Danimarca. La sirenetta tricolore
24 Luglio 2013
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«Sono arrivata in Danimarca nel 1986 grazie a una borsa di studio». Chiara Rattenni è originaria di Chianciano Terme (SI). Anche se non dimentica le colline della sua terra, dopo più di venti anni di permanenza a Copenhagen si sente italo-danese. «Studiavo Lingue a Firenze quando mi sono appassionata di filologia germanica – racconta Chiara –. Avevo intenzione di scrivere la tesi su un manoscritto in norreno del 1200. Il mio progetto era di trascorrere tre mesi a Copenaghen, per poi trasferirmi a Londra. La vita, però, riserva molte sorprese. Dopo pochi giorni a Copenaghen ho incontrato il mio futuro marito e Londra è passata in secondo piano. Ci siamo sposati dopo otto mesi. Mi sono trasferita definitivamente in Danimarca nel 1987». Chiara ha scelto di vivere in una zona collinare e boschiva non lontana dal mare, che le ricorda la sua terra delle origini.
«Mi sento italo-danese anche se, per principio, ho conservato la cittadinanza italiana. Imparare la lingua è stato difficile, ma non impossibile. La mia famiglia vive in Italia, vado a trovarli almeno due volte l’anno. Dopo tredici anni vissuti in Danimarca, nel 2000 mi sono trasferita di nuovo in Italia ma ho resistito solamente un anno». Le difficoltà di ri-ambientamento hanno, purtroppo, avuto la meglio sull’entusiasmo. Se la prima decisione di vivere in Danimarca è stata dettata dal destino, la seconda è stata frutto di una scelta ampiamente ponderata. «Il primo impatto, nel 1987, fu eccezionale. Grazie al mio futuro marito ho conosciuto molta gente interessante. Suo padre era giornalista e, tra i conoscenti, aveva molti artisti e scrittori. Copenaghen, allora, era molto diversa: le classiche zone dei “ponti”, zone popolari o snob a seconda dei casi, avevano un’anima molto particolare. Adesso, dopo il risanamento architettonico di alcune aree, è tutto più uniformato».
Chiara ha affrontato l’inserimento con curiosità, non si è mai sentita discriminata. E ha cercato di mettere la sua esperienza al servizio degli emigrati. «Per molti anni non ho avuto contatti con italiani. Solo di recente ho iniziato a scambiare opinioni e a incontrarmi con altri connazionali. Quando mio figlio era piccolo lo abbiamo portato a un asilo organizzato dal Comites, ma per poco tempo. I primi anni cercavo quasi di evitare gli italiani, principalmente perché ero terrorizzata dall’idea di appartenere a un circolo chiuso, quasi a un ghetto. Con il tempo, invece, ho iniziato a condividere le stesse esperienze. Rappresento il Patronato Inca in Danimarca e mi reco all’Istituto italiano di cultura a Hellerup. Una volta alla settimana cerco di aiutare i pensionati nei rapporti con l’Inps. Nel tempo libero, cerco di dialogare con un gruppo di italiani in Danimarca attraverso i social network. Seguo sempre le vicende del Bel Paese sui giornali on line. In casa cuciniamo un po’ italiano e molto internazionale, danese incluso ovviamente. Mio figlio ama venire in Italia. Anche se, visto che è nato e cresciuto in Danimarca, è più danese che italiano, ma è orgoglioso di chiamarsi Francesco».
«Mi sento italo-danese anche se, per principio, ho conservato la cittadinanza italiana. Imparare la lingua è stato difficile, ma non impossibile. La mia famiglia vive in Italia, vado a trovarli almeno due volte l’anno. Dopo tredici anni vissuti in Danimarca, nel 2000 mi sono trasferita di nuovo in Italia ma ho resistito solamente un anno». Le difficoltà di ri-ambientamento hanno, purtroppo, avuto la meglio sull’entusiasmo. Se la prima decisione di vivere in Danimarca è stata dettata dal destino, la seconda è stata frutto di una scelta ampiamente ponderata. «Il primo impatto, nel 1987, fu eccezionale. Grazie al mio futuro marito ho conosciuto molta gente interessante. Suo padre era giornalista e, tra i conoscenti, aveva molti artisti e scrittori. Copenaghen, allora, era molto diversa: le classiche zone dei “ponti”, zone popolari o snob a seconda dei casi, avevano un’anima molto particolare. Adesso, dopo il risanamento architettonico di alcune aree, è tutto più uniformato».
Chiara ha affrontato l’inserimento con curiosità, non si è mai sentita discriminata. E ha cercato di mettere la sua esperienza al servizio degli emigrati. «Per molti anni non ho avuto contatti con italiani. Solo di recente ho iniziato a scambiare opinioni e a incontrarmi con altri connazionali. Quando mio figlio era piccolo lo abbiamo portato a un asilo organizzato dal Comites, ma per poco tempo. I primi anni cercavo quasi di evitare gli italiani, principalmente perché ero terrorizzata dall’idea di appartenere a un circolo chiuso, quasi a un ghetto. Con il tempo, invece, ho iniziato a condividere le stesse esperienze. Rappresento il Patronato Inca in Danimarca e mi reco all’Istituto italiano di cultura a Hellerup. Una volta alla settimana cerco di aiutare i pensionati nei rapporti con l’Inps. Nel tempo libero, cerco di dialogare con un gruppo di italiani in Danimarca attraverso i social network. Seguo sempre le vicende del Bel Paese sui giornali on line. In casa cuciniamo un po’ italiano e molto internazionale, danese incluso ovviamente. Mio figlio ama venire in Italia. Anche se, visto che è nato e cresciuto in Danimarca, è più danese che italiano, ma è orgoglioso di chiamarsi Francesco».
Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017