Agli uomini di pace
Un altro Natale è trascorso, l'anno stesso ha ceduto il posto ad un altro, l'Epifania è ancora negli occhi dei bambini, ma tra poco anche quell'immagine svanirà . Resteranno uguali, invece, le violenze che nel pieno di questa orgogliosa civiltà continuiamo a farci l'un l'altro. Il 1999, nelle indicazioni della «Tertium millennium adveniente» di Giovanni Paolo II, dovrà essere l'anno del Padre, ma si inaugura con lo spettacolo dell'aggressione e del sangue, cioè con i figli incapaci di mettersi in pace tra loro. Come se destino dell'uomo dovesse essere quello di rinnegarsi continuamente. Allora propongo, uomini di pace, di scrivere insieme questa lettera, perché ciascuno ne tragga un motivo per riflettere su ciò che, tacendolo anche a noi stessi, ci farebbe complici morali di tanto orrore.
Teniamoci ai dati, più che spendere parole. Secondo stime autorevoli, fino a qualche anno fa esisteva un arsenale nucleare di 400 mila megatoni (ogni megatone equivale a un milione di tonnellate di tritolo); con questo potenziale sarebbe stato possibile condurre una guerra di sei megatoni al giorno - cioè con la quotidiana portata distruttrice dell'intero, ultimo conflitto mondiale - per 180 anni circa.
Da allora sono molto diminuiti l'arsenale e il pericolo. Ma gli studiosi convengono che, con le quantità rimaste, un attacco di dieci mila megatoni contro gli Usa, di venti mila contro la Russia e di cinque mila contro l'Europa consentirebbe lo sterminio di ogni essere vivente in queste tre parti del mondo, riducendo il campo dell'esplosione a un cumulo di rovine che rimarrebbero radioattive per oltre un secolo. Una scrupolosa ragioneria del terrore ha calcolato che per distruggere il mondo «bianco» basterebbero 35 mila megatoni, e che ne resterebbero 365 mila per i popoli di colore.
L'armamento atomico russo-americano, dopo il primo, parziale disarmo e la successiva disintegrazione dell'impero sovietico, è ancora in grado di cancellare sette volte il mondo abitato. In totale, 50 mila megatoni di potenza esplosiva - equivalenti a sette tonnellate circa di esplosivo tradizionale - per ciascun abitante del pianeta. Eppure, lo ricorderete, proprio quando il potenziale nucleare fu al suo culmine si cominciò a parlare di «equilibrio del terrore». Braccio di ferro per non venire alle mani. In risposta alla bomba orbitale sovietica, il Pentagono dette il via al progetto di un «autobus» spaziale colmo di cariche nucleari: questi grappoli di megatoni, sospesi sulle nostre teste, ci avrebbero lasciato un margine di 180 secondi per trovare un rifugio. Una possibilità , grazie a Dio, ormai remota.
Gli arsenali, però, non hanno rinunciato ai loro «campionari»: la scoperta del meccanismo di caduta delle foglie ha consentito di creare i defolianti e gli erbicidi, lo studio sulle migrazioni degli uccelli, condotto da un gruppo di biologi, ha destato l'interesse dei militari, che ora finanziano la ricerca; si è infatti scoperto che agli uccelli migratori possono essere affidati agenti chimici e biologici da spargere invisibilmente. Valeva, dunque, la pena di spremere il cervello. Si teme che Saddam Hussein abbia tuttora tante armi chimiche quante non ne ebbe, o non ne utilizzò, l'America in Vietnam.
Negli Stati Uniti, da tre a quattromila persone sperimentano e collaudano armi chimiche nei laboratori militari di Egewar, in Maryland; centinaia di scienziati e di tecnici lavorano nel centro biologico di Fort Derrik. E questo, si dice, per tenere ancora in equilibrio la pace.In qualche depliant promozionale c'è chi vuole convincere a preferire un buon gas asfissiante all'ormai logoro lanciafiamme. Con le vecchie armi, si sa, le guerre non riescono bene. E il cliente è perduto. Ci si arma per prevenire un offesa, ma per scongiurarla ci prepariamo, a nostra volta, a offendere. Secondo una valutazione recente, la Russia avrebbe una scorta di armi biologiche tre o quattro volte superiore a quella americana. Per questo Eltsin è tenuto sotto stretto controllo dal Pentagono almeno quanto il ben più pericoloso Saddam. Lo «zar di Mosca» potrebbe distruggere una parte del suo stock, ma solo in cambio di dollari. Per rifare, ha dichiarato, la centrale di Chernobyl con criteri, stavolta, di sicurezza. Un ricatto virtuoso, insomma. Ma i dollari, a sentire gli esperti, servirebbero ad altro.
Caro uomo di pace, passare da un'area all'altra del mondo significa fare salti di secoli.
Oggi si combattono contemporaneamente tutti i tipi di guerriglia, se non anche di guerra, che l'umanità ha conosciuto negli ultimi cinquant'anni. Secondo un'affermazione del generale Baudissin, il rinnovatore dell'esercito tedesco, i conflitti minori sono «il prezzo che è necessario pagare per evitare un conflitto mondiale». Un esperto americano di cose militari, John Forrester, si è lasciato andare a un'affermazione straziante: «Va in qualche modo circoscritta l'idea secondo la quale l'uomo dev'essere il custode del proprio fratello». I Paesi membri dell'Onu, destinano alle armi gli stessi fondi assegnati, insieme, all'educazione e alla sanità . In un rapporto pubblicato dall'Istituto internazionale di Stoccolma per le ricerche sulla pace si afferma che «tutte le guerre e guerriglie scoppiate dal 1945 ad oggi, all'interno delle regioni più povere del mondo, sono state combattute con armi fornite dalle potenze mondiali». La guerra dei deboli deve evitare quella dei forti.
Che nel mondo esistano due miliardi di «messi da parte», e che ogni giorno muoiano di fame cinquantamila bambini, può interessare i mercanti d'armi solo a patto che questa violenza ne produca un altra di ritorno. Allora occorre sapere qual è il cannone più preciso, il proiettile più devastante, il missile più «intelligente». Nelle zone calde del mondo ci sono giornali specializzati che continuano a pubblicare le foto di questo o di quell'ordigno segnalandone l'assoluto primato di robustezza e di precisione. «Il carro armato Phantom distrugge l'obiettivo con uno solo dei suoi razzi», assicurano gli americani. I tedeschi reclamizzano i prodotti della Rheinmenal puntando, ovviamente, sulla tradizione: «Novant'anni di armi e di munizioni; il progresso attraverso l'esperienza». Tutto vero. I francesi, più votati al turismo, assicurano che «l'automitragliera Panhard funziona a meraviglia in ogni clima e latitudine».
Gli uffici pubblicitari hanno raccontato persino le favole.
«I bimbi vietnamiti che conobbero Chinook sanno che l'elicottero non porta soltanto la guerra, ma arriva nei villaggi con cibo, amici e caramelle. Una bambina, Fiore Celeste, che fece la conoscenza di Chinook, oggi descrive ai figli il suo arrivo festoso e ancora adesso ama la sua massa imponente e il suo rombo assordante». Quella massa e quel rombo, in realtà , sono rimasti un incubo incancellabile, per anni, nei sogni dei bambini. «L'umanità deve porre fine alla guerra o la guerra porrà fine all'umanità », disse in un messaggio rivolto all'Onu, nel '61, John Kennedy. Forse sapeva che se Hiroshima significò 100 mila morti, l'armamento nucleare statunitense era potenzialmente in grado di «produrne», da solo, 61 miliardi e 536 milioni, una decina di volte il numero degli esseri umani viventi. E l'Urss non voleva, certamente, essere da meno. Un esperto di guerre moderne, D.M. Drust, al tempo della «guerra fredda» confessò brutalmente: «Chi premerà per primo il bottone, avrà 95 probabilità su 100 di farla franca».
Ecco, un bottone: è come una metafora, ma la dice lunga sulle nostre capacità distruttive. E allora mi domando se tanta creatività non andrebbe rivolta all'amore, se cioè non dovremmo immaginare un bottone che, premuto, mette in azione il bene di tutti, la pace universale. Nel nome del Padre, che affratellandoci in Gesù ci ha fatto suoi figli adottivi. Il gesto di pace che ci scambieremo nel corso di un anno dedicato al nostro rapporto con la paternità di Dio, se verrà compiuto con questa intenzione non potrà non produrre almeno un grande e condiviso desiderio: quello di «essere per la vita». «Siamo nati per vivere, non per morire», disse papa Giovanni.
Ciò va creduto, e difeso. Contro chiunque creda e difenda il contrario. Per esempio, e mi tengo solo a questi giorni, contro chi pretende di risolvere i conflitti, e sgominare le canaglie, come Saddam, facendo pagare il conto agli innocenti; contro chi tenta di impedire, in concreto, la pace faticosamente perseguita da israeliani e palestinesi; contro chi riempie di veleno due panettoni per provocare il panico generale durante le feste di fine d'anno; contro chi specula sui curdi, sugli albanesi, sui tunisini, su tutti i derelitti che affrontano il mare, e la morte, per venire da noi con la speranza di mangiare una volta al giorno. Contro chiunque non trasformi in pace e giustizia il costo immane di una macchina militare destinata, dal principio, alla distruzione e al sangue, al dolore e alla morte.
«Con tutto quel denaro - ha dichiarato un gruppo di grandi studiosi americani dell'economia, della ricerca scientifica, della sociologia a una commissione dell'Onu - non è azzardato supporre che si sarebbe potuto debellare il cancro, vincere la fame nel mondo, riequilibrare l'ecosistema, per esempio irrigando i deserti, aumentare la vita media, garantire all'umanità una diffusa sicurezza». Ciò non è accaduto, ed è un delitto contro il genere umano. Ecco perché questa lettera la scriviamo, e la riceviamo, insieme.