Cattolici e politica. Nuove leve cercasi
Da più di un secolo le Settimane sociali sono per i cattolici italiani l’occasione per riflettere sulla situazione del Paese, ma anche per proporre soluzioni e offrire al laicato indicazioni per un’azione incisiva e coerente. Così non è certo un caso che l’edizione di quest’anno, la numero quarantasei, in programma a Reggio Calabria dal 14 al 17 ottobre, abbia per titolo «Cattolici nell’Italia di oggi. Un’agenda di speranza per il futuro del Paese». In un momento in cui l’economia fatica a riprendersi, la società mostra sintomi di stanchezza se non di rassegnazione e la politica offre un deprimente spettacolo di degrado morale e continua litigiosità, la Chiesa chiede ai cattolici di non lasciarsi prendere dallo sconforto e di reagire, nello spirito del Vangelo, mettendo in campo le migliori risorse con coraggio, abnegazione e fiducia.
Dopo le edizioni di Bologna nel 2004 e Pistoia nel 2007 (sede, quest’ultima, scelta per ricordare la prima Settimana sociale svoltasi proprio nella città toscana cent’anni prima, nel 1907), Reggio Calabria vuole essere un’occasione di confronto perché «le esigenze della giustizia diventino comprensibili e politicamente realizzabili». Sono parole, queste, pronunciate da Benedetto XVI lo scorso maggio in occasione dell’incontro con i vescovi italiani, quando il Papa, accennando all’appuntamento di ottobre, precisò che alla Chiesa «sta a cuore il bene comune», quindi la crescita spirituale e morale non soltanto dei fedeli ma di tutta la comunità sociale, e che su questa base i cattolici continueranno a offrire il proprio contributo alla crescita sociale e morale dell’Italia.
Reggio Calabria: perché?
La scelta di Reggio Calabria è significativa. Proprio in quel Sud d’Italia al quale i vescovi hanno dedicato il recente documento «Per un Paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno» (21 febbraio 2010), ci si ritrova per riaffermare le ragioni dell’impegno rispetto a quelle che possono indurre allo scetticismo e alla rinuncia. Con un forte richiamo alla concretezza, come dimostra il ricorso alla parola «agenda»: un modo per far capire che si tratta non soltanto di delineare le questioni aperte ma di trovare soluzioni condivise.
Un grande aiuto è arrivato in questo senso dai gruppi e dalle associazioni che gli organizzatori hanno incontrato sul territorio. Moltissime le proposte giunte, con un’attenzione primaria alle nuove generazioni e al loro futuro, per quanto riguarda sia le prospettive di lavoro sia i progetti di vita. I tanti giovani incontrati nella fase preparatoria hanno chiesto che l’Italia guardi meno alle polemiche sterili e di più al domani, e che la Chiesa non rinunci alla sua missione di speranza in un mondo tanto segnato da vecchie ingiustizie e nuove povertà. Nel Paese c’è una voglia di crescita che va fatta emergere. In questo senso la Chiesa chiede anche di affrontare la questione demografica, una crisi che nasce proprio, in gran parte, dal deficit di speranza.
Sul fronte politico le giornate di Reggio Calabria proporranno un confronto a partire dalle parole che la Chiesa a più riprese ha proposto al dibattito pubblico. Era il settembre di due anni fa quando il Papa, nel corso della visita a Cagliari, sottolineava che all’Italia occorre «una nuova generazione di laici cristiani impegnati, capaci di cercare con competenza e rigore morale soluzioni di sviluppo sostenibile». Quell’esortazione ha indicato la linea: per la Chiesa è una questione non tanto di schieramenti quanto di formazione umana integrale. Più di recente (29 agosto 2010) sul tema è tornato il presidente della Conferenza episcopale italiana, cardinale Angelo Bagnasco, esprimendo l’esigenza di «una nuova classe politica, cristiana nei fatti e non nelle parole», perché «fa parte della fede di ogni credente essere presente nelle diverse responsabilità sociali, civili e politiche in modo intelligente e coerente con la propria fede».
Sfida educativa al centro
Centrale è quindi la sfida educativa. Come ha sottolineato lo stesso cardinale Bagnasco, «i giovani hanno bisogno di vedere negli adulti delle persone libere: non perché fanno ciò che vogliono a capriccio, secondo gusti, voglie, interessi individuali, ma perché non sono ingiusti, perché seguono le regole e osservano le leggi, fedeli alla parola data e agli impegni assunti».
Anche in questa edizione delle Settimane sociali, come nelle precedenti, uno dei perni della riflessione sarà il concetto di bene comune, che caratterizza profondamente il messaggio sociale della Chiesa. Il Compendio della dottrina sociale spiega che per bene comune si intende «l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono sia alla collettività sia ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione più pienamente e celermente» (164). È una formulazione che troviamo a partire da Giovanni XXIII, attraverso il Concilio Vaticano II, fino al Catechismo della Chiesa cattolica e al pontificato attuale. Oggi si tratta di declinare il concetto di bene comune in rapporto a situazioni e problemi che cambiano con grande rapidità. Alla base c’è sempre il riconoscimento della dignità, dell’unità e dell’uguaglianza di tutte le persone. Come puntualizzano gli organizzatori delle Settimane sociali 2010, parlare di bene comune significa anzitutto mettere in chiaro i criteri da seguire e i punti di riferimento ai quali restare ancorati, per non essere in balia di mode e opinioni mutevoli.
Libertà, verità coscienza
I centocinquant’anni dall’unità d’Italia sono l’occasione per riflettere anche sulla coesione nazionale, messa sempre più alla prova da spinte che vanno ben al di là del federalismo. La Chiesa ha espresso di recente apprezzamento per gli sforzi di chi, come il presidente della Repubblica, invita a ritrovare spirito di unità e di convergenza. Non si tratta di appiattire, ma di ritrovare radici comuni che non possono esser negate e che vanno messe al servizio delle nuove esigenze.
«L’analisi che abbiamo fatto – spiega Edoardo Patriarca, segretario del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane sociali – nasce dalla sensazione di un Paese che sta vivendo un passaggio pesante, in cui però la politica non svolge la funzione che le dovrebbe competere, cioè tentare di dare una visione con obiettivi di medio e lungo termine. Notiamo questa grande fatica rispetto a una realtà che nei territori ha tante persone vive, capaci di tentare impresa, e tanto buon associazionismo». È, in definitiva, una crisi di classe dirigente, intesa non soltanto come classe politica ma come tutti quei soggetti che a vario titolo dovrebbero assumersi la responsabilità di orientare.
Sul piano degli schieramenti politici, il convitato di pietra sarà il cosiddetto «terzo polo» della politica italiana, del quale si parla con insistenza come di una possibile nuova casa per i cattolici che nell’attuale sistema bipolare non si sentono rappresentati. Ma su questo punto il cardinale Bagnasco, in un’intervista all’«Osservatore romano», ha tenuto a precisare che «più che un problema di rappresentanza politica esiste un problema di coerenza personale: credo che sempre più siano necessari fedeli laici capaci di imparare a vivere il mistero di Dio, esercitandosi ai beni fondamentali della libertà, della verità e della coscienza».
L’intervista. Spazio ai giovani
«Far crescere una generazione adulta che possa essere vera classe dirigente, autorevole anzitutto con la testimonianza personale e con il proprio senso di responsabilità». Lo auspica monsignor Arrigo Miglio, presidente del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane sociali.
Monsignor Miglio, vescovo di Ivrea, è il presidente del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane sociali dei cattolici italiani. A lui abbiamo posto alcune domande sull’appuntamento di Reggio Calabria.
Msa. Quali sono le principali preoccupazioni della Chiesa italiana circa la situazione sociale ed economica del nostro Paese?
Miglio. Le più immediate sono quelle di tutti: famiglia, lavoro, emergenza educativa, divario economico e sociale persistente tra le regioni italiane. Ma la Chiesa italiana sente anche preoccupazioni più profonde, che non sempre sono capite e condivise dall’opinione pubblica. Nascono dal vedere calpestato il valore della vita umana, fin dal suo sbocciare e lungo tutto il suo corso; dal vedere banalizzati e spesso violentati corpo e cuore, dimensione affettiva e sessuale. È la preoccupazione di chi vede mortificata la libertà umana da un concetto di libertà sempre più chiusa nell’individualismo e nell’egoismo. Spesso non ci si rende conto di quanto una cultura che disprezza la vita, che alimenta egoismo e individualismo, porti in direzione totalmente opposta rispetto alla costruzione di una società solidale, a misura d’uomo, dove la persona sia veramente al centro di ogni progetto.
Come intervenire per una rinascita morale della nazione e della sua classe dirigente?
Occorre superare una visione solo individuale del messaggio evangelico e della salvezza che Gesù è venuto a portare. Suggerisco di rileggere i primi paragrafi della Caritas in veritate, dove il Papa stigmatizza il significato riduttivo e marginale che la parola Caritas-Amore è venuta assumendo nel linguaggio comune e nella prassi. Le comunità cristiane sono chiamate a svolgere sempre più il servizio educativo loro proprio. Tutte le istituzioni dovrebbero rendersi conto del prezioso servizio che la Chiesa può svolgere, e realmente svolge, pur tra mille difficoltà, attraverso scuole, associazioni, gruppi e attività parrocchiali e culturali, e sostenerle in modo adeguato. Si tratta di far crescere una generazione adulta che possa essere vera classe dirigente, autorevole anzitutto con la testimonianza personale, con il proprio senso di responsabilità.
In che modo formare, come ha chiesto il Papa, una nuova generazione di laici cattolici impegnati in politica?
Si tratta anzitutto di riscoprire il valore della parola politica e dell’impegno politico, proprio dei laici. Sono molti i cattolici impegnati politicamente, a vari livelli, e dobbiamo dare atto della buona volontà, della fatica e della competenza che tanti di loro dimostrano. Una prima strada da perseguire è dunque quella di coltivare un rapporto più stretto fra questi cattolici e la comunità cristiana. Occorre poi lavorare molto con i giovani, far loro conoscere direttamente (e non solo per sentito dire!) la dottrina sociale della Chiesa come parte integrante del messaggio evangelico e dell’impegno cristiano. E mi pare debba esistere anche uno stile di vita e di comportamento per un cattolico in politica che si manifesti nei rapporti con tutti, a cominciare dai fratelli di fede, pur nelle dialettiche e nei contrasti che non possono mancare nella ricerca di soluzioni giuste e politicamente realizzabili.