Bice e Carla Biagi. Così era papà Enzo

A cinque anni dalla morte del grande giornalista emiliano, le figlie affidano a un libro ricordi e testimonianze di vita quotidiana dagli anni ’40 fino al 2007, quando, 87enne, il loro papà si spense nel letto di una clinica milanese.
27 Novembre 2012 | di

Il vassoio con il caffè e il bricco del latte ci aspetta sopra a un tavolo. Nonostante sia piena di libri, la stanza ha l’aria ordinata. Mentre Carla Biagi – raggiante nel suo look multicolore – sprofonda sul divano, la sorella Bice mi dà il benvenuto nel loro rifugio creativo, l’appartamento milanese dove le figlie del giornalista Enzo hanno scritto a quattro mani Casa Biagi. Una storia familiare (Rizzoli). «L’idea è venuta a Carlo Brioschi e Manuela Galbiati (entrambi editor di Rizzoli, ndr), ascoltando i nostri ricordi – precisa Bice –. Io ho subito accolto la proposta, Carla all’inizio era contraria».

Ben presto, però, l’entusiasmo per il nuovo progetto ha preso il sopravvento anche sulla secondogenita di Enzo Biagi. Così «la Carla» e «la Bice» – come sono etichettate nel libro le due autrici – hanno cominciato a incontrarsi ogni pomeriggio dalle 14.30, per raccogliere i ricordi e tradurli sulla carta. «Prendevamo il caffè, poi passavamo nel mio studio – continua Bice –. Il primo giorno Carla disse: “Mi è venuto in mente questo attacco”. Secondo me era perfetto. E ogni giorno è andata avanti così». Tanto simili nell’aspetto, quanto diverse per temperamento; vissute a lungo insieme e legatissime da sempre, nel loro libro Carla e Bice raccontano origini e quotidianità di casa Biagi, partendo da un colpo di fulmine, avvenuto nel 1940. Fu infatti l’incontro bolognese tra il ventunenne Enzo, allora redattore del «Resto del Carlino», e la ventenne «maestrina» Lucia Ghetti a segnare la nascita di quello che, col tempo, diventerà un vero e proprio clan, fondato sul rigore e sul rispetto reciproco.

Msa. Cosa ha significato per voi la stesura di questo libro?
Carla. Il progetto mi spaventava; temevo che avrebbe rovinato gli oltre sessant’anni di carriera di papà. Senza contare tutti i ricordi dolorosi – specie quelli legati alla morte di nostra sorella minore Anna – che l’opera avrebbe fatto riaffiorare. Esistono però dei momenti in cui è giusto fermarsi e guardare indietro tutta la vita. Così, io e Bice ci siamo lanciate in questa avventura. Immerse nel vortice dei ricordi, talvolta sparavamo una battuta, di quelle che ora si trovano nel libro. E ridevamo. Allo stesso modo, bastava una parola per farci piangere.

Che tipo di padre era Enzo Biagi?
Carla. Un padre severo nei modi e rigoroso nella quotidianità. Guai a lasciare la porta aperta, mai interrompere un adulto. Se ti rivolgevi alla donna di servizio con un tono non dico poco educato, ma minimamente diverso dal solito, poteva venire giù la casa. Le urla di papà erano proverbiali, così come il suo profondo rispetto per il lavoro. Un valore, però, che si apprezza molto meglio da adulti. Quanto al lato dolce e premuroso di Enzo Biagi, l’abbiamo scoperto quando è rimasto vedovo. E comunque, anche allora non sono mai mancati episodi incandescenti.

Come si è evoluto il vostro rapporto con lui, una volta raggiunta l’età adulta?
Carla. Papà non si è mai intromesso nelle scelte fondamentali che, giuste o meno, io, Bice e Anna abbiamo sempre preso da sole. Nonostante questo è stato un padre generoso. Nella malattia come nel bisogno, potevi contare su di lui. Era solidale con gli amici, ma non gradiva le confidenze.

Poi sono arrivati i nipoti. Qual è stata la reazione di Enzo Biagi di fronte al nuovo ruolo di nonno?
Bice. Da quando sono nati i nipotini, ha avuto bisogno di vederli ogni sera. Anche se spesso negli orari sbagliati: all’ora del bagno o della pappa. Negli anni, li ha coccolati con incredibili regali. Come lui, anche mamma è stata un punto di riferimento per i bambini. Donna dall’intelligenza istintiva e anarchica dalla personalità fortissima, non fu però un personaggio facile da gestire.

Che ruolo ha avuto vostra madre all’interno della famiglia Biagi?
Carla. Classe 1921, mamma era una donna molto astuta e autonoma. Le decisioni importanti e pratiche erano affidate a lei. Forse più severa anche di papà, sapeva come prenderlo: in questo senso, per lui è stata una vera compagna. Non sempre le mogli in quel periodo lo erano.

Dopo quell’incontro in una sala da tè bolognese nel ’40, Enzo e Lucia rimasero sempre insieme. La loro fu davvero un’unione così forte?
Carla. Mamma diceva di aver avuto un matrimonio felice. Guardava sempre papà con l’occhio dolce. A dispetto del brutto carattere e delle birbonate di lui, della solitudine e delle tante difficoltà affrontate da lei (Enzo Biagi stesso ammise in più d’una occasione di non essere stato un marito perfetto, ndr), quello tra i nostri genitori fu un legame molto profondo.
Bice. Insieme facevano coppia fissa. E in tal senso, il loro rapporto ci escludeva un po’. Credo che il nostro essere così unite tra sorelle sia conseguenza di questa forte complicità genitoriale.

Tra tutti i personaggi che Enzo Biagi conobbe (da Michail Gorbaciov a Federico Fellini, da Giuseppe Prezzolini a don Primo Mazzolari) c’è qualcuno che il giornalista non riuscì a intervistare?
Bice. Licio Gelli (giornalista e finanziere, noto come «Mae­stro venerabile» della Loggia massonica segreta P2, ndr). Papà lo incontrò, senza però intervistarlo.

Quale rapporto legava Enzo Biagi alla Chiesa?
Bice. Egli coltivava molte amicizie tra i sacerdoti. Qualche esempio: padre Nazareno Fabretti e don Zeno Saltini, il fondatore di Nomadelfia, il quale veniva spesso a cenare nella nostra casa milanese di via Vigoni. Papà amava molto don Lorenzo Milani ed era amico del cardinale Carlo Maria Martini. Proprio quest’ultimo un giorno gli disse: «Se dovessi scegliere un laico per confessarmi, sceglierei lei». Una confidenza che lo riempì di gioia. Tra gli uomini di Chiesa cui si legò ci fu anche Ersilio Tonini: nel giorno della nomina a cardinale, insieme con la sua famiglia Tonini volle anche l’amico giornalista. Infine, col cardinale Gianfranco Ravasi, papà Enzo stabilì un rapporto particolare. Nel settembre del 2007, appena due mesi prima di morire, un pomeriggio mi telefonò e disse: «Oggi viene monsignor Ravasi, perché voglio confessarmi. Vieni anche tu?».

Nella sua lunga carriera Enzo Biagi si circondò di collaboratori come la segretaria Pierangela Bozzi, il giornalista Loris Mazzetti e il curatore di alcuni suoi programmi tv Franco Iseppi. Che legame aveva con loro?
Bice. Pur non mancando gli scontri, alla base del loro rapporto c’erano stima reciproca e un’amicizia che, negli anni, si tramutò in affetto. Ho potuto constatarlo in prima persona, lavorando con papà (nel 2007, alla trasmissione di Raitre Rotocalco Televisivo, ndr). Quanto alla mia diretta esperienza di collaboratrice, il fatto di essere sua figlia rese tutto più difficile. Oltre a dover fare sempre qualcosa in più, ero tenuta anche a occuparmi di lui.

A cinque anni dalla morte (6 novembre 2007) di quello che è ancora oggi un riferimento per il giornalismo italiano, lo spirito e l’arguzia di Biagi sembrano tutt’altro che dimenticati. Come mai?
Bice. Ci sorprende l’attenzione che nostro padre suscita ancora. Al cimitero di Pianaccio (BO), sull’Appennino tosco-emiliano (dove l’ex giornalista riposa, ndr), oggi si trova un registro su cui i visitatori – provenienti da tutta Italia – scrivono pensieri e appunti. Non ne ho le prove, ma penso che, senza quel famoso «editto bulgaro» del 2002 (quando, durante una conferenza stampa a Sofia, l’allora presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, accusò Biagi e altri giornalisti di fare un uso criminoso della televisione pubblica, ndr), papà sarebbe rimasto un bravo professionista e basta. E invece oggi è diventato una presenza indelebile del giornalismo italiano.

Cosa ricordate di quel­l’episodio denominato «editto bulgaro», culminato con l’abbandono delle scene Rai da parte di Enzo Biagi?
Bice. Ci sembrava impossibile. Papà aveva 82 anni, ne aveva passati metà a lavorare in Rai, aveva raggiunto credibilità sul piano internazionale. Eravamo certe che quella mossa si sarebbe rivelata un boomerang per Berlusconi. Dall’altro lato, l’episodio si collocò in un periodo difficile per la nostra famiglia: nel giro di un anno e mezzo papà perse la moglie e la figlia più piccola, Anna. Forse, se avesse continuato a lavorare al programma Il fatto (l’ultima puntata andò in onda su Raiuno il 31 maggio del 2002, ndr), non sarebbe caduto in depressione. Era preoccupato per la sua redazione. Non tutti furono ricollocati: chi aveva un contratto a termine restò senza lavoro.

Oggi a Enzo Biagi è intitolato un premio (promosso dall’associazione omonima di Pianaccio) che ogni anno incorona un giovane cronista di provincia. Nel 2008 la scelta è caduta su Roberto Saviano, lo scorso giugno su Giovanni Tizian. Perché è importante proseguire questa «tradizione»?
Bice. Perché sono convinta che nel mondo del giornalismo esistono ancora tanti professionisti seri. Se poi ci riferiamo alla sola Italia, non è vero che qui tutta la stampa è asservita al potere.

Giornalismo a parte, quali altre passioni coltivava Enzo Biagi?
Bice. Amava moltissimo il calcio, era tifoso del Bologna. Gli piaceva anche il pugilato. Alla Rai seguiva le partite in bassa frequenza, le preferiva senza commento. Per questo motivo le colazioni domenicali cominciavano alle 12.30. Alla partita non rinunciava. Così, quando la mamma restava sola, noi figlie, a turno, ci occupavamo di lei.

Nei suoi 87 anni di vita che rapporto ha avuto Enzo Biagi con la malattia?
Carla. Ebbe diversi problemi di salute, ciononostante non rinunciò quasi a niente.
Bice. Un totale di quattro infarti e due interventi di bypass, uno dei quali per applicare sette stent. Esperienze che lui viveva in modo tutto particolare. Mentre a noi, preoccupate per la sua salute, ripeteva spesso: «Dopo si guarisce».

Qual è l’eredità più importante che vi ha lasciato papà Enzo?
Carla. Pensando alla propria morte, ci disse: «Non vi lascerò in eredità una fortuna, ma avete un cognome che è un passaporto».
Bice. La sua professionalità, la correttezza. In oltre sessant’anni di carriera egli non ha mai ingannato nessuno. Ecco dunque il senso del termine «passaporto». Poteva essere contro chiunque, ma quando intervistava consentiva all’interlocutore di parlare. Non manipolava le parole, non ricorreva a trabocchetti, non serbava rancore.


Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017