Andrea, Luis e l’indifferenza
Il sole di questa estate non sempre e non per tutti è stato una piacevole e naturale «rivincita» sul freddo e sull'umidità dei mesi invernali, una meritata occasione di riposo e di svago dopo la fatica del lavoro o dello studio nel resto dell'anno.
Penso a tantissimi anziani che assai difficilmente si concedono viaggi e vacanze e per i quali luglio e agosto sono forse i mesi peggiori. Non solo per il caldo che toglie il respiro, ma anche per i tanti disagi della città che si svuota o comunque si ferma, provocando quotidiane e concrete difficoltà , che in sé sembrano magari piccole, ma che per la persona in età avanzata possono diventare ostacoli insormontabili, accentuazione di fragilità e solitudini.
Nei mesi estivi, consuetamente, c'è un'impennata delle richieste di aiuto alle associazioni di volontari, o ai vari servizi di aiuto telefonico, da parte di anziani soli in casa, talvolta privi di cibo o rimasti senza medicine perché non trovano negozi aperti nel proprio quartiere. Non di rado, le richieste che arrivano sono però dovute più che a necessità materiali, al bisogno di comunicare con qualcuno: nella maggiore vulnerabilità tipica dell'età anziana, anche le piccole relazioni quotidiane col negoziante o col portiere, la visita dei figli o la telefonata dei nipoti diventano abitudini essenziali, che danno sicurezza e conforto. Quando l'estate esplode e la città interrompe i suoi ritmi, per qualcuno dunque aumenta il carico di fatica e di solitudine.
D'estate e di sole si può anche morire. Specie se si è anziani oppure bambini, i due estremi del viaggio della vita, così diversi ma così simili nella comune fragilità , nel medesimo bisogno di attenzione e di aiuto. È successo anche quest'anno, e un caso in particolare ha scosso l'opinione pubblica: Andrea, due anni, ucciso dal caldo a Catania, dimenticato dal padre nell'auto rimasta per ore in un parcheggio assolato. Una morte atroce, una responsabilità pesantissima per il padre, un dolore certo inconsolabile per entrambi i genitori. Le prime parole raccolte dai giornali, forse le più pietose, sono state quelle di un poliziotto, che, riferendosi al padre sconvolto, ha detto: «Ci sarà un processo, ma la condanna se l'è già data lui stesso».
Non tutti i commenti sono stati altrettanto pietosi e in punta di piedi. Ed è terribile che, di fronte alle tragedie, pur se provocate da fatale irresponsabilità , la prima reazione sia sempre quella di frugare nel dolore, di additare il colpevole, di sollecitare i dotti pareri degli «esperti», anziché fare silenzio. Almeno all'inizio, almeno per un po' . Dopo verrà il tempo di capire e di interpretare, di dissertare sugli elementi psicologici o di accertare giudiziariamente. Prima, pur nell'esigenza di informare, ci deve essere il rispetto per la morte, per i sentimenti di chi è toccato in prima persona; ci deve essere la capacità di mantenere un confine, un equilibrio, una cautela.
Poche ore dopo il fatto, alcuni cronisti già citofonavano nella casa dei genitori di Andrea, quasi stupendosi che non volessero rispondere, quasi irritandosi per dover ripiegare facendo un'intervista ai vicini. La ferrea, e talvolta cinica, logica della notizia esigeva di dare molto risalto all'accaduto, poiché, è stato scritto, il contesto della tragedia che ha colpito Andrea non è quello della marginalità , ma della buona borghesia professionale cui appartengono entrambi i genitori.
Esattamente il giorno prima, quasi allo stesso modo, era morto Luis, un bambino nomade di 18 mesi, in un campo della periferia romana, asfissiato nella roulotte surriscaldata dal sole. Nessuno o quasi l'ha saputo, la pubblica opinione non ha avuto modo di commuoversi, i cronisti non hanno assediato i genitori. Ma è facile pensare che ciò sia avvenuto non per rispetto del loro dolore, quanto perché la morte tragica di un povero non fa notizia, è nell'ordine prevedibile delle cose, un fatto scontato, quasi fosse iscritto nel destino. Così che non ci si indigna e non si viene informati, non si condivide un'emozione o un lutto e non ci si interroga sulle cause e sulle psicologie, non ci si divide tra chi sottolinea la fatalità e chi la colpevole disattenzione.
Chi vive ai margini, chi risulta escluso e viene reso povero non fa notizia, né da vivo, né da morto. In qualche modo, è la ratifica delle profonde diseguaglianze che esistono nelle società , tra i centri e le periferie. Quelle del mondo e quelle delle città . Ma, allo stesso tempo, è il meccanismo attraverso cui si produce pian piano una percezione delle povertà come dato ineluttabile.
Un fatto normale, come il sole che brucia. Eppure, come dalle scottature ci si può difendere, le povertà si possono combattere. Purché si avvertano come ingiustizie, purché si accetti di volerle vedere e di farsene scuotere purché si capisca che la mancanza di rispetto che talvolta si ha di fronte alla morte è indizio e richiamo ad avere maggiore rispetto per la vita. Per quella di tutti.