Belgio. Cuore italiano nel Limburgo
Giuseppe Comegna vive in Belgio dal 1970. Da ventotto anni fa parte del direttivo dell’Associazione abruzzese di Genk (nella provincia fiamminga del Paese), guidata oggi da Bruno Tiberio, originario di Tollo (CH).
«Nell’inverno 1978-1979 – racconta Giuseppe –, alcuni conterranei sentirono il bisogno di fondare un’associazione. Con l’aiuto di don Camillo Chiesa (un lungimirante missionario impegnato in favore dei lavoratori migranti), vennero scritti lo statuto e i primi programmi. Scopo dell’associazione era far conoscere tra loro gli emigrati abruzzesi, facendo rivivere le tradizioni regionali».
La storia di Giuseppe si divide in due capitoli. Nei primi dodici anni vive con la nonna a Tornareccio, un piccolo paese delle colline abruzzesi, famoso per l’apicoltura. «Nel 1954 mio padre – spiega – emigrò a Eisden, cittadina che si trova nella zona mineraria del Limburgo. Come tanti altri italiani, venne in Belgio per lavorare in miniera. Dopo alcuni anni lo raggiunse mia madre. Nel luglio 1970, lasciai il paese e raggiunsi i miei genitori. Frequentai prima le scuole medie italiane e poi le superiori a Mol. L’impatto con la realtà belga non fu cosi semplice, soprattutto a causa della lingua locale che, ancora oggi, reputo difficile.
Nei primi anni il rapporto con gli altri italiani, specie con i coetanei, fu freddo. I figli degli emigrati parlavano fra loro proprio il fiammingo, lingua che avevano appreso fin dalla nascita. Se non lo imparavi, venivi tagliato fuori da tutto». Seguirono anni difficili di adattamento per il giovane Giuseppe, diviso, come del resto molti suoi coetanei, tra due culture e realtà sociali. L’Associazione abruzzese del Limburgo è stata importante in questo adattamento. «Oggi siamo al trentacinquesimo anno d’attività, festeggiato a ottobre con i soci. Un appuntamento che abbiamo tralasciato solo in occasione del tragico terremoto dell’Aquila nel 2009. Dopo il sisma, infatti, insieme ad altri enti (italiani e belgi), associazioni regionali e commercianti, abbiamo organizzato una raccolta fondi. Con la somma racimolata abbiamo costruito una farmacia con annesso dispensario nel comune di Fossa (AQ)».
Per Giuseppe i legami sono fondamentali: «I miei figli, che oggi hanno più di 20 anni, hanno potuto imparare l’italiano e conoscere la cultura e la storia dell’Italia. Ciò ha permesso loro di comunicare con i nonni, cosa che non è avvenuta in altre famiglie, proprio a causa della barriera linguistica». La vita di Giuseppe è intrisa di italianità: «In casa ci sono sempre i dolci regionali e la tipica pasta all’uovo fatta a mano. Si leggono sia il “Messaggero di sant’Antonio” che “L’Eco di San Gabriele”, dedicato al patrono regionale. Io credo – conclude Giuseppe – che non bisogna sentirsi italiani solo quando la squadra azzurra diventa campione del mondo. Si deve essere orgogliosi della propria terra in qualsiasi momento».