A Giuda, fratello pentito
Scrivo questa lettera per il numero di maggio nel giorno di Venerdì Santo, con la speranza che quando essa apparirà sul giornale abbia conservato lo spirito che oggi la ispira. È una lettera a te, Giuda, il più vituperato degli apostoli, ancora inseguito dall'onta del tradimento dopo duemila anni dal bacio deposto sulla guancia di Gesù per indicare il Salvatore alla soldatesca che dovrà arrestarlo. Eppure tu sei il simbolo perfettissimo in cui si cela tanta parte di noi, ormai arrivati alle soglie del terzo millennio senza che nulla sia mutato, del nostro animo, dai tempi del tuo gesto ignominioso e terribile. Sei così simile a noi, o noi ci specchiamo a tal punto in te, che in qualunque parte del pianeta assegnatoci dalla creazione nessuno può dire di non avere mai tradito o di non essersi mai esposto al tuo turpe peccato. Chi non ha mai ceduto, o non è andato vicino, alla tentazione di ingannare, violare princìpi, sconfessare ideali per quei 'trenta denari'? Le spettacolo della corruttela, comunque si manifesti, non è sotto i nostri occhi ad ammonirci che il male ci segna dall'origine e che gli siamo di continuo soggetti al di là di ogni aspirazione al bene? E quanti, non di meno, sono colti dal pentimento fino a non voler altro che cancellare, addirittura sopprimendo se stessi, l'insopportabile colpa? Sento, fratello Giuda, che ti dobbiamo il medesimo sentimento di pietà che vorremmo per noi quando ci si trova alle prese con la coscienza ferita; e mi chiedo perché dovrebbe esserti negato se hai redento la tua infamia con un pentimento che è ancora là , ad ammonirci terribilmente. Chi siamo noi per farci giudici di un peccatore che ha addirittura giustiziato se stesso, venuto al colmo di una incontenibile vergogna? Non è forse credibile che Gesù ti abbia portato al cospetto del Padre, presentandosi a lui con il piccolo corteo dei crocifissi, e di te impiccato a un albero, cioè al quarto dei patiboli? Santa Cristina di Genova narra di una visione in cui Gesù le dice: 'Se sapessi quello che ho fatto per Giuda!'. Oppure crediamo che Cristo sia morto per i virtuosi e i forti, e non per i deboli e i peccatori? In realtà la tua storia riconduce alla nostra, anch'essa con le sue cadute, di rado redente da un bisogno di punizione e di perdono. Eppure abbiamo alle spalle venti secoli illuminati dalla parola di Gesù. Tu, Giuda, hai imparato a tue spese, nel precipitare di un giorno cruciale, in cui si avverava tutta la profezia, compresa la tua malefatta, che la libertà lasciataci dal Padre di rinnegare chi è venuto a liberarci dal male e dalla morte è il dilemma da cui si esce vincenti solo affrontando a braccia nude e a piedi scalzi un intrico di rovi, e che non a tutti la grazia - 'gratis data' - dà la forza per uscirne indenni. Perciò, nel suo 'Quinto Evangelio', Mario Pomilio ti fa dire: '...io non fui il traditore, fui piuttosto la vittima di un piano di salvezza, esteso a tutti gli uomini, che per esplicarsi perfettamente doveva escludere me'. Per i più, da allora la salvezza resta un dibattito a porte chiuse tra anima e corpo, origine e destino, terra e cielo, eternità e storia, da cui si esce feriti e saguinanti; senza sapere se saremo capaci di sciogliere il mistero della fede superando con le sole nostre forze i muri della cecità e della sordità , sciogliendo i lacci del dubbio, sgomimando l'incredulità o, semplicemente, l'impotenza. Ecco perché, mentre la domenica le campane annunciavano la salita in cielo del Figlio, ho pensato nella sua pace anche te, che pure avevi compiuto il gesto della perdizione estrema, che non è lecito compiere perché è la peggiore delle negazioni, quella di toglierti ciò che di più alto e doloroso, ma fondamentale per uscire dal niente, ti è stato offerto: la vita. E mentre guardavo le macchie viola, il colore degli addolorati, dei fiori del tuo albero, ti ho sentito più vicino di tante pur buone, brave, obbedienti, devote persone che, magari senza saperlo e potersene fare uno scrupolo, vivono la loro fedeltà non solo senza a pagarne il costo, ma anzi accudendola come un semplice salvacondotto per il paradiso: una gratuita, facile, eterea polizza che ti assicura, nientemeno, per la vita eterna; assiso sulla nuvola di un al di là soffice, vaporoso, nel quale si cammina sul vuoto più ineffabile, sotto lo sguardo di un signore con la barba bianca che ti aspettava - ah, la Tv - come in un set, dove tutto può essere soddisfatto, anche il bisogno di un caffè. Vedevo te, invece, che nel luogo arcano della nostra inaudita salvezza, ti inoltravi rimesso in pace dalla fatica del rimorso, con gli occhi ancora accesi dalla speranza del perdono, le mani appena un po' incerte sebbene ormai nette d'ogni vergogna. E allora ti ho sentito vicino, come lo si può essere immnaginando una fraternità del genere, con l'idea che ci si salva solo attraversando il peccato e pagando il prezzo del pentirsene. Non si è già salvi, insomma, senza di noi, le nostre debolezze e la nostra speranza.