Fenomeno festival

Nello scenario culturale italiano i festival di approfondimento si sono imposti come esempio di vitalità, stimolo per la mente e per lo spirito, ma anche volàno per l’economia.
28 Marzo 2011 | di

Italia, Paese del festival. Vero, non tanto per Sanremo, ma per il numero record di rassegne denominate «festival»: chi si è messo a contarle ne ha censite ben 1.300, quasi quattro al giorno, nessuno come noi in Europa. A elencarle tutte, non basterebbe la pagina. Ma la quantità non è l’angolatura più adatta per fotografare il nuovo corso del festival. Questa parola, sempre usata solo per le rassegne di spettacolo (cinema, teatro, musica), ha acquisito un nuovo valore da una quindicina d’anni a questa parte grazie ai festival di approfondimento culturale, una ventata d’aria fresca nello scenario di casa nostra. Qualche esempio di successo, per qualità e pubblico, sono Festivaletteratura di Mantova, Festival dell’economia di Trento, Torino spiritualità, Festival del giornalismo di Perugia, Festival filosofia di Modena-Carpi-Sassuolo, Festival della scienza di Genova, Festival biblico di Vicenza.

Da cosa sono accomunate queste sigle? Sono tutti eventi in cui il pubblico cerca «l’approfondimento assieme al valore esperienziale e alla trasmissione del sapere», per dirla con Guido Guerzoni, docente di Economia e management delle istituzioni culturali all’Università Bocconi. La formula vincente comprende poi i seguenti ingredienti: l’unità di tempo (pochi giorni ravvicinati di programma), di luogo (in genere il centro storico del Comune ospitante) e di tema, che dà il nome alla rassegna. Guerzoni, tra i primi a studiare il fenomeno, individua il cuore dei festival nella «centralità della parola e del discorso come mezzi per veicolare messaggi, idee e riflessioni». Anche nel calendario le scelte si somigliano: le stagioni preferite sono la primavera inoltrata (maggio, giugno) e le prime settimane dell’autunno (settembre, ottobre). Nel programma non mancano spettacoli, concerti o mostre, «ma tali eventi – prosegue l’esperto – sono complementari a quelli che hanno al centro l’incontro con un determinato individuo: il suo spiegare, comunicare, leggere, trasmettere».
 
Originali e imitazioni
 
Con questa descrizione già si ridimensiona il campo, rispetto al gran numero di festival citato all’inizio: solo una cinquantina rispondono alle caratteristiche necessarie, secondo quanto sostengono Marco Paiola e Roberto Grandinetti, docenti della facoltà di Economia dell’Università di Padova nel loro Città in festival. Nuove esperienze di marketing territoriale (FrancoAngeli 2009). Gli altri sono imitazioni, o sovrapposizioni del titolo di festival a quelli che più propriamente sono congressi, sagre, fiere, mostre-mercato. Sottolinea Guerzoni: «Dal Festival della fantascienza (che si tiene regolarmente a Trieste dal 2000) siamo passati alla fantascienza dei festival, in un Paese in cui, secondo i dati Istat, un italiano su tre non ha mai letto un libro e due su tre non ne leggono nemmeno uno all’anno e in cui l’analfabetismo, di andata o ritorno, riguarda svariati milioni di connazionali».

Luca Nicolini, libraio e presidente del comitato organizzatore del Festivaletteratura di Mantova, parla in proposito di «bulimia di manifestazioni, che può creare anche qualche sospetto. Appiccicare la parola festival a qualsiasi cosa pur di creare un minimo di movimento non è una soluzione che porta sempre benefici. Io credo che il fenomeno festival sia un segno di grande vitalità, ma bisogna che sia un po’ governato. I festival dovrebbero nascere partendo da buone idee, innovative e coraggiose, idee di qualità. Altrimenti possono sorgere problemi, con iniziative che magari hanno ricevuto cospicui finanziamenti eppure non hanno avuto successo, creando scompensi con altre attività di tipo culturale». Uno scenario che non è certo favorito dalla crisi economica, né dalle casse vuote degli enti locali, primi interlocutori istituzionali dei festival.
 
Ricadute culturali sociali ed economiche
 
Eppure, contro ogni scetticismo e malgrado la scarsità di fondi, il fenomeno festival ha preso piede e sta avendo un buon successo, con tre principali ricadute, sul piano culturale, sociale ed economico. Il valore culturale è dato dalla dimensione esperienziale dell’evento, che fa rivivere lo spirito dell’agorà, della piazza, luogo di incontro e confronto, di condivisione e di comunicazione. Poniamoci dalla parte di chi partecipa: trova una città in fermento colorata dai riferimenti del festival; esperti-scrittori-intellettuali altrimenti inavvicinabili di persona; un palinsesto di eventi anche concomitanti grazie al quale può costruire un percorso personalizzato; un pubblico che condivide la ricerca di rinverdire domande o di precisare risposte; un centro storico da scoprire nelle sue eccellenze artistiche e gastronomiche. Alla fine ci si porta a casa un libro, un’idea, una conferma, un dubbio, nella migliore delle ipotesi un’apertura di orizzonte.

C’è chi ha imputato il successo dei festival all’inadeguatezza delle istituzioni culturali tradizionali (università, scuola, famiglia) e dei media generalisti (tv e radio), ma in realtà le rassegne fanno storia a sé, ponendosi in una dimensione intermedia tra l’accademia e la televisione, in uno spazio che, semplicemente, nel nostro panorama culturale prima non c’era. E che non è nemmeno sovrapponibile all’altra forma di consumo culturale in voga, ovvero internet e l’interazione digitale del web 2.0, quello dei social network e dei contenuti creati dagli utenti. Se posso seguire in diretta video o reperire in differita le singole conferenze nel sito del festival, perché dovrei scomodarmi a essere presente di persona? «In realtà – risponde Marco Paiola – nel concetto di festival la fisicità e il luogo sono fondamentali: non farei un confronto tra prodotto virtuale e fisico. Il web è solo uno strumento in più per divulgare il senso del festival, mentre i luoghi sono il motore dell’evento. Ad esempio, il Festivaletteratura non sarebbe tale se non fosse a Mantova, col suo borgo medievale, il suo centro accogliente, i suoi poli di attrazione».
La questione della territorialità introduce al valore sociale dei festival. Intanto perché, volente o nolente, è l’intera cittadinanza a essere coinvolta, non fosse altro che per il gran numero di persone che affollano il centro nei giorni deputati alle rassegne. Il fatto è che, come ben intuito da Paiola e Grandinetti, le città in festival sono città alla ricerca attiva di una loro identità, che mettono a disposizione il meglio delle proprie realtà per ripensarsi nel senso dell’agorà. Uno sforzo positivo che coinvolge amministratori, volontari, commercianti, associazioni, eccetera. La città che ospita un festival di approfondimento culturale è in genere un centro di medie o piccole dimensioni (più Mantova che Milano) e localizzato al Nord, probabilmente in periferia. La regione più prolifica, l’Emilia Romagna, ne è un esempio: nessun suo festival si tiene a Bologna.

Altro punto che accomuna molte esperienze: non sono le tradizionali agenzie culturali – università, accademie, fondazioni, scuola – a rendersi promotrici delle rassegne. Torino spiritualità è ideato e coordinato dall’associazione «Circolo dei lettori», il Festival internazionale di poe­sia di Genova dall’associazione «Circolo dei viaggiatori nel tempo», Pordenonelegge addirittura dalla locale Camera di commercio. Forze del posto, magari sconosciute fuori dai confini provinciali, ma capaci di dare il via a una nuova primavera culturale in grado di attirare visitatori da tutto il territorio nazionale. Perché è chiaro, il turismo ha molto da guadagnare dal fenomeno festival. È il terzo aspetto, quello economico. Contrariamente a chi pensa che investire in cultura significhi buttar via soldi, le sorprese non mancano, come dimostrano le più serie ricerche. Guido Guerzoni, ad esempio, ha calcolato che l’investimento iniziale del Festival della mente 2007 di Sarzana (La Spezia) «ha generato un impatto pari al settuplo del valore iniziale, un dato che va comunque assunto con la massima cautela: se infatti venissero incluse tutte le spese sostenute dai partecipanti, è probabile che il multiplo oscillerebbe tra 8 e 9». Non è che l’ente organizzatore – spesso non profit – ci abbia guadagnato: questa moltiplicazione tiene conto dei tanti effetti positivi sul territorio, dell’aumento di lavoro per commercianti e ristoratori, per librerie e musei, per taxi e bus, e via dicendo. Con ricadute anche in termini occupazionali, pur se inferiori rispetto all’estero, dove magari i festival saranno meno, ma di più lunga tradizione. Racconta Marco Paiola: «In altri Paesi europei sono sorte, appositamente per il prodotto festival, società specializzate nell’organizzazione, logistica, pulizie, catering, vigilanza, e via dicendo. Tutto un insieme di servizi dedicati agli eventi culturali molto strutturati»
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Cosa riserva  il futuro
 
La questione «professionalizzazione» è determinante per inquadrare il futuro dei festival. L’emersione del fenomeno, la sua fase pionieristica – accade spesso così – è dipesa dalla buona volontà di pochi, dalla loro passione, e il risultato è stato un prodotto artigianale, nella migliore accezione possibile del termine.
Non tutti i germogli di festival però si sono evoluti in forma stabile. Molti si sono persi per strada, ridimensionati o spariti, e anche i più consolidati sono a rischio con l’attuale calo delle disponibilità di fondi pubblici. Non è il caso del Festivaletteratura di Mantova, dove il contributo del Comune è passato da un già basso 8 al 4 per cento del budget, laddove ci sono casi che si sostengono quasi in toto con soldi pubblici.
Festivaletteratura in questo – e non solo – è un modello, con il suo stile inconfondibile e la sua «lunga» storia: «Fin dall’inizio della nostra avventura, nel 1996, abbiamo cercato di renderci il più possibile autonomi – spiega Luca Nicolini –, anche per non gravare troppo sui contributi istituzionali. Certo che ora il sostegno comincia a essere veramente irrisorio. Più che altro, ci preoccupa il non capire bene se le politiche culturali in questo Paese e nella nostra città vengano ritenute importanti, sia per la qualità della vita delle persone, sia come fonte di sviluppo economico».

Per Marco Paiola è da attendersi un’ulteriore selezione del palinsesto dei festival: «Rimarranno in piedi quelli gestiti in modo professionale e che hanno fatto attività di fund raising (raccolta di fondi), che sono riusciti a coinvolgere anche il tessuto locale nella partecipazione ai finanziamenti. Questo significa diventare più professionali anche da un punto di vista del marketing e della qualità di ciò che si offre all’utente finale».
Ma di festival, comunque, continueremo a parlare ancora a lungo: «Penso che i maggiori – conclude Paiola – abbiano un ciclo di vita che può durare negli anni. Ovviamente nel lungo termine potrebbe anche esserci un’estinzione, ma si tratta comunque di un prodotto culturale e turistico difficile da cancellare, perché ha tanti elementi vincenti: ti consente di staccare dalla tua vita, di andare in un luogo mai visitato, seguire le tue passioni, visitare una bella città, incontrare persone, conoscere gli autori».
 
Zoom
 
Le rassegne della primavera
 
        Festival della cultura – Bergamo 1-19 aprile
sito www.bergamofestival.it     
     
       Festival del giornalismo – Perugia 13-17 aprile
sito www.festivaldelgiornalismo.com    

     Vicino/lontano – Udine 12-15 maggio
sito www.vicinolontano.it 

Festival della cittadinanza – Padova 13-15 maggio
sito www.festivaldellacittadinanza.it         

PiacenzaTeologia – Piacenza 13-15 maggio
sito www.piacenzateologia.org

Festival biblico – Vicenza 20-29 maggio
sito www.festivalbiblico.it 

Festival economia – Trento 2-5 giugno
sito http://2011.festivaleconomia.eu 

Festival della comunicazione – Padova 3-8 giugno
sito www.festivaldellacomunicazione.it      
      
L’intervista
 
«Meglio esserci»
  
Davide Rondoni è un poeta e intellettuale cattolico, fondatore del Centro di poesia contemporanea dell’Università di Bologna. Noto al grande pubblico come editorialista di «Avvenire», «Il Tempo» e de «Il Sole 24 Ore», è direttamente coinvolto nell’argomento che stiamo trattando anche perché dirige il festival dantesco Dante09 a Ravenna.

Msa. L’Italia conta il maggior numero di festival in Europa. Può essere un segnale positivo?
Rondoni. È il segno di una grande crisi – secondo me salutare – dello statuto illuministico del sapere.
Mi riferisco al grande paradigma della trasmissione del sapere, cioè l’idea per cui lo Stato garantisce il sapere e la tradizione passando ai suoi cittadini l’enciclopedia trasformata in programma scolastico o in museo.
Tutto questo non tiene più, perché, attraverso i festival o eventi simili, pur con tanti difetti, si sta ridimostrando che invece la conoscenza è un avvenimento che deve toccare la persona, coinvolgendola.

Da parte cattolica c’è chi si dimostra diffidente, lamentando la scarsa presenza di voci cattoliche nelle rassegne. Cosa ne pensa?
Che coi lamenti non si costruisce niente.

Come fare allora per favorire l’apporto cristiano?
La cosa migliore è esserci. A me è capitato abbastanza spesso di essere ospite di festival letterari o eventi culturali. È vero che magari voci cattoliche non sono protagoniste come altre, ma questo è un problema della cultura più in generale, non dei festival. Se c’è un problema di debolezza della cultura cattolica – riscontrabile soprattutto nei decenni passati – non è colpa dei festival, ma dei cattolici, che si sono nascosti nelle sacrestie, o hanno fatto scelte di altra natura. Di conseguenza, nel momento in cui c’è un dibattito pubblico, le loro idee non sono ritenute interessanti. Poi sappiamo bene che non si può misurare la vita del cristianesimo dal successo nei festival.

I festival culturali sono una moda passeggera o hanno un futuro?
Dipende da quanto sono essenziali per le persone che li fanno e li sollecitano. Può essere che nel tempo i festival cambino, perché sono forme, non cose. La questione vera, a mio parere, è se durerà l’identità di chi li promuove. Poi la formula potrà continuare a essere quella che conosciamo, o meno.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017