Benedetto XVI e l'onda lunga di Wojtyla
Ci hanno provato in molti a tracciare un paragone tra Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, fin da subito, cioè dal momento in cui dalla loggia vaticana delle benedizioni è stato pronunciato di fronte al mondo quel nome ben noto, da alcuni atteso e da altri temuto: Joseph Ratzinger, che si è tramutato in Benedetto, figura e auspicio di pace.
Quando il comignolo della Cappella Sistina emette sbuffi di fumo bianco, o quasi, sono le 17,50 del 19 aprile 2005. C'è grande attesa in piazza San Pietro, verso la quale molti romani stanno accorrendo, mentre i lontani e i lontanissimi si sistemano davanti alla tv per non perdersi il «gaudium magnum». Finalmente l'annuncio, scandito e solenne, alle 18,40, e la prima elettrizzante apparizione in pubblico del neoeletto.
Già dopo i pochi minuti, nei quali il nuovo Papa si intrattiene di fronte alla piazza gremita e osannante, stretto dall'accerchiamento mediatico delle 64 postazioni televisive, improvvisando quel breve saluto che passerà alla storia come il discorso del «semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore», comincia la girandola dei commenti e delle valutazioni. «Ha vinto il tedesco», grida ripetutamente dentro il microfono una giornalista americana, che con un linguaggio da stadio semplifica per i suoi ascoltatori un evento nel quale il tocco dello Spirito, affiancando i raffinati percorsi dell'umano discernimento, ha lavorato di cesello.
Il primo Pontefice tedesco dopo più di novecento anni non viene da lontano, perché è un uomo di Curia, e nemmeno risulta essere sconosciuto a gran parte dell'opinione pubblica, a motivo del prestigioso incarico - ricoperto per quasi ventitré anni - di Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. Forse proprio per questo le prime letture, quelle in diretta dei media e quelle immediate dell'uomo di strada, sono in prevalenza di carattere comparativo. Guardano indietro, al paradigma ancora sovrastante di Giovanni Paolo II, il Papa mediatico che con il suo fascino ha soggiogato il mondo della comunicazione, il padre accogliente ed esigente che ha saputo parlare ai giovani entusiasmandoli, il pellegrino instancabile e a volte scomodo che per annunciare il Vangelo si è fatto cittadino globale, l'uomo di dialogo che ha sempre cercato di percorrere vie di riconciliazione e di pace.
L'onda lunga del pontificato di Giovanni Paolo II, a distanza di un anno, non si è ancora spenta. E se da una parte questo è avvenuto grazie all'indiscutibile forza carismatica del roccioso Papa polacco, va anche rilevato il clima di straordinaria sintonia che con l'opera e la figura del predecessore ha saputo creare papa Ratzinger.
Non siamo però di fronte a un pontificato fotocopia, tutt'altro. I discorsi del dotto professore di teologia, impastati con l'esperienza degli anni e una grande tensione spirituale, toccano il cuore e la mente, restituendo quote di dignità intellettuale al «nome cristiano». Essere cristiani è bello, si comincia a dire senza pudore, perché non si tratta di un giogo ma di un cammino di libertà . L'incontro con il «Deus Caritas» non è un additivo depauperante, ma arricchisce l'umano proprio nella sua umanità .
«Ringrazio Iddio per la presenza e l'aiuto del cardinale Ratzinger. È un amico prova-to», scriveva Wojtyla nel libro Alzatevi, andiamo! Un ringraziamento che può ben essere ripreso e amplificato: grazie, Signore, per papa Benedetto, un grande dono per tutti noi.
Ai lettori del «Messaggero di sant'Antonio», che hanno seguito con la preghiera e l'affetto il lungo e sofferto congedo di Wojtyla e il primo anno di pontificato di Benedetto XVI, sinceri auguri di una santa Pasqua, di un incontro personale e salvifico con il Risorto. Di Lui questi due grandi Papi ci danno testimonianza.