Cristo piange a Betlemme
Gli avvenimenti sanguinosi dell";ultimo anno e soprattutto di questa primavera hanno bruscamente rigettato indietro la speranza di pace per israeliani e palestinesi. In quella terra che è santa per le tre religioni abramitiche, in un groviglio feroce si annodano e si inseguono una cupa, forsennata e blasfema violenza di chi dice di uccidere in nome di Dio, e una ritorsione tanto terribile e indiscriminata da farsi aggressione contro un popolo intero, già stremato, preso in ostaggio, troppo a lungo deluso nella sua legittima aspirazione a una patria.
Né la comunità internazionale è sembrata capace di interventi per frenare gli odi contrapposti e per impedire che si ampliassero i luoghi del pericolo e le violazioni dell";uomo. Dopo che Bush è succeduto a Clinton nella presidenza degli Stati Uniti, tra i palestinesi predomina anzi la sensazione di un lungo disimpegno degli Usa nel processo di pace, e persino di un implicito avallo ad usare la forza dato al governo israeliano di Ariel Sharon. Gli israeliani, dal canto loro, giudicano un";omissione d";impegno nella lotta al terrorismo, la legittimazione offerta dall";Europa a Yasser Arafat e alla leadership palestinese, a loro giudizio responsabili dell";escalation di attentati.
La stessa Europa, della quale perdura una latitanza di iniziative politiche almeno altrettanto lunga del contestato disimpegno Usa, fa i conti anche con cascami della crisi, inquietanti e distorcenti. Alle critiche per il governo israeliano, opinabili, ma comunque legittime, si affiancano, infatti, palesi e intollerabili rigurgiti di antisemitismo, così come l";altrettanto opinabile, ma comunque legittimo sostegno alla leadership palestinese, è talora accompagnato da pericolose sottovalutazioni, quando non addirittura giustificazioni, del terrorismo suicida di matrice fondamentalista religiosa.
La violenza si è fatta largo anche in luoghi da sempre segno di amore. A Betlemme, le armi si sono contrapposte fin dentro la Basilica della Natività , vicino alla culla dove dormì il suo primo sonno di bambino il Signore della pace, il pegno della speranza.
Soccorre, in questo plumbeo scenario, la lezione di Assisi. Il rifiuto inequivocabile della violenza in nome di Dio è un punto fermo emerso dall";incontro del 24 gennaio, quando accanto alla tomba di Francesco, rappresentanti di tutte le religioni hanno tolto ogni alibi di sacralità alla guerra. E indipendentemente da ogni valutazione politica (attribuire alla volontà di Dio il perseguimento dei propri interessi è un";abitudine storica dura a morire, così come quella di credere che Dio sia sempre della nostra opinione), appare oggi più difficile qualsiasi giustificazione della violenza di matrice integralista religiosa.
È impossibile, nel momento in cui scriviamo, ipotizzare se questa nuova crisi sia destinata ad infliggere un colpo decisivo alle fragili speranze di pace in Terra Santa, rinviando a tempo indeterminato la soluzione negoziale del pluridecennale conflitto, o se essa possa essere, al contrario, risolutiva in positivo, come accade talora agli uomini e alla storia per malattie lunghe e complesse.
La scelta sancita da innumerevoli risoluzioni dell";Onu "; due popoli, due Stati in Terra Santa "; da troppi decenni non trova attuazione e invelenisce tutti gli avvenimenti mediorientali, intersecati in modo inestricabile. Anche questa crisi nei Territori ha avuto un";immediata rispondenza alla frontiera tra Israele e Libano, confermando l";impossibilità di soluzioni che non siano globali. Ancora una volta, cioè, la cronaca si è incaricata di dimostrare che in Medio Oriente non ci sarà pace se non sarà la pace di tutti.