Il mondo è la patria dell’uomo
Leggendo alcuni scritti del beato Giovanni Battista Scalabrini, ho trovato delle sorprendenti affermazioni sull";emigrazione. Negli anni del suo episcopato a Piacenza (1875-1905), egli conobbe per esperienza personale i drammi e le sofferenze dei tanti esodi dalle regioni italiane che negli ultimi decenni dell";Ottocento avevano avuto un forte incremento. Consapevole di ciò che il fenomeno comportava, monsignor Scalabrini si adoperò affinché fosse rispettato il principio della «libertà di emigrare, ma non di far emigrare». E volendo difendere questo diritto e la libertà di scelta d";ogni cittadino alla mobilità , fu particolarmente attivo nel dibattito sulla legge dell";emigrazione (Legge Visconti Venosta, approvata nel 1901), e negli interventi contro la progettata istituzione degli «Agenti dell";emigrazione». Vedeva quindi i lati negativi del fenomeno da lui definito un «male gravissimo», soprattutto «quando è senza una legge, senza freno, senza direzione, senza efficace tutela». Ebbe, però, la capacità profetica di definirne anche i lati positivi. Il fenomeno migratorio, che per le istituzioni governative ed ecclesiastiche era considerato transitorio e legato alle situazioni di povertà di quel particolare momento storico, per Scalabrini era invece permanente e universale. Lo vide come una legge di natura. In un suo scritto "; L";emigrazione degli operai italiani , Ferrara, 1899 "; lo definì «un bene, fonte di benessere per chi va e per chi resta, vera valvola di sicurezza sociale`¦ Aprendo nuove vie ai commerci e alle industrie, fondendo e perfezionando le civiltà , allargando il concetto di patria oltre i confini materiali, facendo patria dell";uomo il mondo».
«Emigra l";uomo "; scrive ancora il beato ne L";Italia all";estero , Torino, 1899 "; ora in forma collettiva, ora in forma isolata, ma sempre strumento di quella Provvidenza che presiede agli umani destini e li guida, anche attraverso le catastrofi, verso la meta, che è il perfezionamento dell";uomo sulla terra e la gloria di Dio nei cieli».
Questa visione profetica della mobilità umana ci aiuta a riflettere sui suoi aspetti positivi: come fenomeno permanente e universale, legato al diritto d";ogni cittadino di cercare all";estero un lavoro oppure una maggiore affermazione professionale. È in questa visione che la mobilità "; un tema su cui, in questo numero della rivista, offriamo apporti e dibattiti innovativi "; può essere oggi considerata portatrice di patrimoni d";esperienze e occasione d";interscambi culturali e sociali. Il Villaggio Globale, di cui sempre più ci sentiamo cittadini, lo sogniamo come un mondo senza confini e steccati, dove possiamo rapportarci con popoli d";ogni continente, d";ogni lingua e cultura diversa. Una speranza, questa, condivisa soprattutto dai nostri connazionali e oriundi italiani residenti all";estero, che attraverso le loro esperienze di lavoro e i loro rapporti vissuti in un mondo multiculturale, possono concorrere a costruire un modello di società diverso, più conforme alle legittime aspirazioni del progresso nella giustizia e nella pace. Le loro conoscenze, infatti, sono un patrimonio culturale per tutta l";umanità .
Il tema proposto dai vescovi italiani per la Giornata delle migrazioni del 2004, è quanto mai adatto per lo sviluppo di questa riflessione: «Il mondo come una casa». È un sogno profetico che ritroviamo anche nel messaggio che Giovanni Paolo II ha inviato per la stessa circostanza alla Chiesa universale: «Se si valorizza l";apporto di migranti e rifugiati, l";umanità può divenire sempre più la famiglia di tutti, e la nostra Terra una reale casa comune». Sono affermazioni che sviluppano l";intuizione del beato Scalabrini che considerava «patria dell";uomo il mondo».
In un momento storico in cui ci si trova impotenti di fronte a violenze e guerre suscitate dal fondamentalismo; a rivalità etniche, razziali e a povertà endemiche che motivano la fuga dalla propria terra di folti gruppi di persone, parlare del mondo come patria dell";uomo, può sembrare irreale e utopico. Deve invece essere colto come un messaggio profetico soprattutto da coloro "; governanti e responsabili delle Istituzioni internazionali "; che possono porre come obiettivi prioritari dei loro programmi politici e sociali, la difesa della vita e dei diritti umani allo scopo di rendere il mondo una casa ospitale, aperta alla solidarietà , dove nessuno si senta straniero. Se il mondo diverrà questa casa comune, gli uomini non saranno più obbligati a lasciare il proprio Paese per situazioni di povertà o di guerra, ma come liberi cittadini si trasferiranno in altri Paesi per motivazioni familiari e professionali. La madrepatria allora non sarà più la terra mitica d";un esodo senza ritorno, ma continuerà a rimanere punto di riferimento della loro identità , della loro cultura, della loro storia. «È solo in queste condizioni "; afferma Cristiano Caltabiano nell";intervista che pubblichiamo in questo numero "; che ci si può sentire a casa anche quando si dimora a migliaia di chilometri di distanza dal Paese d";origine».