Da Giunta a Giotto guardando a Bisanzio
Nel Duecento Pisa costituì un luogo d'incontro privilegiato tra le culture, grazie alla sua posizione geografica, alla sua storia, al fervore intellettuale che la contraddistingueva. Nell'arco di un secolo, la città toscana ospitò illustri scrittori e pittori: Alberto da Volterra, Giunta di Capitino, detto Pisano, Enrico e Ugolino di Tedice fino a Cimabue e Giotto, che lasciarono testimonianze fondamentali per la nascita dell'arte italiana. Tale percorso è documentato nella Mostra Cimabue a Pisa. La pittura pisana del Duecento da Giunta a Giotto, allestita nel Museo nazionale di San Matteo (Lungarno Mediceo) fino al 25 giugno prossimo. La mostra proseguirà poi il suo percorso spostandosi a Roma, nel Braccio di Carlomagno, in Vaticano, e in quella sede comprenderà anche altre opere. Il percorso, studiato da Mariagiulia Burresi e Antonino Caleca , è davvero d'eccezione e approfondisce le origini dell'arte sacra in Occidente, mostrandone lo stretto rapporto con Bisanzio.
Per spiegare l'eccellenza culturale di Pisa bisogna riprendere la storia della fiorente repubblica marinara, con la sua dimensione cosmopolita. La città alla foce dell'Arno godette di impareggiabile splendore ed ebbe un solido impero commerciale. Già nell'XI secolo i pisani si erano spinti verso la Corsica e la Sardegna e scesi fin sulla costa del Maghreb, Nord Africa. I pisani, che presto si sarebbero trovati in concorrenza con i genovesi, nel 1063 - come nota Franco Cardini - avevano violato il porto saraceno di Palermo e, circa un mezzo secolo più tardi, conquistato le Baleari. Memorie epiche e cronistiche ricordano quelle gesta, testimoniate dai preziosi tesori portati come bottino di guerra e oggi custoditi nei Musei dell'Opera del Duomo e di San Matteo. Pisa fu, con Genova, la grande protagonista delle crociate del XII secolo e ne ricavò il possesso di quartieri interi nei porti d'Oriente. Non vi era congregazione monastica che non fosse presente e in quel periodo fecero il loro ingresso in città anche gli ordini mendicanti: i Predicatori di san Domenico, stabilitisi nel 1222 nella chiesa di santa Caterina D'Alessandria e i frati minori di san Francesco che acquistarono presto tra i pisani grandissima popolarità .
Da Giunta a Cimabue
Tra le mura possenti, che non nascondono le ingiurie del tempo, di quello che fu un antico convento di monache, ora Museo nazionale di San Matteo con opere del XIII secolo di straordinario valore e bellezza, sono evidenti le radici cristiane della nostra civiltà di cui tanto si parla. Ci sono in mostra meravigliose icone arrivate da tutte le chiese del territorio pisano, affiancate alla preziosissima raccolta del Museo di San Matteo. Vengono dall'estero il Dittico di Cimabue e altri capolavori di origine pisana come la Croce di Cleveland, un frammento di Croce dal museo de Belas artes di Rio de Janeiro, opere di Deodato Orlandi da Berlino e da Altemburg. La Bibbia di Calci in quattro volumi di grande formato eseguita nel 1168 per la chiesa di san Vito, è decorata da numerose lettere capitali miniate da un pittore che si firma Adalbertus scriptor . In queste lettere, miniate su pergamena, è chiaramente percepibile un influsso della pittura bizantina.
La Croce di San Matteo, fatta dipingere proprio dalle suore del convento dove oggi c'è il museo, è nota per essere la prima attestazione in Occidente del Cristo Crocifisso non nell'atteggiamento di trionfatore sulla morte, ma sofferente, con gli occhi chiusi. L'artefice è forse un pittore bizantino rifugiatosi a Pisa dopo il sacco veneziano di Costantinopoli, perché fino ad allora mai in Occidente si era vista una rappresentazione del Cristo in croce dormiente. Sconvolgente novità , dunque, anche questa importata dall'Oriente. Altre croci di pittori, anch'esse esposte, si ispirarono a questa Croce bizantina. Giunta Pisano è il primo pittore pisano la cui fama varcò i confini cittadini. Diventò il pittore ufficiale dell'ordine francescano: infatti frate Elia, successore di san Francesco alla guida dell'Ordine, gli commissionò una Croce oggi perduta, mentre ce ne restano tre di una struggente bellezza. Bellissimo il Dossale di san Francesco e sei miracoli, originariamente nella chiesa di san Francesco a Pisa. È, insieme al Dossale di Santa Caterina, anch'esso esposto, una delle prime rappresentazioni di icone di santi a figura intera, con a fianco episodi della loro vita. San Francesco, in questa che è una delle sue prime raffigurazioni, ha il volto emaciato dell'asceta, il Libro in mano, e benedice. L'opera, realizzata poco dopo la canonizzazione di Francesco, serviva anche a divulgare l'immagine dell'Ordine da lui fondato, quindi il saio, il cordone, la barba alludono alla povertà dell'Ordine, e il Vangelo alla radicalità con cui Francesco lo visse.
Altro elemento importante: il santo ha le stimmate e ciò per sottolineare la somiglianza di Francesco con Cristo e la sua santità . Per inciso, si noti che in una chiesa di Costantinopoli troviamo affrescato un San Francesco tra le sue storie con la stessa disposizione di quelle del dossale di Giunta e questo testimonia che la fama di Francesco si era diffusa rapidamente fino ai confini della cristianità occidentale e che gli scambi tra Oriente e Occidente, in questo caso pittorici, erano attivi in entrambe le direzioni. Il Dossale di Santa Caterina con storie della sua vita, opera del Maestro di Calci, commuove per la raffinatezza e la preziosità delle immagini. In esso i rapporti con il monastero di santa Caterina del Sinai - un luogo di suggestione quasi irreale - sono evidenti. Nell'Oriente bizantino si era soliti leggere gli episodi della vita e i miracoli in occasione della festa di un santo e anche qui Oriente e Occidente si toccano: nel monastero di santa Caterina, in Egitto, si trova proprio un'icona molto simile, con santa Caterina e storie della sua vita. E arriviamo, finalmente, a Cimabue.
Cenni di Pepo, detto Cimabue, è pittore fiorentino da tutti identificato come il maestro di Giotto. Dante, infatti, dice: Credette Cimabue nella pittura / tener lo campo e ora ha Giotto il grido.
A Cimabue vengono attribuiti capolavori famosi come la Croce di san Domenico ad Arezzo e gli affreschi della basilica ad Assisi, ma l'unica opera certamente sua è il San Giovanni Evangelista del catino absidale del Duomo di Pisa, eseguito a mosaico nel 1301. Siamo certi della presenza a Pisa di Cimabue perché in un libro contabile sono registrate le sue novantaquattro giornate di lavoro, pagate con dieci soldi al giorno. Questa di Pisa fu l'ultima opera del maestro che qui morì proprio nel febbraio del 1302. Cimabue a Pisa ai primi del Trecento è un dato in sé rilevante: significa che la città era culturalmente vivace anche dopo esser stata sconfitta dai rivali genovesi alla Meloria nel 1284. Ma la sua presenza in città non è una novità , trent'anni prima, vi aveva realizzato la splendida Maestà per la chiesa di san Francesco, che spiace non vedere qui in mostra: l'opera, emigrata in Francia nell'ottobre del 1812, si trova al Louvres, ma un suo rientro, almeno temporaneo, nella città d'origine, era auspicabile. Sono esposte a Pisa, invece, due tavolette, conservate alla National Gallery di Londra e alla Frik Collection di New York, la Madonna con Bambino e santi e la Flagellazione, un Dittico recentemente attribuito a Cimabue e per la prima volta ricomposto e presentato al pubblico.
Dopo Cimabue arriva Giotto
Anche Giotto fu chiamato a realizzare un'importante opera nella chiesa francescana di Pisa: il San Francesco riceve le stimmate, una splendida tavola in tempera e oro dove il santo di Assisi riceve le stimmate dal Cristo rappresentato con ali da Serafino. Sotto di esso, tre scene: il Sogno di Innocenzo III, la Conferma della regola, il San Francesco che predica agli uccelli, composizioni analoghe a quelle che troviamo negli affreschi della basilica superiore di Assisi. La preziosa opera, firmata Opus Jocti Fiorentini , era collocata a fianco della Maestà di Cimabue e con essa subì identico destino. Prese la via di Parigi e oggi si trova al Louvre. Chiudono la Mostra un Polittico della Bottega di Giotto che arriva da Santa Maria del Fiore a Firenze, un Santo martire agostiniano e un Santo diacono provenienti dalla chiesa livornese di san Jacopo in Acquaviva, attribuibili anch'essi, secondo i curatori, alla Bottega di Giotto.
Siamo agli inizi del XIV secolo. Le influenze dell'Oriente non sono più evidenti, sono state recepite e superate: queste opere mostrano che la pittura, rinnovata dal fecondo influsso orientale che i pittori pisani recepirono, è diventata italiana e grandissima Arte.