Albino Luciani, cent’anni dalla nascita

Cosa ci resta di questa figura mite e grandiosa, arguta e semplice, totalmente affidata a Dio?
24 Ottobre 2012 | di

Da alcune settimane sono iniziati i festeggiamenti per il centenario della nascita di Albino Luciani (17 ottobre 1912 - 17 ottobre 2012), il patriarca di Venezia diventato Papa per trentatré giorni col nome di Giovanni Paolo I. Ancora oggi la sua vicenda attira e incuriosisce, non solo perché di lui ci sono rimasti impressi nella memoria un sorriso candido e disarmante e quel tratto di schietta umiltà che era parte del suo carattere, ma perché non è facile comprendere il mistero di una vita tutta dedita alla Chiesa che nell’ultimo tratto si è giocata sul palcoscenico del mondo per così breve periodo. In verità, nessuno più di papa Luciani era consapevole di essere stato innalzato a una carica di enorme prestigio e responsabilità. Se l’avesse saputo prima, confessa candidamente nei primi giorni concitati dopo l’elezione romana, avrebbe studiato di più applicandosi anche nello studio delle lingue. Ma le radici, che nella vita sono quel che più conta, erano solide e ben piantate, soprattutto in riferimento a due figure: mamma Bortola, che tutti in paese – Forno di Canale, ora Canale d’Agordo, Belluno – chiamavano Nina, e papà Giovanni, prima emigrante e poi operaio (con simpatie socialiste) a Murano. Il riferimento alla famiglia e alla terra d’origine saranno per Albino (il nome è voluto dal padre per ricordare un compagno di lavoro, un ragazzo bergamasco, morto nelle acciaierie della Ruhr travolto da una colata di acciaio incandescente) una costante sicura.
 
Si è parlato molto, soprattutto dopo la morte improvvisa e inaspettata, della salute precaria di papa Luciani. Di per sé già il momento della nascita, il 17 ottobre del 1912, è circondato dal pericolo. Così scrive il giornalista-biografo Luigi Bizzarri: «Il parto è molto difficile: il cordone ombelicale avvolto intorno al collo complica la nascita, il neonato è debolissimo, anche lui sembra più pronto a morire che a vivere; sembra in fin di vita, non c’è nemmeno il tempo per chiamare il prete; e così è la levatrice a battezzarlo, in tutta fretta. Questa volta, la morte è vinta e il bambino sopravvive. Così inizia il suo cammino il 263o successore dell’apostolo Pietro». Paradossalmente, quando si avvicina la nomina a vescovo della diocesi di Vittorio Veneto, sembra quasi che il motivo della poca salute giochi a suo sfavore. La pratica di Luciani giaceva da tempo negli uffici vaticani, e quando Giovanni XXIII venne a sapere che era stata bloccata a motivo della cagionevole salute del prete bellunese, superò di slancio l’ostacolo: «Se ha poca salute, vuol dire che morirà vescovo. Se è un po’ timido, ma uomo di fede, si appoggerà solo al suo Signore». A fare problema era soprattutto il cuore, costantemente sotto cura. La sera del 28 settembre 1978 papa Luciani è colto da dolori al torace, ma non vuole farsi visitare. Non passerà la notte.
 
Cosa ci resta di questa figura mite e grandiosa, arguta e semplice, totalmente affidata a Dio tanto da giungere a dire, alludendo a se stesso, che «Dio certe cose ama scriverle sulla polvere affinché, se la scrittura resta, risulti chiaro che il merito è tutto e solo di Dio»? L’insegnamento, non sempre così scontato, che l’affidarsi a Dio porta non solo a compimento le qualità umane, ma anche ben oltre, aprendo sentieri impensati. Che ognuno, per quello che è, può vivere in Dio e rivestito dei suoi doni di grazia la propria avventura di povero cristiano. Nell’Udienza del 13 settembre 1978, nella quale parlò della virtù teologale della fede, il neo Papa condivise con la folla una preghiera del tutto personale. Ecco le parole precise: «Cerchiamo di migliorare la Chiesa, diventando noi più buoni. Ciascuno di noi e tutta la Chiesa potrebbe recitare la preghiera ch’io recito: Signore, prendimi come sono, con i miei difetti, con le mie mancanze, ma fammi diventare come tu mi desideri». Una preghiera semplice, vera, che può diventare nostra. 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017