Africa e Germania, Usa e Colombia, Perù e Francia, Gran Bretagna e Uruguay, Brasile e Svizzera, Perù e Australia, e così via. La sezione della Colombia è la più giovane: è stata costituita nel 2008. La più vecchia è quella della Gran Bretagna, fondata nel 1928; mentre di quelle canadesi, la prima a essere costituita, era stata nel 1956 quella di Montréal.
Alle sfilate, le scritte sugli striscioni sono spesso evocatrici di tragedie. A Bergamo le Penne Nere del Belgio hanno ricordato: «Presenti con noi tutti gli alpini morti in miniera», e il ricordo commosso è andato alla tragedia di Marcinelle.
Altre scritte eloquenti si riferivano all’unità europea. «Le montagne non dividono ma uniscono» hanno scritto i nostri alpini di Francia. E quelli peruviani: «Dalle Ande agli Appennini non c’è distanza per gli alpini».
A proposito di Francia, il presidente della sezione, Renato Zuliani, classe 1942, da Nervesa della Battaglia, in provincia di Treviso, artigliere alpino della Taurinense prima di andare a lavorare in un’industria aeronautica alle porte di Parigi, ha confermato che ancora oggi, dopo lungo tempo, la sezione svolge quel prezioso lavoro di accoglienza e di assistenza agli italiani non abbienti costretti a ricoveri e a interventi in cliniche e ospedali della capitale francese.
Un personaggio sempre presente alle adunate nazionali è il «vecio» Ido Poloni, classe 1929, nativo di Cornuda, in provincia di Treviso, cresciuto a Marostica, nel vicentino, naja nel 1952 a Tolmezzo, nella Brigata Julia, che rappresenta un caso probabilmente unico: emigrante non per bisogno ma per amore. Andato in Scandinavia a trovare un amico, vi incontrò anche la donna del cuore. E fu matrimonio, fu emigrazione in Svezia, fu costituzione di una sezione ANA, la «Nordica», che comprende ancora 35 alpini, dalla Finlandia alla Svezia, dalla Danimarca alla Norvegia. Poloni ne è stato presidente per più di trent’anni, e alle adunate nazionali non è mai mancato.
L’appuntamento annuo con l’Italia, sia per lui, sia per tantissimi altri alpini all’estero, è pure l’occasione di ritornare al paese, o alla città, per trovare parenti e vecchi amici: con lo stesso sentimento di quando erano partiti; sentimento che si traduce e si sintetizza in due parole: cuore alpino. Quel cuore alpino che ha spinto tanti ad andare nella città vecchia per rendere omaggio al beato Carlo Gnocchi. L’urna contenente il suo corpo, conservato dopo la morte, era stata infatti esposta al pubblico nella chiesa cattedrale di Bergamo per diversi giorni, e il pellegrinaggio delle Penne Nere al «loro beato», è stato incessante.
Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017