Gran Bretagna. Londra, mito dei giovani
Padre Renato Zilio è missionario presso il Centro interculturale scalabrini di Brixon Road a Londra. In questa intervista parla della vita degli italiani in una metropoli che continua ad attrarre i nostri giovani.
Msa. Quanti sono i conterranei a Londra e in quale contesto vivono?
Zilio. Londra non è una città, ma una metropoli. Quantificarli esattamente è un problema, perché i giovani non si registrano e arrivano di continuo. Recentemente il console mi ha informato che su 8 milioni di abitanti, circa 400 mila sono sicuramente italiani, di cui una buona fetta veneti. Praticamente una città grande come Firenze, nel cuore di Londra.
Cosa consiglia a quanti intendono compiere questo passo?
Non dobbiamo nascondere che anche a Londra la crisi morde: è difficile trovare lavoro e inserirsi. Nonostante ciò, sono numerosissimi i giovani che giungono qui. C’è qualcosa che li magnetizza: Londra è ritenuta la capitale più interessante d’Europa.
Come affrontare questa esperienza?
Non si può improvvisare. Bisogna essere solidi, ben preparati anche intellettualmente, avere una buona conoscenza della lingua perché Londra è il passaporto per il mondo. Meglio se c’è anche un po’ di fede, perché è un motore in più nelle difficoltà. Poi ci vogliono curiosità, apertura al mondo e agli altri, voglia di conoscere e capire.
Cosa può offrire questo nuovo approdo?
Il settore più promettente è la ristorazione italiana, da secoli molto apprezzata. C’è poi l’indotto commerciale e alimentare che è una nostra eccellenza.
Nel nuovo tessuto sociale ci si sente stranieri o si è, invece, ben accolti?
A differenza della vecchia emigrazione, i giovani incontrano subito un mondo multiculturale dove si trovano a loro agio. Esistono tanti mezzi di comunicazione, internet e altro per cui non sempre interessa socializzare o fare associazionismo. Finendo, talora, per disperdersi. Qualcuno mi dice: “Sono appena arrivato, non voglio vedere italiani, perché altrimenti non imparerò mai la lingua”.
Che ne pensa della fuga dei nostri giovani talenti?
È una cosa che mi rattrista perché comporta un grande impoverimento economico e morale per l’Italia. Se i giovani se ne vanno, vuol dire che il Paese non riesce a trattenere i talenti che esso stesso ha svelato e coltivato e ciò fa pensare. Anni di studio e di investimenti delle famiglie e della nazione, di cui godrà qualcun altro. Gli altri Paesi sono ben contenti di ricevere ragazzi già formati, competenti e pronti all’opera. Non siamo coscienti di quanto sia drammatico questo problema. Anche perché una nazione anziana come la nostra, se perde anche i giovani, come può scommettere sul proprio avvenire?