Antonio: il santo dalla parte dei vinti
Oh be', sicuramente di tante cose! Intanto, anagraficamente e perciò in maniera indubitabile, di Lisbona. O meglio da Lisbona. Nel senso che il più padovano dei santi è, in realtà , oriundo del Portogallo, dove vi è nato attorno al 1195, e dove è vissuto per più di vent'anni. Poi, a furor di popolo, di Padova, almeno per adozione. È la città che lo ha visto protagonista di indimenticabili prediche e strabilianti miracoli nei suoi anni più ruggenti, anche se ben pochi: gli ultimi tre- quattro della sua vita. Città , naturalmente, che ne conserva le spoglie mortali nella splendida basilica a lui intitolata, e ciò da solo basterebbe a definirne l'appartenenza alla città veneta.
Io aggiungerei senz'altro di Francesco d'Assisi. Nel senso che, rubato all'ordine agostiniano, è proprio aderendo al movimento spirituale del Poverello che Antonio diventerà quel grande santo che tutti conoscono. Ma poi penso che, soprattutto, è profondamente dei bambini. Quelli che per primi, la sera del 13 giugno 1231, come e da chi l'avessero saputo chi lo sa?, diedero l'annuncio della sua morte per le vie di Padova. Quelli protagonisti di tanti suoi miracoli. Quello che tiene in braccio nella più famosa delle sue raffigurazioni (va be', d'accordo che è Gesù bambino, ma pur sempre un bambino...).
Un titolo tira l'altro
E a questo punto, un titolo tira l'altro... Antonio non è di una cultura né lo troviamo sotto una sola bandiera. Dal Portogallo all'Italia, dal Sud al Nord, sul suo passaporto c'è scritto: di nazionalità umana, abitante del villaggio globale.
Non è dei dotti e dei sapienti, che pure hanno scritto e continuano a scrivere fiumi d'inchiostro su di lui e sul suo pensiero. Appena può, se ne scappa in mezzo alla gente, a cui sente di appartenere: lui è dei semplici, degli uomini e delle donne. Lui non lo trovi, infatti, dentro, è di fuori: fuori dai libri e fuori dalle aule delle università . Piuttosto presso la sua tomba, dove ognuno, con gesto devozionale che a noi fa tanto arricciare il naso, porta ansie, sofferenze, desideri e sogni. Ancor meglio lungo le strade percorse dagli uomini, un posticino in ogni pur piccola chiesa e persino in tante edicole o cappelline votive, in pianura o in montagna, in mezzo ai campi o agli incroci, in cui fa bella mostra di sé, con giglio, libro o Bambino in braccio.
Lui è di mio nonno, che nell'essenzialità pratica dei contadini e nel sesto senso di chi nella vita ha imparato soprattutto a soffrire, andava dicendo: lui è dei nostri.
È cioè dei poveri, schierato con loro contro tutti gli abusi e i soprusi, che siano i politici o gli ecclesiastici di turno. E che ciò ci sembri politicamente corretto o meno, religiosamente conveniente o no. Perché lui è fondamentalmente di Dio, unica autentica garanzia di libertà .
Non è dei vecchi, di coloro che non si aspettano più niente, che hanno smesso di sognare e di lottare, ma dei giovani. Di coloro che guardano i gigli dei campi e pensano: se il buon Dio ha cura di loro, chissà quanta ne avrà di noi!
Non è dei politicanti o dei faccendieri, tantomeno dei violenti o dei carcerieri.
Non è dei vincitori. Lui è dei vinti.