Il custode della Basilica
I ponteggi e i teli che ora la fasciano fanno sembrare la Basilica del Santo un gigante ferito. Di fatto, non mancano i malanni. Sui ponteggi, nascosti dai teli, operai e tecnici, come infermieri e chirurghi, suturano ferite, drenano umori, aggiustano fratture provocate dal logorio del tempo. Non solo per salvare un capolavoro di una bellezza mozzafiato, ma per garantire il protrarsi ordinato e devoto della vita che da secoli, come un rito sempre uguale e sempre nuovo, scorre sotto le superbe cupole del tempio, che il grande amore per Dio di frate Antonio ha reso luogo privilegiato di fede, dove il cuore e il corpo di tanti trovano spiragli di salute, di serenità e di speranza.
Il rito inizia quando albeggia, e il cigolio delle porte che s’aprono accompagna i primi fedeli in attesa, e si conclude a sera, quando il silenzio ritorna padrone del tempio. Tra i due momenti, un incessante tramestio, sommesso e tranquillo nei giorni feriali, vivace, animato di luci, di canti, di colori e di vita, quando lo richiedono le solennità liturgiche, le ricorrenze antoniane, o celebrazioni particolari.
Che il tutto poi si svolga con ammirati ordine e armonia, in ossequio alla dignità del rito, e nel rispetto di chi, pellegrino, vi assiste, non è un caso, ma risponde a un’accurata e amorevole regia, alla quale si dedica un gruppetto di frati (di ognuno di essi diremo nei prossimi numeri), in collaborazione con un loro confratello, che, per essere responsabile del tutto, ha il titolo di frate custode della Basilica.
Il custode, praticamente, ha il compito di aiutare il rettore del Santo, padre Enzo Poiana, in più alte faccende occupato, nella quotidiana conduzione del Santuario: dai servizi più umili ai grandi eventi, in modo che ogni pellegrino – e sono milioni che transitano da queste parti ogni anno – possa trovare una fraterna accoglienza e il proprio spazio di preghiera, di raccoglimento e di ascolto.
Fra Claudio, il custode in carica
Addetto a tale compito, ormai da diciassette anni, è fra Claudio Filippini: fisico minuto, il volto ornato da una corta e candida barbetta. L’essenzialità del raccontare e una certa ritrosia rivelano la sua origine bresciana. Ha lo studio che si affaccia sul chiostro del Noviziato, ma il suo campo di lavoro è la Basilica, nella quale deve far funzionare tutto quello che avviene nel migliore dei modi possibili, anche quando, nelle grandi cerimonie, le cose da mettere in campo sono infinite, e anche l’occhio e l’orecchio vogliono la loro parte.
Racconta: «Ho preso servizio nel 1993, proveniente da una tranquilla parrocchia, del tutto ignaro di quel che avrei dovuto fare come custode della Basilica. Il solo lavoro ordinario mi atterriva, ma sapevo che dietro l’angolo c’era la preparazione di un evento eccezionale: l’ottavo centenario della nascita di sant’Antonio (1995), con tutto quel che ci va intorno.
Mi sentivo come un pulcino nella stoppia. Per fortuna, chi mi aveva preceduto nell’incarico, fra Gottardello, accettò di starmi vicino per un anno, illustrandomi via via tutto quel che serviva per ogni singola occasione: dalla solennità di san Francesco a quella dell’Immacolata, poi il Natale, il presepio, fino alla festa del Santo il 13 giugno: momenti, questi, abbastanza delicati e complessi da gestire, con mille cose da far muovere, ma dietro alle quali, per fortuna, c’è una struttura collaudata e volonterosa che agisce a memoria. Fu un apprendistato straordinario che mi ha permesso di impossessarmi della materia e di affrontare, con meno patemi d’animo, tutte le successive ricorrenze, dal Centenario della nascita del Santo al Giubileo, fino alla grande Ostensione delle spoglie mortali di Antonio, lo scorso anno, in occasione della loro traslazione nella Cappella restituita al suo luminoso splendore. Senza dimenticare le esigenze quotidiane, che mi portano anche a coordinare con le maestranze i tempi del lavoro di restauro perché non disturbino i pellegrini. Tutto questo potendo disporre di un gruppo di confratelli con i quali ho instaurato un clima di preziosa collaborazione».
I rari incontri con i pellegrini
Fra Claudio non ha molte occasioni di incontro con i pellegrini. A volte, però, succede. «Un giorno vidi un signore giovane, con accanto il figlioletto, piangere disperatamente. “Deve essergli successo qualcosa di grave per piangere così”, pensai. Glielo chiesi con discrezione. E lui mi raccontò di sua moglie con un cancro al cervello ormai prossima alla fine. Non sapevo che dire, ma d’incanto ricordai un pensiero letto da poco: che non è necessario un lungo tempo per realizzare un bel progetto. Glielo dissi: “Sposandovi, vi siete promessi amore per sempre, indipendentemente dal tempo che avreste trascorso insieme. A voi ora resta pochissimo tempo: cerchi di viverlo nel modo più intenso possibile, accanto a sua moglie, e prepari suo figlio a questa inevitabile dipartita”. Lo dissi così, semplicemente, come mi veniva dal cuore… Sei mesi dopo, mi giunse una lettera: era quel signore che mi ringraziava, perché la cosa aveva funzionato. Sant’Antonio me l’aveva suggerita giusta!». Un contatto con i devoti, sia pure indiretto, fra Claudio ce l’ha ogni giorno. Spetta a lui raccogliere le lettere che i devoti, rispondendo al progetto «Caro sant’Antonio», lasciano in Basilica. «Sono fasci di suppliche che misurano il dolore e le speranze della gente, ma anche tutta la mia impotenza. Allora dico al Santo: “Caro sant’Antonio, io non so che fare, più che sostenere con la mia la loro preghiera, ma tu che sei grande e potente amico di Dio, non lasciare nessuno a mani o a cuore vuoto”».
Il custode miracolato
Anche fra Claudio un giorno ha avuto bisogno del Santo e non per un problema di «regia». «Sei anni fa, mentre sistemavo degli scaffali, sono caduto da un’altezza di cinque metri, sufficiente per provocare una tragedia. Invece, scivolando lungo alcune assi, ho rallentato la caduta, provocandomi “solo” una tripla frattura del bacino. Nessun medico sapeva dirmi come si sarebbe alla fine risolta la faccenda: tutto della mia vita sarebbe potuto cambiare.
Ho chiesto anch’io al Santo di darmi “un’occhiatina benevola”. Dopo un delicato intervento, mi sono sorbito otto mesi di convalescenza e relative terapie. Pareva tutto risolto e invece una seconda caduta mi ha causato altri otto mesi di terapie, di attesa, di incertezze e di speranza. Ora eccomi qua, afflitto da un’impercettibile zoppia, con una resistenza limitata alla fatica, ma sempre all’opera. Sant’Antonio mi voleva ancora qui, al suo servizio, per permettere a chi viene a trovarlo di assaporare il giusto clima di spiritualità, di serenità, in linea con il tradizionale spirito di accoglienza e ospitalità che caratterizza da sempre i francescani».