Brasile. L’avvocato col pallino del calcio
Da Nervesa, provincia di Treviso, alle spiagge di Rio de Janeiro, o meglio agli uffici, dato che Stefano Malvestio, 30 anni, buona parte della sua giornata la passa lavorando presso lo studio degli avvocati Bjchara e Motta. Il suo compito? Dirimere questioni legali legate a calciatori, allenatori e dirigenti sportivi, sia in attività che ormai ritirati e offrire consulenze per trattative di mercato da svariati milioni di euro. Qualche esempio? Neymar, Lucas, Thiago Silva. «Ho sempre amato il calcio, ma nessun talent scout ha mai notato le mie capacità sul campo. Oppure, e forse è la vera ragione, non ero così bravo come credevo. E così ho ripiegato sulla mia seconda passione: giurisprudenza. L’ho studiata in Italia, ma solo a Madrid ho trovato un master di diritto sportivo che valesse la pena seguire. Lo spagnolo non era un problema, avevo fatto già un Erasmus anni prima». Tra i docenti c’era un avvocato brasiliano titolare di uno studio nella città carioca. «È stato lui a volermi portare in Brasile. Non potevo non accettare. Ho pensato a quanto sarebbe stato difficile trovare lavoro in Italia e a quanto sarebbe stata avvincente un’avventura in Sud America. Ho imparato il portoghese e ora sono quattro anni che vivo lì».
L’Europa però non è così lontana: «Ci torno spesso, soprattutto a Losanna, Svizzera, dove ha sede il Tribunale Arbitrale dello Sport (Tas). Quando posso trasformo il viaggio di lavoro in un’occasione per salutare famiglia e amici». Com’è la vita in Brasile? «Diversamente da quanto passa sui media internazionali, la crescita economica del Paese si è molto rallentata. Il mondiale di calcio non ha portato quello sviluppo in infrastrutture che ci si aspettava e sono stati tantissimi i casi di corruzione. Il più grande, anche se non legato al calcio, è emerso lo scorso inverno e riguarda Petrobras, il colosso del petrolio, intorno al quale è stato organizzato per anni uno dei più grandi giri di tangenti di cui si sia mai venuti a conoscenza nel Paese». I brasiliani però mantengono il sorriso: «Ed è questa la loro eccezionalità: non è importante quanto cibo abbiano in frigo, se il giorno dopo saranno costretti a perdere metà giornata imbottigliati nel traffico o se rischiano di diventare preda di qualche atto criminale: quando è sera e hanno tempo libero cercano di godersi la vita al cento per cento». Per quanto riguarda un ritorno in Patria, Stefano ha le idee chiare: «Per il momento non è nei piani. Non sono fuggito dal mio Paese, ma per quel che leggo non mi sembra che offra molte opportunità. Non è detto che dopo l’America Latina non ci sia ancora un Paese straniero, ma in un altro continente. Inutile pianificare adesso, lavoro tante ore al giorno, ma una cosa ho già imparato dai brasiliani: a godermi il momento. E io, qui, ora sto bene».