Famiglia è... accogliere l’altro
La scelta è maturata lentamente. Dopo due figli naturali, abbiamo sentito che non potevamo essere padre e madre dei nostri bambini e disinteressarci di tutti gli altri ` ci dice Matteo che, insieme ad Anna, ha da poco presentato domanda di adozione `. Abbiamo già avuto l`idoneità , adesso stiamo a vedere se arriverà un bambino. Ma senza ansie: la nostra casa è aperta, noi siamo disponibili, se ci sarà un piccolo che ha bisogno di noi, siamo pronti ad accoglierlo. Prima di pensare all`adozione, ero rimasta incinta tre volte, senza mai riuscire a portare avanti la gravidanza ` racconta Stefania che, con Fabrizio, ha adottato Luca, oggi tredicenne, e Mascia, sette anni `. Il primo figlio, brasiliano, al momento dell`adozione aveva appena quindici giorni. Un`esperienza positiva, sotto tutti i punti di vista ` ricorda Stefania `. Più difficile, invece, la seconda adozione. Mascia è giunta dall`Ucraina a quattro anni e mezzo e il periodo trascorso in istituto ha lasciato segni evidenti. E poi abbiamo avuto quasi la sensazione di doverla comperare. Durante il soggiorno in Ucraina, infatti, abbiamo dovuto ungere ogni funzionario incontrato. Quello di Katiuscia è stato un affido anomalo, durato sette anni ` spiega Simonetta `. Lavorando come psico-pedagogista, ho spesso a che fare con adolescenti o pre-adolescenti. E Katiuscia era una di loro. Aveva 11 anni quand`è entrata in casa nostra. Una scelta non semplice, quella dell`affido, dopo appena due anni di matrimonio, compiuta più con il cuore che con la mente come Simonetta stessa ammette. Mi sono trovata coinvolta, per il mio lavoro, in questa relazione. Ho visto la sofferenza di Katiuscia e, siccome credo nel valore della vita, ho deciso di rispondere. Penso che ogni persona abbia in sé la forza per stare bene ` prosegue Simonetta ` però ha bisogno di avere modelli positivi. Io ho cercato di essere, per Katiuscia, uno di questi modelli. Rossella e Angelo hanno adottato a distanza due ragazzi, il primo in Kenya, la seconda in Cile. Lo abbiamo fatto per condividere ciò che abbiamo ` racconta Rossella `, una condivisione piccola, certo, ma utile per chi non ha quasi nulla. E poi, è proprio bello sapere di avere appendici della propria famiglia sparse nel mondo. Diverse per estrazione sociale, livello culturale, stili di vita, queste famiglie sono unite dallo stesso desiderio di uscire dal proprio angolino tranquillo. Sono famiglie aperte o, più esattamente, famiglie accoglienti. La spinta all`accoglienza può avere motivazioni differenti, legate a convinzioni religiose, impegno sociale, valori etici. Una famiglia ` afferma Giuliana Proietti, psicoterapeuta, consulente del circuito Mondofamiglia di Trento e direttrice del sito www.psicolinea.it ` decide di aprirsi quando sente di essere sufficientemente forte da potersi offrire come supporto per altre famiglie o singoli che si trovino a vivere situazioni meno fortunate della propria. Alla base della decisione sta un atteggiamento empatico di uno o più componenti della famiglia nei confronti di terzi, che consente di mettersi dalla parte dell`altro, di sentire ciò che l`altro sente, comprendere i suoi bisogni e provare gratificazione nell`offrire il proprio aiuto. L`apertura agli altri è connaturata all`essenza stessa di famiglia: il nucleo familiare è fondato su un amore che è specchio di quello che unisce Cristo alla Chiesa. Un amore fecondo, i cui frutti non sono solo i figli generati dalla carne, ma anche bambini abbandonati, momentaneamente privi di famiglia, persone sole, in difficoltà , disabili, ammalati, anziani, immigrati`¦ Una famiglia aperta ` prosegue Giuliana Proietti ` riesce ad assumere un atteggiamento oblativo anche nei confronti di terzi, senza per questo compromettere i rapporti fra i componenti interni del gruppo familiare, che, anzi, ne escono rafforzati dall`impegno per il raggiungimento di obiettivi comuni e condivisi. Eppure, sembra esserci una certa resistenza a lasciare entrare l`altro in casa, quasi si temesse la perdita di qualcosa. E invece una famiglia poco centrata su se stessa non rischia nulla ` insiste Proietti `. Il rischio c`è solo se un nucleo familiare non è sufficientemente forte, ovvero manca di quella coesione interna che deriva dalla condivisione degli ideali, religiosi, politici, o sociali: l`importante è avere la certezza di spendersi per qualcosa che sia eticamente molto più grande del piccolo sacrificio che richiede. E i frutti dell`accoglienza si vedono ` conclude Giuliana Proietti `. Sono legami affettivi intensi e rafforzati fra i componenti della famiglia. E, soprattutto, c`è la consapevolezza che l`essere conta più dell`avere.