Al mercato del sacro
Il «sacro» fa notizia. Sovente, infatti, l'interesse dei mezzi di comunicazione, televisione e stampa (media) è attratto da episodi, movimenti religiosi e culturali che stanno coinvolgendo un discreto numero di italiani e che, non appartenendo al campo delle religioni tradizionali, hanno dato il via a diffuse forme di soggetivismo, a una specie di religione «fai da te», insofferente di regole e dogmi. Ma come affrontano i media questi fenomeni? Con la dovuta competentenza e serietà , cercando di capirli, o come fenomeni da baraccone, tanto per vendere qualche copia in più? Sul fenomeno, il «Messaggero di sant'Antonio» (soprattutto nella persona del suo direttore, padre Giacomo Panteghini, assente per malattia) ha sollecitato l'intervento di sociologi, teologi, giornalisti, operatori della comunicazione massmediale, in un convegno, svoltosi ad Abano Terme, sul tema: «La deregulation del 'sacro' nei mass media».
L'origine del termine deregulation, deregolazione, richiama fenomeni di tipo economico e sociale, avviati negli Stati Uniti d'America negli anni Ottanta, per incentivare i mercati contro i grandi monopoli. Ciò ha provocato l'abbassamento dei prezzi, a scapito, però, della qualità . Un fenomeno simile è avvenuto nel mondo del «sacro», con la crisi che ha colpito il ruolo della Chiesa cattolica e della frequenza religiosa in Italia, e delle altre tradizonali religioni nel mondo. Si è creato, così, un vuoto che è stato occupato da altre esperienze religiose, a volte strane, che hanno solleticato la curiosità dei mezzi di comunicazione, i quali hanno intravisto nel fatto un buon «mercato» da sfruttare.
Nel suo intervento di apertura, monsignor John P. Foley, presidente del Pontificio consiglio delle comunicazioni sociali, ha raccomandato cautela e capacità di discernimento nell'approccio col variegato mondo dei movimenti religiosi; proprio per distinguere i filoni che puntano all'autenticità da quelli che, più banalmente, seguono le mode. «Chi tratta i temi religiosi, deve essere adeguatamente preparato, per poterne parlare con imparzialità cogliendone gli aspetti principali: in tempi di religiosità destrutturata e di sette, bisogna parlare di questi temi tutelando chi non ha i mezzi per difendersi da questi fenomeni». Il ritorno del «sacro» pone anche delle sfide pastorali. Secondo monsignor Alessandro Maggiolini, vescovo di Como, occorre snidare la persona, perché accetti di interrogarsi sulla possibilità di un rapporto con Dio, attraverso i segni umani e del cosmo. Oggi, si fa fatica ad ammettere che abbiamo bisogno di Dio. E in questo senso, i media non aiutano molto. Ma il ritorno del «sacro» è, talvolta, «ambiguo», come ha messo in guardia Massimo Introvigne, direttore del Centro studi sulle nuove religioni; tant'è - come egli stesso sottolinea - che a beneficiarne non sono le istituzioni religiose, bensì il «Far West» del «sacro selvaggio», del «religioso a modo mio».
Per il sociologo Sabino Acquaviva, dell'università di Padova, il «sacro» non è sparito e la spiritualità è una componente fondamentale dell'animo umano, ma «stiamo vivendo la nascita di un altra civiltà , in cui i media influiscono profondamente, e all'interno della quale è essenziale la legge del mercato». In questo clima imperante, risulta difficile comunicare attraverso i mass media un messaggio religioso importante. L'individuo, attaccato dai messaggi di una religiosità trasversale, è costretto spesso a crearsi una religione a sua misura.
Nell'editoria quotidiana, periodica e libraria non specializzata, il «sacro» è presente in misura crescente in questi anni Novanta. Ma per Enrico Finzi, presidente di Demoskopea, «la maggiore attenzione dei giornali per il 'sacro' è spesso legata a una moda effimera. Vengono rilanciati continuamente nuovi temi, per bruciarli e passare al successivo. Si finisce per dare un'immagine distorta della realtà : le sette, che riguardano circa l'1 per cento della popolazione, hanno avuto il 25 per cento delle citazioni sul totale delle notizie di argomento religioso».
Alla Tavola Rotonda, coordinata da padre Luciano Segafreddo, vicedirettore editoriale del Messaggero, hanno partecipato Alessandro D'Alatri, regista cinematografico; Andrea Piersanti, presidente dei critici radiotelevisivi e dell'Ente spettacolo; Sandro Curzi, giornalista; Italo De Sandre, sociologo; padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia e volto noto della televisione italiana.
Il giovane regista D'Alatri ha raccontato il suo rapporto con la fede, caratterizzato, fino a pochi anni fa, da un certo disinteresse. Poi, l'incontro con il Vangelo e l'idea di realizzare un film, I giardini dell'Eden, sulla vita di Gesù Cristo. «Fino a che punto il 'sacro' è compreso?», è la domanda che D'Alatri ha voluto lanciare dal tavolo dei relatori, basandosi sulla sua esperienza.
Andrea Piersanti ha sottolineato come il mezzo televisivo abbia il dovere di occuparsi di temi legati al «sacro», «perché è il pubblico stesso che li chiede. Il vero problema è la formazione degli operatori chiamati a trattare questi contenuti».
«Se sul piano religioso mi sento un agnostico - ha confessato Sandro Curzi - riconosco, però, ai cattolici dei grandi meriti. È soprattutto l'impegno sociale dei sacerdoti ad affascinarmi e sono preoccupato quando vedo che i mass media riducono la religione a un business».
«L'identità cattolica, da un punto di vista sociologico, non rimanda a un unico concetto - ha affermato Italo De Sandre - , e per questo, i comunicatori devono imparare un linguaggio comprensibile a tutti». Il pluralismo può rappresentare un punto di forza, secondo il sociologo, se diviene occasione per mettersi in discussione, spingendo alla ricerca di valori e pratiche condivise, senza dimenticare la propria identità .
Padre Raniero Cantalamessa ha chiuso la serie di interventi, ricordando che la vera comunicazione appartiene solo a Dio che sa entrare in contatto con ogni uomo nei modi giusti. «Quando si parla di Dio - ha sottolineato il religioso - ci si fa portatori di un messaggio che ha vita propria. Le parole poi, vengono da sole.
Brutta la religione in tv
A colloquio con il professor Sabino Acquaviva, sociologo.
«In una società che non accetta più la religione istituzionale, questo cambiamento è una risposta di difesa da parte di chi ha bisogno di una religiosità . Faccio un esempio. Se uno si presenta e dice di credere nell'inferno, nella Trinità o in altre realtà che caratterizzano il suo credo può avere dei problemi; se, invece, non si presenta affatto e vive interiormente la sua religione, evita quei problemi, ma risponde in qualche modo al suo bisogno di trascendenza».
Msa. Perché questa crisi delle religioni istituzionali?
Acquaviva. Sta nascendo una nuova civiltà , cioè un nuovo sistema di valori a cui la religione non scappa. Contribuiscono a questo due fattori: lo strapotere dei media, che ora riescono a penetrare l'interiorità dell'individuo e gli impediscono di esprimere alcuni concetti, e la società dei consumi. Consumare significa costruire un uomo consumatore, che ha altri valori rispetto a quelli tradizionali.
Cos'è questa religiosità ?
È desiderio di superare i propri limiti; è senso della presenza di un creatore nella natura, e insieme sensazione di felicità , di serenità e pace che dà il vivere questa presenza.
A suo parere, la Chiesa riesce a raccogliere questo bisogno di religiosità o lo vive come una sfida impossibile?
Non una sfida impossibile, per carità , certamente una sfida difficile. In una società come questa, la Chiesa si trova a combattere contro il mercato, alcune istituzioni, la società dei consumi.....
Le religioni potrebbero usare i mass media per trasmettere i propri valori e il proprio concetto di «sacro»?
Generalmente, quella che passa per i mass media è una caricatura del «sacro», in quanto l'esperienza religiosa è un fatto interiore. Se io entro in una chiesa, sono invaso da una luce diffusa, dalle note dell'organo, da un'atmosfera particolare... se io vedo la stessa realtà in uno schermo televisivo è decisamente un'altra cosa. I media non danno il senso del «sacro», anzi, a volte, danno il contrario.
Ma se dovesse consigliare un'emittente cattolica?
Per esempio, non intervisterei gli eremiti, perché tra eremiti e intervista c'è una contraddizione intrinseca; non racconterei le esperienze interiori perché raccontarle significa un po' deformarle; starei attento a trasmettere le messe perché la televisione cancella gli elementi essenziali della messa. I mezzi d'informazione non sono religiosi per struttura, natura e caratteristiche tecniche.
Come sarà la religione del terzo millennio?
Non sono un profeta, ma osservando la New Age, che chiaramente deforma e sovraccarica, ma ha elementi di divino, si vede in trasparenza qualcosa del futuro. Influirà su questa religione la sua capacità di rispondere al problema della morte. Già oggi la morte si allontana progressivamente. C'è chi sostiene che alcuni di coloro che sono vivi oggi saranno vivi tra quattro secoli perché gli interventi sul codice genetico bloccheranno l'invecchiamento. Io faccio parte della specie degli uomini che muoiono, quindi sull'uomo del futuro e sulla sua religiosità non posso supporre altro.Giulia Cananzi