Diario di cemento

Triestino d’origine, emigrato dall’Italia nel 1959, Franz vende ai turisti pezzi del muro-simbolo della Guerra fredda. Un monito per tutti: «non dobbiamo dimenticare la storia».
05 Dicembre 1999 | di

Berlino
Tutti lo chiamavano «il muro», ma per la gente di Berlino era una ferita che tagliava in due la città . Dieci anni fa, il 9 novembre 1989 cadeva sotto i colpi della democrazia il primo frammento che porterà  alla caduta di tutto il muro. Lastra dopo lastra, venne smantellata lìintera barriera che divideva la Germania dell'Est da quella dell'Ovest. Non era solo la fine di un muro, ma anche la caduta di un'ideologia che sull'onda lunga di questo avvenimento, porterà  alla fine del regime comunista. Da allora quel simbolo è rimasto nella memoria storica. Dieci anni dopo, quando ancora il disco dei Pink Floyd The Wall dedicato al muro, continua a vendere migliaia di copie, siamo ritornati a Berlino per vedere cosa è rimasto di quel passato. Paradossalmente, per Berlino il muro era diventato il suo simbolo, e oggi la città  sta cercando nuovi emblemi avveniristici per riscattarsi dal suo passato. Ora che la città  è ridiventata la capitale della Germania riunificata, c'è qualcuno che chiede che il muro venga riedificato, solo ed esclusivamente per essere un ammonimento e un ricordo della recente storia. Effetto dissuasivo, oppure necessità  turistica? I turisti che oggi visitano la nuova Berlino, il più grande cantiere del mondo, si domandano dove sia quel muro che rappresentava la guerra fredda fra la Russia e l'America.

 

   Si cerca nei ricordi, nella storia, e nelle guide turistiche. Invano, però, perché dove c'era il muro oggi è rimasta una linee bianca sull'asfalto, davanti alla Porta di Brandeburgo. A meno che, non ci si voglia accontentare di un souvenir per turisti. È possibile che i tedeschi stiano vendendo la loro storia o è solo mania di «collezionismo» da parte di viaggiatori in cerca di cimeli?
Non ci si può sottrarre alla tentazione di poter comprare un frammento di muro, proprio dove un tempo questo divideva la città . Una vera caccia alle memorie della guerra fredda che contagia migliaia di visitatori. Ciò che rimane è qualche palazzo diroccato e qualche Trabant    la macchina d'epoca, guardata più come un pezzo da collezione. Oggi si viaggia dall'est all'ovest in pochi minuti di metropolitana, senza accorgersene.
   Laddove è stato salvato un tratto di muro scampato alla distruzione dell'89 per volontà  degli abitanti del quartiere, incontriamo Franco Franz il cui vero nome è Francesco: un emigrante italiano di 67 anni, arrivato a Berlino nel lontano 1959, e che ha visto tutti i mutamenti della città . Ha sposato Gitta, una berlinese dell'ex Germania dell'Est, quando il muro non era ancora stato innalzato.
     Il dialetto triestino, Franz non se lo è dimenticato, e non appena mi sente parlare in italiano, è pronto a rivelare la sua identità . Un uomo tranquillo dalla voce bassa, che oggi vive di quello che riesce a guadagnarsi vendendo frammenti di muro ai turisti di passaggio. Un piccolo banchetto a pochi metri dal Checkpoint Charlie, con qualche foto, tanti pezzi colorati di cemento, e qualche stemma dell'Armata Rossa. A Berlino, questo commercio è diviso tra immigrati turchi e greci; Franz è un'eccezione. Una strana coincidenza: «proprio lì - fa notare Franz - si vedono i resti del muro e di alcune case appartenute alle SS nel periodo nazista». Il luogo è diventato un piccolo museo all'aperto con fotografie sugli orrori della grande guerra. I muri di nazismo e comunismo, entrambi caduti in rovina.
         Franco Franz ci racconta come il muro fosse stato edificato in tutta fretta, e in pochi giorni, nella primavera del 1961. Allora, fu tracciata una linea che comprendeva case, palazzi, strade e chiese: quello era diventato il confine tra l'Est e l'Ovest. «Quando eressero il muro - precisa Franz - noi che abitavamo all'ovest fummo presi alla sprovvista. Tutto fu rapidissimo, anche se all'epoca a Berlino si respirava un'aria di tensione, che ricordava i momenti peggiori del nazismo. Una linea tracciata sulla carta è stata la soluzione definitiva: gli alleati all'ovest, i russi all'est». La linea della morte la Todesstreifen tagliava da nord a sud la Germania. «Pensavamo che molto presto sarebbe scoppiata una guerra tra le due superpotenze: quel muro poteva essere il pretesto definitivo».
In realtà  non ci fu uno scontro armato, ma un confronto durissimo che durò per anni, col nome di Guerra fredda. «In quel lontano 13 agosto del '61 - ricorda Franz - , ero curioso di vedere cosa stesse accadendo: io stesso vidi i primi soldati volontari che vennero schierati davanti alla storica Porta di Brandeburgo, laddove oggi i turisti passano con i loro pullman. Fin da quando ero giovane mi sono trovato a dover convivere con le guerre: prima quella per la difesa dell'Istria da parte italiana, poi la seconda guerra mondiale, e per finire la divisione della Germania».
                                                                                                  

La profezia del padre di Gitta

Dopo la spartizione, i berlinesi ripetevano che la situazione non poteva che migliorare, perché il peggio lo stavano già  vivendo. In pochi giorni vennero tagliate tutte le vie di comunicazione: strade, ferrovie, aeroporti, e migliaia di persone furono separate di punto in bianco. La Volks-polizei (Polizia del popolo, ndr    ) gestiva l'ordine pubblico nella zona Est. Chi riuscì a fuggire, scappò all'ovest nella maniera più rocambolesca. Per molti anni i giornali dell'Ovest riportavano le vicende e i morti durante le fughe dalla Germania dell'Est.
    Franz ricorda come lo stesso padre di sua moglie Gitta, che viveva all'Est, mandò dopo molti giorni un messaggio su un pezzo di carta di giornale, dicendo: «Carissimi& probabilmente non ci vedremo per molte settimane». Suo padre morì due mesi dopo a causa di un attacco di cuore «senza ombra di dubbio - osserva Franz - per conseguenza di ciò che rappresentava quel muro. Fu in quella triste circostanza che entrammo per la prima volta nella Germania dell'Est. Passammo a piedi per il Checkpoint Charlie con il permesso speciale, avuto grazie al passaporto italiano.
«Allora non avevano ancora eretto il muro di cemento armato: esisteva un muro provvisorio circondato da un infinità  di reticolati e sorvegliato a vista da decine di soldati che non esitavano a sparare. Per tirare i reticolati furono impiegati 50.000 soldati in una sola notte».
Franz ricorda tutto alla perfezione: per questo ha scritto un piccolo libretto che vende ai turisti al prezzo di otto marchi. «Andavo all'Est solo per incontrare gli amici e i parenti. Le strade erano impraticabili e piene di buche. Alexander Plaz     era l'unico centro commerciale dove la merce arrivava in stock per poi sparire per settimane intere dagli scaffali. La gente, per necessità , indossava ancora le divise e i cappelli dell'armata nazista di vent'anni prima. Le case davano un'immagine di tristezza, e le persone erano ben accorte a non dare confidenza per non incappare nella famigerata Stasi (Polizia segreta, ndr     )». Un incubo per tutti, se si pensa che molti familiari finivano per denunciare i loro parenti nel nome della sicurezza dello Stato. In tutta la città  si contavano più di 12.000 agenti segreti. «La prima cosa che fecero dopo aver eretto il muro - dice Gitta Frank - è stata quella di interrompere tutte le vie d'accesso alla città  e chiudere le uscite della metropolitana». Il muro, che in realtà  era diviso in due, era colorato di graffiti da una parte e bianco dall'altra; ciò permetteva di individuare più facilmente coloro che tentavano la fuga di notte. Per questo molte persone persero la vita, come dimostra oggi un piccolo museo presso l'ex Checkpoint Charlie. «Si scappava in macchina, dentro le valigie, o attraverso i tunnel di 80-100 metri, costruiti dai partigiani e organizzati dagli studenti», spiega Franz.
                                                                                                                                         

Urlate al mondo la pace

      Per un certo periodo fino agli anni Settanta, l'economia della Germania dell'Est era stabile; di lì a poco, iniziò la recessione e la popolazione ne subì direttamente le conseguenze. «Nei negozi si trovava poca roba - ricorda Gitta - e noi potevamo portare all'Est solo pochissime cose: sapone (quello dell'est puzzava tremendamente), calze di nylon, caffè e vestiti. Sapevamo cosa non dovevamo portare per evitare la perquisizione: giornali, libri, in particolare Topolino ritenuto un simbolo del capitalismo, fiori recisi, radio e televisori. Le foto potevano essere fatte solo in certe zone». «Ricordo un fatto - aggiunge Franz - accaduto nel 1985 a un ufficiale americano, freddato da una sentinella mentre stava fotografando una caserma.
  «Conoscevamo i discorsi fatti sui cittadini dell'Ovest dalla propaganda della Germania dell'Est. Raccontavano ai bambini che noi 'imperialisti' avevamo le corna come gli animali, e li avremmo derubati se fossero passati di qua!». Oggi, Franz e Gitta hanno la casa piena di frammenti di quel muro; i loro ricordi sono dentro la storia di quei pezzi colorati che hanno staccato dalle lastre di cemento quando vennero stipate in un luogo abbandonato alla mercé di tutti. «Non pensavamo che un giorno avrebbero raggiunto un valore così alto; qualcuno è disposto a pagare fino a 200 dollari per venti centimetri di muro!».
    Ormai Berlino è cambiata, e i racconti dei suoi testimoni sembrano più distanti dalla Berlino moderna di quanto non siano dieci anni di storia appena trascorsi. Il muro è stato completamente smantellato; in molti casi è stato frantumato per fabbricare nuovi palazzi e strade. Il ferro ricavato è stato riciclato e nuovamente fuso. Questo muro è diventato parte di una città  tutta rivolta al futuro. «Hanno sbagliato - osserva Franz - a smantellare completamente il muro. Dovevano conservarne un tratto per dimostrare a tutti la storia di questa città . Non basta tracciare un segno bianco sull'asfalto per ricordare cos'è stata la Guerra fredda. Anche se la piccola statua di bronzo continua a gridare il suo messaggio di speranza davanti alla porta di Brandeburgo, con le parole del Petrarca: Urlate al mondo la pace». Franz è preoccupato che si dimentichi tutto e troppo in fretta. La stessa frenetica fretta di quel turista, che comprando il suo pezzo di muro, gli domanda se è originale!
                              

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017