Dall’altra parte del torrente
Un paio di mesi fa una notizia di cronaca mi ha dato da pensare, ma così tanto da pensare... che ci penso ancora! Molti di voi ne saranno a conoscenza: in una nota città italiana, una mamma ha deciso di non iscrivere la propria figlia in un asilo perché tra i dipendenti vi era una persona con sindrome di Down. La notizia ha suscitato immediatamente notevole interesse sui media, cui sono seguite polemiche a non finire oltre che aberranti dichiarazioni da più parti, capaci di spazzare via in poche battute trent’anni di battaglie a favore dell’integrazione. In genere nelle mie rubriche non amo soffermarmi a lungo sui fatti di cronaca, ma questa brutta storia credo ci offra l’occasione per ritornare su alcuni temi su cui, evidentemente, vale ancora la pena ampliare l’orizzonte: l’inclusione e la fiducia. Due parole che mi fanno tornare indietro a quarant’anni fa, a una gita in montagna con una persona a me molto cara, un grande amico che tuttora mi è vicino quando ne ho bisogno, e viceversa. Ricordo una lunga passeggiata nel bosco e ricordo anche che, tra una chiacchiera e l’altra, quella passeggiata fu improvvisamente interrotta da un grosso ostacolo. Un torrente nel bel mezzo del sentiero. Che fare? Come arrivare dall’altra parte? Mai desistere! Il mio amico, con coraggio e un pizzico di irresponsabilità, mi ha guardato negli occhi e ha capito che, insieme, ce l’avremmo fatta. Così con la mia complicità ha spinto me e la mia carrozzina dall’altra parte del torrente. Ricordo perfettamente quella giornata. Ricordo benissimo quell’acqua gelida. Ricordo anche la soddisfazione reciproca una volta giunti dall’altra parte: eravamo insieme sull’altra sponda, ce l’avevamo fatta. Racconto ora questo episodio perché credo che l’inclusione nasca e si espanda come una macchia soprattutto grazie a delle piccole azioni, a quelli che a me piace chiamare «microgesti di fiducia». Gesti di irresponsabilità e responsabilità insieme, che possono fare la differenza, così come accaduto in quella passeggiata di tanti anni fa. Quando oggi vengo a conoscenza di certe notizie sono però costretto ad ammettere quanto ancora siano rari questi gesti positivi. Spesso, al contrario, si preferisce basare le proprie scelte non su una valutazione oggettiva dell’operato delle persone, ma su temi astratti e pregiudizi. È vero che assumersi delle responsabilità (o irresponsabilità...) costa audacia e fatica, ma investire su questi aspetti, più che su tante teorie, credo sia la vera sfida dell’educazione odierna. C’è, infatti, una domanda di fondo che fa ancora molta paura a tanti: di chi è la responsabilità dell’irresponsabilità? Come possiamo valutare le abilità e le potenzialità delle persone se non ci assumiamo mai «l’irresponsabilità» di provare a investire su di esse? Non è un gioco di parole, è realtà. Dalla notizia riportata all’inizio deduciamo che il tragitto dell’inclusione è ancora lungo, stretto e pieno di insidie che portano spesso a incappare in fraintendimenti anche le persone che ricoprono importanti ruoli istituzionali e che in virtù della loro posizione dovrebbero agevolare altri processi. E voi, siete mai stati protagonisti di irresponsabili gesti di responsabilità? Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina Facebook.