Dalla fabbrica al convento
Bella davvero la storia di fra Remo, economo della Comunità dei frati del Santo e responsabile del personale laico impiegato in Basilica. Una storia tutta impregnata di francescanesimo e antonianità, che potremmo intitolare «La chiamata». Con tutti i vari passaggi che ne potrebbero comporre i capitoli: le prime voci; in atteggiamento di ascolto; il discernimento; il dilemma; la scelta; la gioia della sequela e così via…
Le prime voci sono il riflesso dell’inclinazione di Remo a porsi al servizio degli altri, ad animare le attività della parrocchia di Fossalta di Trebaseleghe – piccolo paese dell’Alta padovana – dove è nato 43 anni fa, in seno alla famiglia Scquizzato, con quell’inusuale «c» indebitamente aggiunta da uno zelante ufficiale dell’anagrafe.
Al giovane Remo piace darsi da fare per gli altri, ma Fossalta è piccola per la sua grande voglia di impegno. Il paesino sorge, però, a un tiro di schioppo da Camposampiero, luogo sacro della tradizione antoniana, perché lì sant’Antonio ha vissuto gli ultimi giorni di vita. Il Santo se ne stava spesso rannicchiato in una capannuccia di frasche che s’era fatto costruire tra i rami frondosi di un noce – minuscolo eremo verde sospeso tra terra e cielo –, per restare solo con Dio, o essere rapito nella contemplazione di Gesù Bambino, che gli appariva nella sua celletta. Confratelli (francescani conventuali) e fedeli hanno perpetuato la memoria di quel breve passaggio in due santuari, cari ai devoti, diventati con il tempo centro di spiritualità e di discernimento per giovani alla ricerca di un senso per la propria vita. Remo incontra il fascino di quei luoghi, li frequenta spesso, partecipa alle iniziative promosse dalla comunità dei frati, mentre richiami e suggestioni si fanno sempre più distinti e pressanti, soprattutto dopo aver partecipato a un campo di lavoro nell’Irpinia terremotata.
Intanto la vita incalza e per Remo – che, concluse le scuole professionali, lavora in fabbrica – giunge il tempo del servizio militare, che svolge nell’Arma dei carabinieri. «Volevano che facessi la ferma – ricorda – ma non era lì che volevo spendere la mia vita». E così, toltasi la divisa, anche mentale, della «benemerita», ritorna alle occupazioni di prima. Ma è sempre più affascinato dalla vita di fraternità, tanto da chiedersi seriamente se non fosse, questo, un invito di Gesù a lasciare tutto per seguirlo. Non ha ancora chiaro, in realtà, quale direzione prendere: prete diocesano o francescano?
Non soffre certo le angosce di Amleto alle prese con il tormentoso dilemma, «essere o non essere?», ma non gli mancano tuttavia crucci e tensioni, dai quali lo toglie il responsabile delle vocazioni del Seminario diocesano di Treviso, che gli dice: «So che ti attira la vita francescana, ma anche nelle attività della parrocchia ti senti un po’ a casa. Prova il seminario diocesano e se poi non ti sentirai a tuo agio, le porte del convento saranno ancora aperte».
Futuro francescano
Remo nel settembre del ’91 è in seminario a Treviso, chino sui libri delle Magistrali. Racconta: «Avendo frequentato scuole professionali, avevo bisogno di una preparazione che mi permettesse di affrontare lo studio della teologia. Mi indicarono le Magistrali e, per affrettare i tempi, mi consigliarono di condensare i primi due anni di scuola in uno. Ci davo sotto, ma con crescente disagio e inquietudine. Mi ritrovavo spesso con il cuore in confusione, gli occhi gonfi di lacrime e la sensazione che non fosse davvero quella la mia strada. Chiesi lumi al Signore e ai frati del vicino convento di San Francesco, che già conoscevo, e in breve tutto mi fu più chiaro. Ne parlai con il direttore spirituale del Seminario, e in settembre entrai nel convento francescano». Anche il mio vecchio parroco, don Amelio, saputo del mio ingresso in convento, mi disse: «Ora posso anche morire in pace perché è quello il posto per te».
Remo viene mandato per due anni al postulato di Brescia, dove consegue il diploma delle Magistrali e conferma la sua scelta della vita religiosa, decidendo di fare poi il noviziato. Ma spiazza un po’ tutti quelli che gli chiedono cosa intenda fare dopo, convinti che voglia intraprendere lo studio della teologia per diventare sacerdote. Invece no, e lo dice deciso: «Credo di avere capito che il Signore mi vuole semplice frate, come san Francesco, consacrato al servizio Suo e dei fratelli».
E Remo, ora fra Remo, continua a rispondere alla chiamata: nel ’93 novizio a Padova e, l’anno successivo, prima professione religiosa. Studia teologia nell’Istituto teologico patavino di via san Massimo, ma solo per crescere nella fede e nella conoscenza delle cose di Dio ed essere all’altezza delle richieste che la vita gli avrebbe posto (che per i primi anni saranno di provvedere, nelle vesti di economo, alle necessità materiali e concrete della comunità in cui vive). Quasi un apprendistato per i compiti che i superiori gli affidano nel 2002, destinandolo alla Basilica del Santo come economo della comunità dei frati, e delegato del rettore ai rapporti con il personale laico del santuario.
Come per una famiglia
«Nel mio ruolo di economo – spiega fra Remo – faccio quello che fanno papà e mamma in una famiglia: provvedo alla manutenzione della casa e a quanto di concreto serve alla comunità per vivere francescanamente. Quando, ogni mese, ci riuniamo tra frati per la programmazione, ci confrontiamo e valutiamo insieme le spese da affrontare o quelle da rimandare, procedendo mediante il dialogo e la collaborazione». Delegato dal rettore della Basilica, fra Remo tiene poi, come si diceva, i rapporti con il personale laico addetto ai servizi del santuario e del convento, e ne coordina il lavoro. Si tratta di quei signori in divisa, detti «custodi», che alle porte o all’interno della Basilica danno informazioni ai pellegrini e vigilano perché nulla comprometta il decoro, la sicurezza e l’ordinato svolgersi della vita quotidiana del santuario, con i suoi riti di devozione e di pietà.
Fra Remo, l’ex carabiniere, si occupa anche della sicurezza della Basilica: «Stiamo sempre all’erta – ci racconta –, ma per fortuna i malintenzionati raramente scelgono la Basilica per le loro gesta: sanno che è “pericoloso” scherzare con sant’Antonio». Il frate offre inoltre alla Basilica un altro servizio: «presta» la sua voce, animando alcune celebrazioni domenicali e nel corso della settimana, o in altre particolari solennità come la processione del 13 giugno.
Vicino alla gente
La vita di fra Remo non si esaurisce, però, entro i limiti dei bisogni materiali cui deve provvedere. Anche se non è sacerdote, è pur sempre un religioso, che ha consacrato la propria vita a Dio per essere al servizio degli altri. E i pellegrini, o quanti incontra per il suo incarico, quando avvertono qualcosa che rode dentro, non guardano ai «gradi», ma alla disponibilità all’ascolto, all’intelligenza del cuore e alla capacità di entrare in empatia con gli altri, tutte doti che ritrovano in lui.
Con l’aiuto di Dio, ovviamente, e di sant’Antonio, alla cui ombra è maturata la sua scelta di vita. Un esempio per tanti giovani anche oggi.