Il pittore di santi che non credeva ai santi
Una galleria di Madonne,di santi, di guerrieri soavi, di implorazioni e drappeggi: quale peggiore requisito in tempi di contestazione? Tale può apparire, al primo incontro, a una superficiale lettura, l'opera del Perugino. Del resto, un'arte siffatta, che sembra nascere condannata alla perfezione e al formalismo, rischia - ai giorni nostri più inclini al carattere che allo stile - di aver poca presa sul piano emozionale.
Così scriveva, nel 1969, Carlo Castellaneta nell'introdurre il volume dei Classici dell'arte della Rizzoli dedicato a Pietro Vannucci, (nato a Città della Pieve allora dominio del comune di Perugia, e per questo detto il Perugino ), uno tra i massimi maestri del Quattrocento che, assieme a Leonardo e Botticelli, ha rinnovato il linguaggio dell'arte nel Rinascimento.
Più di trent'anni sono trascorsi da quello scritto. La contestazione è solo un ricordo, ravvivato dai postumi di una sua criminale e tragica deriva. Anche i gusti probabilmente sono cambiati, le perfette, bellissime opere del Perugino riusciranno allora a far scattare anche la molla delle emozioni e dei sentimenti? I perugini ne sono convinti. Per questo, hanno coinvolto il loro divin pittore in un grande progetto, articolato in sei mostre dislocate in luoghi diversi, dove l'artista ha lavorato: un piacevole itinerario che attraversa il maturare umano e artistico del grande pittore, conosciuto anche dalla gente semplice perché alcune delle Madonne e dei santi da lui effigiati sono, per la loro incantata bellezza, tra i soggetti preferiti dalle immaginette della devozione popolare.
Pietro Vannucci, dunque. Dalla sua città emigra presto nelle prestigiose botteghe fiorentine, dove incontra Piero della Francesca, Andrea del Verrocchio e Leonardo da Vinci: frequentazioni che segnano profondamente la sua arte, i cui soggetti, imposti da un mercato esigente e generoso, sono quasi esclusivamente di carattere religioso: santi, madonne, storie di Cristo. Ai quali, tuttavia, lui crede poco. Il Vasari nelle sue Vite, infatti, lo descrive persona di assai poca religione, alla quale non se poté mai far credere l'immortalità dell'anima. Il che ha contribuito a fare del Perugino un pittore bravissimo da un punto di vista formale, maestro inarrivabile nel tratteggiare le figure e nel far cantare il colore, ma poco ispirato, perché costretto a dipingere santi e a raccontare storie in cui poco credeva (i temi borghesi in pittura verranno di lì a poco, nei Paesi Bassi). Lo storico dell'arte Lionello Venturi, rifacendosi all'autoritratto del Collegio del Cambio a Perugia, lo descrive un po' rozzo, un po' goffo, un lavoratore bonario. Un uomo qualunque del suo tempo, insomma, poco intellettuale, capace però, aggiunge Castellaneta di su-blimarsi, dinanzi al muro bianco di una cappella da affrescare, dinanzi a una tavola posta sul cavalletto.
Nelle opere del Perugino allora farà difetto quell'afflato religioso che rende ispirate, quasi di un altro mondo, le figure dipinte dal Beato Angelico, ma gli altri registri su cui egli gioca (il colore, l'eleganza del tratto, l'armonia della composizione) le rendono di una intensa, solenne, perfetta bellezza, ispirata ai modelli della classicità , applicata pure ai personaggi più umili, per cui appare regina anche una lavandaia e cherubino un mozzo di stalla. Si dice che per le figure femminili prendesse a modello la giovane e bellissima moglie che portava leggiadre acconciature.
La rappresentazione sacra è solo un pretesto per poter esprimere la sua concezione classica della pittura e non c'è dubbio che l'abbia saputo fare con grande maestria, sin dalle sue prime opere (Storia di san Bernardino, La guarigione della ragazza o Il miracolo dell'aquila).
Architetture sapienti, ritmici accordi tra gli elementi figurativi, la luce che piove sugli attori, sempre atteggiati in pose di classica e plastica eleganza, e su paesaggi incantati di colline, boschi di lecci e di faggi, laghetti, pontili... il tutto crea intense e vibranti armonie di luci e di colori. Nella ricca, intonatissima tavolozza del Perugino predomina, però, il rosso, un rosso ricco di vibrazione e di risonanze, che accende le tuniche delle Madonne, scalda i mantelli dei santi, le calzamaglie dei paggi, fa splendenti i tondi...
La plasticità delle figure - annota Castellaneta - la scioltezza delle membra, l'incarnato e i chiaroscuri sono tali da farci dimenticare il loro reale significato. San Sebastiano trafitto dalle frecce, ad esempio, è una statua ellenistica calata entro scenari leonardeschi: figura di olimpica compostezza che non sembra neppure sfiorata dal dramma di sangue e di morte che la travolge.
L'esperienza della Cappella Sistina
Questa, in sintesi, la chiave stilistica dell'arte del Perugino, palese già nei primi lavori eseguiti tra il 1478 e il 1480, e più evidente in quelli successivi, realizzati dopo la straordinaria esperienza della Cappella Sistina, alla quale l'aveva chiamato Sisto IV per realizzare, assieme ad altri artisti di grande talento - come Botticelli, Ghirlandaio, Cosimo Rosselli - la finta Pala d'altare, distrutta per far posto al Giudizio universale di Michelangelo e alcuni riquadri con Storie di Mosè e di Gesù Cristo. Tra queste, la celebre Consegna delle chiavi - nella quale il Perugino raggiunse il massimo dell'espressività - che consacrò il suo successo a livello nazionale.
Dopo di allora diventa uno dei pittori più corteggiati. Per far fronte alle numerosissime richieste, deve aprire contemporaneamente due botteghe: a Firenze e a Perugia, che gestisce con un'ottima organizzazione e senso degli affari. Un pittore-imprenditore che oltre al lavoro ben fatto, all'esecuzione perfetta, ama la consegna entro il tempo stabilito, che non è sempre immediato, a causa dei tanti che richiedono una de su cose preferite per l'aria angelica e molto dolce. La stessa marchesa di Mantova, Isabella d'Este, deve attendere cinque anni prima di appendere in una delle sue sfarzose sale La lotta fra Amore e Castità (1505), oggi al Louvre di Parigi.
Tra i suoi clienti, molti nobili e prelati fiorentini, per i quali esegue, tra l'altro, la Madonna che appare a san Bernardo (Monaco, Alte Pinakothek, 1493), il ritratto di Francesco delle Opere (Firenze, Galleria degli Uffizi, 1494), il Compianto su Cristo morto (Firenze, Palazzo Pitti, 1495), la Crocifissione ad affresco nella chiesa di Santa Maria Maddalena dei Pazzi (1495-96), la grande pala di Vallombrosa (Firenze, Galleria degli Uffizi, 1500), il polittico dell'Annunziata (Firenze, Galleria dell'Accademia, 1505-07).
A Perugia esegue la pala dei Decemviri (1495), i polittici di san Pietro (1496) e sant'Agostino (1510-20), lo Sposalizio della Vergine per il Duomo (1503-04), con un impianto che verrà ripreso pari pari da Raffaello, gli affreschi nella Sala dell'Udienza del Collegio del Cambio (1498-1500), ciclo di straordinario interesse con profeti, sibille, savi ed eroi mirabilmente tratteggiati. Realizza, inoltre, opere per Bettona, Città della Pieve, Corciano, Foligno, Fontignano, Montefalco, Panicale, Spello, Santa Maria degli Angeli, Trevi. Ma anche nelle Marche, in Emilia e in Lombardia.
Molti pittori, soprattutto in area umbra, imitarono la morbida eleganza e la perfezione formale delle immagini del Perugino dando origine a quel fenomeno derivativo definito con efficacia da Roberto Longhi editoriale peruginesca.
La grande mostra di Perugia
La principale mostra è alla Galleria nazionale dell'Umbria-Perugia. Chi avrà la fortuna di andarla a vedere, potrà ammirare una selezione nutrita come non mai di capolavori del Perugino, provenientidai musei di Berlino, Birmingham, Liverpool, New York, San Pietroburgo, Firenze, Roma... Il che consente di ripercorrere,dalle prime opere giovanili in poi, le più importanti tappe del percorso artistico del Vannucci.
Un'attenzioneparticolare hanno l'impresa della Cappella Sistina e le altre opere del periodo romano, qui documentate dal polittico Albani Torlonia. L'attività fiorentina e umbra è documentata da capolavori di straordinaria perfezione formale come la Madonna del Sacco e la Maddalena della Galleria Palatina di Firenze, il San Sebastiano dell'Ermitage, l'Annunciazione Ranieri e i grandi capolavori della ritrattistica del Perugino, a cominciare dal Francesco delle Opere della Galleria degli Uffizi e dal Ritratto di uomo della Galleria Borghese.
Una piacevole sorpresa è la ricomposizione di alcune opere smembrate nel tempo e finite in musei diversi, come la preziosa predella della pala Chigi, realizzata per la chiesa di sant'Agostino di Siena, ricostruita con i pannelli provenienti dal Metropolitan Museum di New York e dal Museum of Fine Art di Chicago, il celebre polittico dipinto per la chiesa di sant'Agostino a Perugia, riassemblato con vari elementi provenienti da collezioni straniere (Birmingham, Grenoble, Lione, Parigi, Tolosa) e la pala Tezi riunita alla predella oggi a Berlino.
Di grande interesse l'esposizione degli studi preparatori per celebri dipinti e dei disegni per figure bibliche e mitologiche, ritratti, paesaggi... che consentono di valutare le straordinarie capacità grafiche del Vannucci. È poi un'occasione davvero unica di confrontare i disegni con i dipinti realizzati presenti nella mostra.