In cammino verso Colui che viene
L’Avvento porta ogni anno una ventata di aria nuova. Essendo un tempo inaugurale ci permette di rimettere in ordine i pensieri, di riallineare i desideri, di riorganizzare la progettualità, magari dopo periodi di stanca nei quali la vita si è ingarbugliata. Si ricomincia a fare sul serio, intuendo che nel fluire del tempo il Signore ci offre opportunità che sarebbe un peccato sprecare. La prima di queste è riattivare la nostra attesa, rialzare la testa, perché da lontano il Signore si fa vicino, e viene «come un ladro», immagine biblica a prima vista piuttosto strana che allude a rapidità e imprevedibilità. Quasi un avviso per farci capire che attendere il Signore non è possibile se non si sta all’erta, scrutando la Parola e leggendo i segni dei tempi. Spesso, purtroppo, l’attesa dei cristiani non è così evidente, e a tal proposito fanno pensare le parole dello scrittore Ignazio Silone, credente inquieto, il quale era solito dire: «Diffido di quei cristiani che attendono la venuta del Signore con la stessa indifferenza con cui sul marciapiede si aspetta il tram». Qualificare l’attesa è dunque il primo atteggiamento per andare verso il Natale da protagonisti.
C’è poi un secondo verbo che conduce alla grotta di Betlemme, camminare. L’uomo è un essere che cammina. Pensate ai genitori i quali non vedono l’ora che il proprio bambino muova i primi passi, cominciando a esplorare la vita. Pensate alla preistoria, tre milioni di anni fa, quando l’uomo per la prima volta conquistò la posizione eretta inaugurando un modo nuovo di abitare il mondo. Pensate a Gesù che duemila anni fa camminava sulle strade della Palestina incontrando i discepoli e le folle, i ricchi e i poveri, con una predilezione per i secondi. Per lo scrittore Mauro Corona, uomo ruvido e schietto, amante dei boschi e delle montagne, per camminare necessitano tre cose: un po’ di tempo, molta volontà e buone motivazioni. Le prime due, dice ancora Mauro Corona, si possono trovare abbastanza facilmente, la terza è invece la più difficile. Mettere un piede davanti all’altro mille e mille volte non si può fare se non ci sono buone motivazioni. E questo vale anche per il nostro cammino verso il Natale. Dobbiamo innanzitutto trovare buoni motivi, magari rispolverando quelli assopiti di una volta rimettendoli a fuoco. Oppure, riscegliendo la direzione.
Dopo attendere e camminare c’è un altro verbo che va ripreso e ripassato perché l’Avvento corra al suo esito: gioire. Senza gioia, Natale non sarebbe Natale. Anche se la gioia del Natale è spesso come una cartina al tornasole che mette in evidenza tutte quelle situazioni in cui la gioia non c’è, la serenità e la pace interiore mancano. Penso a chi è depresso e non ce la fa a illuminarsi, nemmeno per un attimo, infastidito da troppe luci. Molti, anche nel Natale, soprattutto nel Natale, rimangono spettatori della gioia altrui, quasi sigillati in una solitudine invincibile. Possono essere circondati da amore, ma l’amore non li raggiunge. Ascoltano parole di incoraggiamento e le sentono come parole vuote. C’è grande sofferenza in queste persone, ma non meno in chi è loro vicino e si sente quasi inutile, incapace di stabilire reciprocità. Che cosa dire? Innanzitutto che non è tutto oro quel che luccica, perché quella che molti ostentano è solo una gioia forzata, una felicità dopata. Inoltre anche nella sofferenza, nonostante la sofferenza – anche se non è facile – può essere custodita e alimentata la fiammella della gioia. Sono convinto che solo la gioia che sa resistere agli attacchi anche corrosivi della vita (imprevisti, perdite, insuccessi) è provata e quindi davvero nostra. Natale è il tempo di questa gioia discreta, poco appariscente, vera. A tu per tu con Dio, per il quale siamo amabili, sempre. Che è il motivo per cui possiamo dirci l’un l’altro Buon Natale!