Adolescenti, questi sconosciuti
La volta scorsa abbiamo parlato dell’adolescenza qualificandola come «età sospesa», metafora che racchiude in sé il senso più profondo del tempo studiato, quello dell’attesa: l’attimo, l’anno, gli anni in cui tutto può accadere, in cui la crisalide scompare per lasciare posto alla farfalla. Si tratta dell’evento critico centrale intorno a cui ruota la sfida evolutiva dell’essere umano alla ricerca della definizione della propria identità personale e sociale.
L’adolescente si pone una serie di domande basilari: «Chi sono?», «Dove sto andando?», «Come mi vedono gli altri?», «Qual è il mio posto nel mondo?», «Quanto valgo?». Per tentare di rispondere ha bisogno di sperimentare se stesso, di uscire da norme e da schemi consolidati, di trasgredire anche, di tentare nuovi percorsi, seppur pericolosi. Ma se il desiderio di nuove imprese è forte, altrettanto può esserlo la paura di smarrirsi, di perdersi nell’ardua ricerca di sé. In questa moratoria molte sono le condizioni, le circostanze, gli incontri che lo aiuteranno a trovare la propria strada. Questo percorso è costellato di vittorie, di arresti, di sconfitte brucianti, e sarà praticabile solo a patto che fattori di rischio e di protezione trovino un giusto equilibrio.
Spesso noi adulti non siamo in grado di cogliere questo travaglio, soprattutto perché tutto ciò si svolge in un mondo in cui stanno rapidamente mutando i modelli e i valori che per decenni hanno improntato i rapporti tra le generazioni. Allora che possiamo fare per tutelare e promuovere una transizione che reclama maggiori opportunità di partecipazione, di iniziativa, di protagonismo, ma che ha anche bisogno di supporto e di scambi con quel mondo adulto nel quale si prepara a entrare? Credo che, per prima cosa, dobbiamo cercare di capire di più l’universo in cui si muovono i nostri figli, mettendo da parte idee preconcette e inutili moralismi. Se hanno bisogni diversi dai nostri, se le loro aspirazioni per il futuro sono ben lontane da ciò che ci saremmo augurati per loro, è inutile criticare o recriminare. Vale la pena, piuttosto, mettersi al loro fianco, con l’ausilio magari dei dati e delle riflessioni che ci provengono dai molti studi del settore. Le indagini più recenti ci rimandano un’immagine di adolescente che appare lontana da quella della nostra giovinezza. Ci dicono, per esempio, che i giovani oggi sono consapevoli di quanto la vita sia diventata dura.
Il presente ha preso il posto del domani e i loro sogni sono piccoli, a dimensione individuale, privi di quella carica utopica che spesso costituiva il lievito delle generazioni precedenti. Se il ricercatore chiede loro quali sono le cose importanti nella vita, ai primi posti in quasi tutte le indagini ci sono l’amicizia, l’amore e la famiglia e, soltanto molto più in basso nella graduatoria, la scuola e il lavoro. Anzi, quest’ultimo è visto nella maggior parte dei casi non come un mezzo di realizzazione personale, ma unicamente come uno strumento necessario di sopravvivenza economica. L’impegno politico, poi, che ai nostri tempi costituiva un elemento di rilievo nella vita giovanile, è stato sostituito da una più generale aspirazione alla pace, alla solidarietà, sganciata da obblighi stabilizzati in organizzazioni e partiti. Spesso gli adulti lamentano una gioventù senza ideali. Ma siamo sicuri che sia veramente così? Forse non siamo capaci di riconoscerli questi ideali perché sono cambiati rispetto ai nostri, anche se ciò non significa che sono meno coinvolgenti. Amicizia e amore non sono forse i cardini dell’universo? Da qualche tempo nelle città si assiste a uno strano fenomeno. L’altro giorno nel mio quartiere romano campeggiava sul marciapiede una scritta: «6 (proprio così, in numero) bellissima. Ti amerò x sempre». Era un adolescente che dichiarava a gran voce il suo amore per la vita. Vi pare poco?