Francesco e Antonio, due santi per una città
Strano destino, qui a Rieti, per questi due santi. In molti mi dicono: «Altro che Assisi, doveva essere san Francesco da Rieti». Ma poi mi parlano sempre di Antonio.
Come Ilaria: «Guarda, io in chiesa ci vado poco. A Natale, a Pasqua forse. Ma alla processione di Antonio ci sono sempre andata. Sono lì con il mio cero in mano. Ci andrò sempre. Ci andava la mia bisnonna, mia nonna ancora ci va e mia madre mi aveva in pancia già da otto mesi, ma non per questo rinunciò alla processione del Santo». Ci salutiamo. Ma lei ci tiene ad aggiungere: «E non chiedo nulla. Solo una volta lo ringraziai perché mi avevano ammesso alla maturità. Non ci speravo, credo che mi abbia dato una mano».
Rieti, piccola grande città
Rieti è una piccola città di 46 mila abitanti. Bella, molto bella. «Centro d’Italia», Umbilicus Italiae, a dar retta ad antichi eruditi. Città di Papi, Rieti. Sul selciato di via Cintia, un madonnaro ha dipinto una grande immagine di sant’Antonio. Ridiscendo fino al fiume, fino alla chiesa di San Francesco, la seconda basilica eretta in nome del santo dopo quella di Assisi: Valentino, segretario della Pia Unione di Sant’Antonio, mi apre la porta.
La chiesa, senza parroco, è affidata alle cure dell’associazione. So che la statua del Santo è nella prima cappella. Eccola, sopra l’altare. C’è una sorta di mobile scuro dove ancora vi sono le foto dei dispersi in guerra. Le mogli, le madri chiedevano al Santo la grazia di un ritorno impossibile. Ma, nel 1945, mentre la statua del Santo stava per uscire in processione, uno di loro riapparve per davvero. Spuntò da via del Mattonato per riabbracciare la sua donna. Credono ai miracoli a Rieti. Credono, con passione, ad Antonio.
«Antonio ha unito la gente»
Al pranzo annuale della Pia Unione, a capotavola siede, ospite d’onore, il sindaco. Simone Petrangeli, 41 anni. Sindaco di Sel. Origini in Rifondazione Comunista. Posso stupirmi? «No – sorride –, Antonio è identità di questa città. Ha unito la gente di Rieti. Ci ha donato il senso di appartenenza a una comunità, al di là delle idee di ognuno di noi. Qui, a giugno si respira un’aria diversa». Ed è Petrangeli a ricordarmi i miracoli del Santo e la gratitudine di Rieti.
I tedeschi, nel 1944, se ne andarono. Era il 13 giugno, giorno del Santo, giorno di libertà. Gli alleati entrarono tre giorni dopo e trovarono Antonio ad aspettarli. «La processione non si è mai interrotta, nemmeno negli anni della guerra», mi dice Fabrizio Tomassoni, 58 anni, storico della Pia Unione. Non me ne voglia santa Barbara, patrona della città, ma in molti, arrivati a Rieti, credono che il patrono sia Antonio. «Il patrono estivo», dice il sindaco. Ho il dubbio che Francesco possa essere geloso.
Il vescovo Pompili: «Antonio, il santo dei poveri dei contadini»
Salgo i gradini del palazzo papale. Nelle sue sale, nel 1231, papa Gregorio IX, in fuga da Roma, incontrò i padovani venuti a implorare la canonizzazione di Antonio morto da meno di un mese. Vado dal vescovo. Da Domenico Pompili, 54 anni. Lo scorso agosto, celebrò la Messa al funerale delle vittime del terremoto ad Amatrice. Disse: «Non uccide il terremoto, ma le opere dell’uomo».
E Antonio? «La gente dei campi lo ha subito amato. Questo è stato ed è ancora un territorio di contadini. Il Santo risponde a un bisogno urgente, a necessità reali. Francesco era radicale, spirituale. Antonio è più terreno, più carnale». Già, i campi coltivati a grano attorno a Rieti. Altro miracolo di Antonio: nel giugno del 1926, settimane di piogge ininterrotte rischiavano di far marcire i raccolti, i contadini chiesero la protezione del Santo, la sua statua venne esposta e le piogge cessarono alla vigilia del 13 di giugno. Arrivò un mese di sole e fu possibile un doppio raccolto. «Antonio è il Santo dei poveri, dei contadini. Non appartiene ai signori», mi avverte sonoramente Umberto, uno dei capisquadra della processione. Il Bambino, sorretto dalla mano del Santo, qui stringe tra le dita tre spighe d’oro, tenute assieme da un nastro tricolore.
Campane e fuochi d’artificio
A Rieti l'intero mese di giugno è dedicato alla festa, alla preghiera, alle benedizioni, alla fede. E alla processione: la processione dei ceriLa statua viene esposta il 12 di giugno e portata per le vie della città l’ultima domenica del mese. La Pia Unione, risorta nel 1812 dopo la soppressione decisa, nel 1739, da Clemente XII, è l’associazione che organizza i giorni di giugno. Ha migliaia di segnati. Per tradizione e fede, i reatini vi iscrivono i propri figli appena nati. Devo imparare il glossario della Pia Unione: i cercatori vanno di casa in casa a fare la questua, i festaroli sono la gente della festa, i bollettari sono i ragazzi che annotano offerte e iscrizioni.
Nel tardo pomeriggio dell’ultima domenica di giugno, la statua di Antonio, con addosso l’oro degli ex-voto, va in processione su un’imponente macchina votiva. Un baldacchino con angeli dorati e candelieri. Pesa quattordici quintali. Sedici uomini vi si incollano sotto, portano a spalla la statua. I portatori sono estratti a sorte. Sono quattro squadre divise per altezza: ogni cento metri si danno il cambio lungo un cammino di cinque chilometri.
Tappeti di fiori e donne con i ceri
Decine di migliaia di persone assistono alla processione. Tappeti di fiori accolgono i passi della statua. Decine e decine di donne, vestite di nero, precedono il Santo. In mano un grande cero. Che può raggiungere i venti chili di peso. «Ogni anno porto un cero più pesante», mi dice una donna. Molte sono a piedi scalzi.
La statua di sant'Antonio esce con cautela, non può urtare gli stipiti del portone: sarebbe un segno di malaugurio. Ondeggia sul sagrato, viene poggiata a terra, esposta, sollevata nuovamente. Poi viaggia, ruota, cammina per la città. Campane e fuochi d’artificio, rullo di un tamburino. Luminarie e preghiere, applausi e devozione, musica di bande e sacralità. La statua rientrerà in chiesa solo a mezzanotte.
L'articolo completo nella rivista di marzo 2017 e nella versione online.