Dall'alcolismo si può uscire
Un caschetto scuro le incornicia il volto ancora fresco e gli occhi piccoli ma vivacissimi. Isabella ha 43 anni e un`esperienza dolorosa alle spalle. Un`esperienza il cui ricordo è ancora vivo e fa terribilmente male, come dimostra la smorfia che le attraversa rapida il volto, mentre parla e rivive gli anni «persi» nell`alcol. Isabella ha paura di ciò che è stato e che potrebbe ancora tornare: una storia di alcol e psicofarmaci, di solitudine, di «angoscia e vuoto interiore» come racconta. «Forse sono sempre stata un`alcolista senza rendermene conto ` dice. Ricordo quando bevevo, per far tacere l`ansia che mi rodeva lo stomaco. Da principio solo un po`, poi sempre di più, finché tutta la mia vita è annegata nell`alcol. Ho avuto una prima grossa crisi e poi, in seguito a un momento difficile affrontato in solitudine, una seconda. E questo, nonostante nella mia famiglia nessuno bevesse, nonostante avessi tutti gli strumenti culturali per capire ciò che mi stava accadendo (Isabella è laureata in architettura, ha un passato di impegno politico militante, proviene da una «famiglia-bene») e nonostante fosse già nato mio figlio Massimo», uno splendido bambino che oggi ha un anno mezzo e che, ancora non lo sa, ma ha restituito alla sua mamma il gusto per la vita.
Isabella ora vive a Monselice, tra le province di Padova e Rovigo. Abita, con altre mamme alcoliste o tossicodipendenti, all`interno della Comunità san Francesco dei frati minori conventuali (che ospita sette bambini e 43 adulti, una ventina dei quali con problemi di alcol) dove è stata inviata dai servizi sociali. Ed Isabella ce l`ha messa tutta: da quasi un anno non tocca più un goccio di alcol, né assume pasticche per dormire o ansiolitici.
Le facce dell`alcolismo
Quella di Isabella è una storia come tante. Simile per modalità , anche se diversissima perché differenti e uniche sono le persone, a quella del milione e mezzo di italiani che, secondo un`indagine dell`Eurispes (Fuori dall`alcol. Indagine sugli alcolisti in recupero, maggio 2000) abusa ogni giorno dell`alcol. In realtà , il numero s`innalza di molto se si considerano anche quanti si ubriacano «solo» più volte nello stesso mese: in tal caso si arriverebbe agli oltre tre milioni e mezzo di persone. Gente qualunque, con una famiglia, un lavoro spesso stressante e che si rifugia nella bottiglia per trovare la forza di superare i problemi di ogni giorno.
È lo stesso quadro che ci dipinge Santino Pantè, psicoterapeuta della Comunità san Francesco. «Fino a qualche decennio fa ` spiega ` l`alcolista era soprattutto maschio e anziano. Oggi è esploso l`alcolismo giovanile e anche tra le donne è in aumento. Le donne cominciano a bere nel silenzio delle loro case, soprattutto per combattere la solitudine. I giovani, invece, iniziano a bere in compagnia, spesso già negli anni dell`adolescenza. Così hanno l`illusione che l`alcol li aiuti a superare la timidezza, li faccia diventare euforici e si convincono che possa semplificare loro la vita».
L`aumento dell`alcolismo giovanile è contraddetto da altri dati diffusi di recente dall`Osservatorio permanente sui giovani, un organismo supportato anche dall`Assobirra, l`associazione nazionale dei produttori di birra, secondo i quali vi sarebbe una diminuzione dell`abuso di bevande alcoliche tra i giovani (quarta indagine nazionale Doxa - Opg: Gli italiani e l`alcol: consumi tendenze e atteggiamenti in Italia e nelle Regioni). Di altro avviso l`Organizzazione mondiale della sanità (Oms) che in un dossier diffuso a Stoccolma lo scorso febbraio denuncia che l`alcol è la principale causa di morte tra i ragazzi (maschi) europei. Sono infatti 55mila i giovani tra i 15 e i 29 anni che ogni anno muoiono per incidenti automobilistici, avvelenamento, suicidi o omicidi, legati all`abuso di sostanze alcoliche.
Come si diventa alcolisti?
«Il più delle volte si comincia a bere senza rendersene conto ` racconta ancora Santino Pantè `. Il bere quotidiano, spesso in compagnia, fa parte della nostra cultura: in quasi tutte le case ci sono birra, vino e superalcolici. Una bevuta occasionale può far sperimentare che l`alcol fa stare bene, perché tira su di morale, fa superare un momento di depressione e questa scoperta spesso coincide con l`inizio del percorso dell`alcolista. Purtroppo, non ti rendi subito conto di che cosa stia accadendo, perché l`alcolismo è un problema subdolo; scopri di esserci caduto dentro solo a distanza di tempo».
Per questo motivo, secondo la filosofia del centro di Monselice, pure il semplice (e all`apparenza innocuo) bicchiere quotidiano di vino, espone al rischio. Anche l`Oms, che si è posta come obiettivo la diminuzione dei consumi alcolici entro i prossimi anni, si è accorta che ciò è raggiungibile solo attraverso la proposta di astenersi completamente dall`alcol. «Non sappiamo quando arriverà il momento critico di una persona ` prosegue Pantè `; molto meglio dunque, eliminare dalla propria casa ogni tentazione».
Guarire dall`alcolismo
«L`alcolismo ` spiega lo psicoterapeuta ` lascia segni irreparabili nell`organismo e nella psiche. Però, nel 70 o 80 per cento dei casi, dall`alcolismo, non associato ad altre dipendenze, si può uscire: importante è chiedere aiuto non appena ci si rende conto del problema».
Gli esperti, i medici e gli operatori che lavorano con gli alcolisti concordano nell`affermare che il modo più efficace per uscirne è la terapia di gruppo e, se il gruppo da solo all`inizio non basta, il ricovero in una comunità . A Monselice, per esempio, ci sono ospiti «residenziali» che vivono all`interno della comunità per almeno sei mesi, oppure «semi-residenziali» che rientrano a casa solo il fine settimana, o esterni che si limitano a seguire gli incontri settimanali di gruppo. Gli incontri di gruppo (si tratta di gruppi di auto-aiuto, coordinati da un operatore) hanno una cadenza bisettimanale per i primi sei mesi e poi, per cinque anni, settimanale.
«La guarigione ` afferma Pantè ` non è mai veloce. L`alcol non è solo un problema di assunzione, ma di stile di vita. Per questo durante i nostri incontri, cui partecipano anche le famiglie degli alcolisti, prendiamo in esame tutta la vita delle persone, le loro scelte, i valori, gli stili di vita, spingendole a domandarsi (e a verificare) che cosa realmente abbiano messo al primo posto: i soldi? il lavoro? la famiglia? il rapporto con le persone? Devono infatti arrivare a comprendere che il concetto di salute non riguarda solo il fisico, ma anche il sistema di relazioni, la psiche, lo spirito. E che il benessere globale della persona è una conquista che si fa giorno per giorno. In ogni istante noi facciamo delle scelte che possono dare salute o mancanza di salute e i cui effetti si vedranno anche a distanza di tempo».
Famiglia al centro
Uno dei punti fermi della terapia seguita nella Comunità san Francesco, come già sottolineava Pantè, è il coinvolgimento delle famiglie. «La famiglia è al centro del nostro intervento, perché tutto il nucleo familiare soffre per il disagio di uno dei suoi membri. Noi cerchiamo di aiutare gli alcolisti e le loro famiglie a uscire `insieme` da questo problema, sostenendoli, spingendoli a cancellare la vergogna e a rompere l`isolamento, per far emergere le difficoltà e affrontarle. E questo è possibile grazie al confronto con altre famiglie che hanno problemi analoghi».
L`alcol è un problema sociale che va affrontato come tale, in sintonia con la famiglia e i servizi pubblici del territorio. All`origine del bere c`è un disagio: se non lo si cancella, la persona prima o poi ricomincerà a ubriacarsi. Per questo è importante modificare l`ambiente in cui l`alcolista vive: maggiore è il numero di persone attorno a lui che stanno bene, maggiore sarà il suo livello di benessere, minore il bisogno di bere. «Bisogna fare attenzione agli equilibri familiari ` avverte Pantè `, perché, se è vero che tirare fuori e superare i rancori del passato è importante, è fondamentale farlo un po` alla volta. Un aiuto in tal senso viene dal `dialogo incrociato` che si sperimenta all`interno dei gruppi di auto-aiuto. Un esempio: un alcolista, che è anche genitore, parla di un suo problema; gli risponde un ragazzo che non è suo figlio ` il quale è comunque presente nel gruppo `, ma che ha a sua volta il genitore alcolista. In questo modo si evitano gli scontri derivanti da un coinvolgimento emotivo troppo alto e il messaggio passa liberamente all`interno dei vari nuclei familiari. Naturalmente c`è anche un lavoro psicoeducazionale che noi compiamo, cioè spieghiamo alle persone come affrontare i problemi, come funzionano le dinamiche familiari, come gestire le crisi».
Il dubbio: un familiare beve?
Gli alcolisti tendono a nascondere a se stessi e agli altri il loro problema, almeno per il primo periodo. Ci sono però dei segnali dai quali i familiari possono intuire l`esistenza di un problema legato all`abuso di alcol.
«Ci sono segnali inconfutabili ` spiega ancora lo psicoterapeuta. L`indicatore più importante è il cambiamento repentino (talvolta anche in positivo) del comportamento, dell`umore, del carattere o delle abitudini di una persona, senza che nulla di esterno ed eccezionale sia intervenuto. Talvolta, poi, c`è il tentativo della persona di nascondersi, di sfuggire il controllo. In seguito, l`alcolista ha la tendenza a trascurarsi, a non avere più confini, tende a essere invadente, a prevaricare, diventa disinibito. Questo avviene, però, in una fase già avanzata».
Che fare a questo punto? «La cosa migliore ` conclude Pantè ` è affrontare il problema con un esperto. Ci si può rivolgere a una delle unità di alcologia, ormai presenti in tutto il territorio italiano presso i Sert (Servizi per le tossicodipendenze), oppure a un «Club degli alcolisti in trattamento» (Cat) o ad altre associazioni analoghe. L`esperienza ci ha insegnato che se i familiari di un alcolista iniziano a frequentare dei gruppi di auto-aiuto, a distanza di qualche mese arriva anche chi ha il problema dell`alcol. Frequentando i gruppi, infatti, i familiari comprendono che talvolta il problema è generato dalle dinamiche esistenti all`interno della famiglia e subito cambiano atteggiamento».
Come abbiamo visto, l`alcol è una droga anche se, purtroppo, non viene trattato come tale: la produzione e la vendita sono legali, è largamente pubblicizzato e gli effetti derivanti dal suo cattivo uso sono taciuti. Che fare, allora? Forse, come sostengono a Monselice, le mezze misure in questo caso non funzionano. Bisogna essere drastici: eliminare l`alcol da casa, tutto e subito. Perché, come comunemente si dice, «davanti alla tentazione, la migliore tattica di difesa è la fuga».
Per informazioni:
www.comunitasanfrancesco.org
tel. 0429/783144
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