Il bene comune
Una recente indagine ci informa che il tasso di crescita del volontariato in Italia è molto più alto che nel resto d’Europa e che nell’istituto dell’affido familiare siamo addirittura i primi. Ma come? Da noi, come in tutte le società più avanzate, non si batte continuamente la grancassa sulla libertà come assenza di legami? In effetti i partiti e i sindacati, che nel secolo scorso rappresentavano ancora un forte collante sociale, sono in affanno: in pochi decenni sembrano aver dilapidato un enorme capitale di fiducia. Appare vincente una sorta di «gaia rassegnazione» che ha rinunciato alle grandi passioni ideali a favore di obiettivi dal respiro corto e rigorosamente limitati alla sfera privata. Eppure il dato che vi ho citato all’inizio resta lì, imponente. E impressiona. Forse, nel pieno della crisi economica, sta svanendo il miraggio di un consumismo senza fine e di un benessere facile, allergico al sacrificio.
Sotto le macerie affiorano le antiche, robuste fondamenta del nostro popolo e della sua bimillenaria storia di fede. E su queste fondamenta è possibile costruire un edificio sociale nuovo. In che modo?
Il Papa, in un documento di qualche anno fa, ne ha tracciato un bozzetto «ponendo la dignità della persona nel punto di intersezione di due assi: uno orizzontale, che rappresenta la solidarietà e la sussidiarietà, e uno verticale, che rappresenta il bene comune», sia quello terreno che quello eterno. Sono questi i quattro pilastri della dottrina sociale della Chiesa. Consideriamo l’asse orizzontale: non è possibile rispettare la dignità umana senza aver cura solidale di chi è in difficoltà; ma, d’altra parte, non si può parlare di autentica solidarietà senza garantire alle persone la necessaria libertà di iniziativa.
Mentre la sussidiarietà soddisfa l’esigenza di salvaguardare la singolarità della persona, considerandola come soggetto e non come oggetto della società e dello Stato che la governa, la solidarietà dice tutto lo spessore di un io che è sempre in relazione. Ogni uomo nasce, cresce e matura dentro una trama di rapporti costitutivi che gli permetteranno di generare, a sua volta, relazioni nuove. Da queste relazioni buone viene costruita la società, la quale a esse si alimenta. Negli anni della visita pastorale a Venezia, mi sono imbattuto nella straordinaria ricchezza che la società civile italiana possiede ancora oggi. Pensate, per esempio, che nella sola cittadina di Caorle (intorno ai 6 mila residenti abituali) opera circa un’ottantina di associazioni di vario tipo (educative, culturali, sportive, di assistenza e di cura). E lo stesso mi sta capitando nella diocesi di Milano. Gli attori di questa costruzione dal basso sono spesso mortificati o penalizzati dallo Stato, fino quasi a esserne soffocati. Vanno invece sostenuti e valorizzati. La storia delle innumerevoli opere di carattere educativo, socio-sanitario o culturale sorte nel nostro Paese lo documenta, ma sappiamo bene a prezzo di quanti ingiusti sacrifici!
Consideriamo ora l’asse verticale: nella sua forma più elementare, il bene comune è lo stesso vivere insieme. Tale bene però – come ogni umana proprietà – non ha attuazione automatica, ma va voluto e praticamente perseguito. Esso sta a fondamento della società come un bene di persone il cui valore dà sostanza al bene di tutti e insieme lo eccede.
Il bene comune, compiutamente inteso, non si esaurisce in nessun fattore storico e sociale, ma è aperto al bene integrale delle persone come tali. Un bene che va oltre la morte è la promessa che Gesù ci ha fatto. Per questo, tra i diritti fondamentali di ogni società autenticamente umana, il magistero sociale della Chiesa non si stanca di mettere al primo posto la libertà religiosa. Per arrivare in cima alla scala dei diritti in maniera sicura bisogna, infatti, percorrerne tutti i gradini.