Borse e scandali
Un`ondata di ribassi si è abbattuta, in piena estate, sui listini mondiali. Questa volta, non si è trattato solo di speculazione teleguidata. Anche l`economia reale non va bene: non siamo in recessione, ma gli incrementi sono ovunque inferiori alle previsioni. La tendenza negativa è partita dal cuore del capitalismo mondiale, gli Stati Uniti, e come sempre ` ricordate gli effetti devastanti del crollo di Wall Street nel 1929? ` si è ripercossa in Europa e nel mondo. C`è già chi parla di crisi del capitalismo mondiale. È una profezia attendibile o un esercizio di retorica ideologica, come negli anni `50 e `60 le ricorrenti analisi dei marxisti, poi puntualmente smentite dai fatti? Andiamo a verificare più in concreto cosa è avvenuto o sta avvenendo.
Tutto è cominciato con il netto rallentamento ` e la flessione dei corsi di borsa dell`economia statunitense ` alla fine del primo anno del nuovo secolo, il 2000. Si è pensato a una pausa naturale dopo un boom durato gli otto anni della presidenza Clinton, dovuto all`esplosione della new economy, delle telecomunicazioni e delle reti internet. A una crisetta che si sarebbe risolta nel giro, pronosticavano allora gli economisti, di un semestre o poco più. Per poi riprendere alla grande. È arrivato invece l`attacco terroristico dell`11 settembre 2001 alle Twin Towers di New York e, come inevitabile, i timori della politica ` con la conseguente campagna afgana ` si sono riflessi negativamente sull`economia.
Tuttavia non è questa la vera causa del tracollo: nel settembre 2001 si era velocemente ripresa nel giro di una settimana e l`economia sembrava addirittura trarre beneficio dal robusto innesto di fondi pubblici deciso dal presidente George W. Bush per rafforzare la sicurezza, sostenere alcuni settori strategici, rilanciare la crescita. Il colpo più grave è venuto dall`interno del sistema capitalistico, quando nel corso di quest`anno diverse grandi società hanno iniziato a scricchiolare e, andando a rivedere i loro conti, si è cominciato a capire che molti bilanci erano stati gonfiati ad arte e truccati. Che, insomma, dietro al grande boom degli anni 1992-2000 non c`erano soltanto le luci della new economy, una profonda rivoluzione tecnologica, ma anche le ombre e le tare di un certo capitalismo, pronto a tutto pur di gonfiare i profitti. E gli eccessi di una bolla speculativa in borsa.
I colossi che truccavano i bilanci
Prima è stata la Enron, poi è seguita la World Com, il secondo operatore statunitense delle telecomunicazioni, inquisite sul baratro del fallimento per falso in bilancio. Ormai il piccolo investitore americano, che negli anni scorsi portava in borsa la maggioranza dei suoi risparmi, prevedendo un rapido incremento, non si fida più, da quando le pagine dell`economia sui giornali si sono trasformate in tanti bollettini di scandali quotidiani.
Così la fase di riflusso è ingigantita da Wall Street, dove al Toro fisso dei momenti di crescita è succeduto un triste Orso in rapida discesa. Come hanno reagito Bush e la sua amministrazione? Il presidente, il 9 luglio, di fronte a una platea di top manager ha annunciato misure draconiane e la dura mano della legge verso i corrotti e i corruttori. Il suo discorso non ha però avuto l`impatto di quello tenuto a ground zero a New York dopo l`attacco terroristico, dove aveva chiamato la nazione a raccolta, a reagire, ottenendo un convinto consenso. Questa volta l`opinione pubblica è rimasta tiepidina, e il motivo c`è. Sembra che lo stesso Bush, quando era un giovane manager, abbia avuto un comportamento non troppo dissimile da quelli ora pubblicamente condannati. Nel 1991 vendette oltre duecentomila azioni della società petrolifera Harken pochi giorni prima di un suo tracollo in borsa. Si direbbe: bravo lui che si è tolto in tempo, guadagnandoci. Ma bisogna aggiungere che Bush era allora un dirigente di questa società e, la pratica si chiama insider trading, acquistare o vendere azioni sulla base di informazioni riservate e costituisce un grave illecito, anche penale, sia qui da noi che negli Usa. .
Se i peccatucci finanziari di Bush sono relativamente lontani nel tempo, quelli del suo vice-presidente Dick Cheney sono recentissimi, risalgono ad appena prima della sua elezione. Quando dirigeva la società Halliburton, anche questa texana e legata al petrolio, finita sotto inchiesta per aver sistematicamente gonfiato le sue entrate. E non da oggi. Ecco perché la maggioranza dell`opinione pubblica americana non ritiene affidabili Bush e il suo entourage, fatto in gran parte di uomini d`affari, sovente texani o legati a imprese texane, nell`agire con imparzialità ed energia contro i trucchi di una parte del capitalismo a stelle e strisce. Per Bush figlio si prospetta lo scenario inquietante di Bush padre, vincitore della guerra del Golfo e sconfitto da Clinton sull`economia. A novembre, le elezioni parlamentari americane potrebbero essere perse dai repubblicani per analoghi motivi.
Quando finirà ?
Quando finirà la crisi americana, che ci condiziona così fortemente? Gli ottimisti affermano che i fondamentali sono sani e che l`attuale momento è addirittura salutare, perché pulirà il mercato dagli eccessi e dalla gramigna. Hal Varian, professore a Berkeley, indica che la Silicon Valley, la zona delle new economy non lontana da San Francisco, continua a progredire a un tasso dell`8 per cento all`anno, segno di vitalità , non di decadenza. La ripresa è già alle viste. I pessimisti temono invece che gli effetti della bolla speculativa siano assai più lunghi da assorbire. Portano l`esempio del Giappone stagnante da oltre dieci anni e alcuni ritornano alla tesi dei difetti di struttura del capitalismo made in Usa.
Tenterò di esprimere, sommessamente, un mio giudizio. Una grande crisi, tipo 1929 è difficile si ripeta: ormai gli stati e le istituzioni internazionali hanno a disposizione strumenti di intervento per circoscriverla, bloccarla prima che diventi catastrofica. Quella cui stiamo assistendo è probabilmente la prima crisi del mercato globale della new economy. Un mercato che contiene però enormi potenzialità : si pensi, per fare solo un esempio, alla diffusione dei telefonini in Paesi come Cina e India con due miliardi e più di abitanti (la Cina è diventata il primo Paese come quantità di telefonia mobile). Il mercato si è rivelato, storicamente, il sistema economico più aperto e più capace di autoriformarsi, superando i momenti di crisi, come l`attuale. Il problema rimane sempre quello delle regole e dei controlli sul capitalismo, vuoi anche della lotta contro certe sue forme e tendenze. Altrimenti si corre il rischio della maledizione biblica, che agli anni delle vacche grasse succedano necessariamente gli anni delle vacche magre. Quest`autunno potrebbe tuttavia segnare il momento della ripresa. Se nuovi scandali o la politica intera nazionale (nuovi attentati o l`attacco a Saddam) non peggioreranno, invece, lo scenario economico.
Euro e dollaro: la gara continua
Il 15 luglio scorso per la prima volta da quando è una moneta circolante ` e non solo virtuale ` l`euro ha raggiunto e poi superato il dollaro. Il presidente dell`Unione europea, Romano Prodi, che aveva sempre insistito come fosse sottovalutato, gongola: Che soddisfazione! Agli occhi del mondo ormai l`euro è l`alter ego del dollaro. Il biglietto verde (il dollaro) non è più il solo ad aver sostituito l`oro come punto di riferimento di tutte le monete, ora deve fare i conti anche con la nostra moneta comune. Il sorpasso è l`effetto delle tensioni negative che percorrono l`economia statunitense.
Ci sono vantaggi e svantaggi dal sorpasso. Un vantaggio è che le materie prime ` petrolio in testa ` pagate in dollari, costano meno care e ciò avrà effetti benefici nel contenere la nostra inflazione. Un altro vantaggio è l`afflusso di capitali esteri, statunitensi compresi, verso l`euro. Lo svantaggio è che le nostre esportazioni costeranno di più, e quindi tenderanno a diminuire nel tempo. Ma fra euro e dollaro la corsa è tutt`altro che terminata e dobbiamo prepararci ad assistere, in futuro, a nuovi sorpassi ` in un senso e nell`altro `- come in una avvincente gara automobilistica.