Il profugo che dipinge Dio

Sulla grande abside di una parrocchia del Veneto, un extracomunitario, rumeno ortodosso, dipinge il regno di Dio anticipando il lento riavvicinamento ecumenico tra Chiesa cattolica e Chiese orientali.
06 Gennaio 2000 | di

Il rumeno Michele, extracomunitario senza un soldo, entrò in Italia dal valico di Ventimiglia nel 1989, l'anno in cui la Romania si liberò del dittatore Ceausescu e della sua corte da satrapo arcaico.
Girò per il Nord Italia in cerca di un modo per campare e una sera capitò a Villafranca Padovana. Non sapeva dove dormire e bussò alla canonica. Il parroco lo ospitò per due notti. Nell'andar via, Michele, per ringraziarlo, gli offrì un suo disegno. E il parroco vide un magnifico Cristo benedicente nello stile delle icone delle chiese orientali.
Aveva fatto proprio lui quel disegno? Nella chiesa c'erano due tratti di parete che così nudi stavano male: perché non glieli decorava?
Michele, extracomunitario, rumeno di nascita, russo di adozione, pittore nel suo paese, fece uno schizzo. Il parroco disse sì: andava benissimo. Così Mihail Ivanov, pittore ortodosso, dipinse nella sua prima chiesa cattolica, in Italia.

Altri parroci videro quel dipinto e chiamarono a loro volta il pittore ortodosso.
Di decorazione in decorazione, un anno dopo l'altro, Mihail è arrivato a un'opera colossale: l'affresco dei 150 metri quadrati dell'abside della chiesa parrocchiale di santa Giustina a Montegaldella, presso Vicenza. Qui sono stato diversi giorni per conoscere questo uomo di fede, di quella chiesa ortodossa che nove secoli fa prese una via diversa dalla cattolica, pur venendo, le due, dalla stessa parola di Dio. E per vedere come questo pittore potesse conciliare lo stile cui era abituato - fermo, minuzioso, dove i corpi quasi non esistono sotto i solenni abiti rituali - con il nostro tipo di pittura religiosa nella quale Cristo e i santi sono prima di tutto uomini di questa terra con arti, muscoli e passioni.
Il silenzio profondo della chiesa è scheggiato da piccoli rumori che vengono dall'impalcatura là  in fondo, dove in alto il velario è schiarito da una luce.
Chiamo. Non è la prima volta che vengo a parlare con lui.
«Vieni su», risponde dall'alto una
voce profonda. Salgo per quattro piani di scalette di ferro. Da ogni botola sbucano lampi di colori e volti austeri che mi guardano.
Finalmente in alto! Odore di calce fresca che, mista a fibre di canapa, è il fondo per la pittura «a fresco». Da un registratore, i canti solenni della liturgia bizantina rendono il momento ancora più mistico. Santi, patriarchi, angeli, serafini, cherubini, illuminati da una luce ambrata e su tutti il maestoso Cristo Pantocratore, il Cristo tornato in cielo, onnipotente, della visione ortodossa che troneggia sulla volta. Sotto, la grande Vergine, non donna, ma regina assisa tra gli arcangeli Gabriele e Michele.
Lo sguardo è attratto da questo e quello dei tanti personaggi delle pareti e della volta.

«Benvenuto!», saluta Mihail, barba scura e due occhi chiari.
Mi parla continuando a lavorare. La pittura a fresco non lascia tempo. Sul campo di calce fresca rasata, preparato per la giornata, si tracciano le linee e si danno i colori. A fine giornata l'intonaco indurisce, prendendo l anidride carbonica dall'aria, e fissa i colori nella durezza del muro. Quel che è fatto è fatto. Non si corregge. Il giorno dopo, un altro campo di calce, al-tre linee, altri colori, che siano in continuazione e armonia con il disegno generale... E così via, per mesi.
Mi muovo per osservare, facendo attenzione ai barattoli di colore, ai pennelli e alle tavole di legno: oggetti umili della pratica del nostro mondo stranamente contrastanti con la maestà  della rappresentazione, della gerarchia del regno dei cieli in cui gesti e particolari hanno significati teologici intensi.
Quando giunse qui, quarantenne, Mihail era da tempo pittore d'arte sacra secondo la visione ortodossa, che non è solo diversità  di colori e forme rispetto alla visione cattolica. Noi rappresentiamo Dio e il suo regno simili a noi e con le forme del nostro mondo. Gli ortodossi ne accentuano la diversità  rispetto a noi e al nostro mondo, la potenza, l'immortalità  e la superiorità , per mezzo degli abiti, dei gesti e degli oggetti delle antiche corti delimpero romano d'Oriente. Un diverso modo di rappresentare Dio che corrisponde a un diverso modo di pensarlo e sentirlo. E però, sempre dello stesso Dio si tratta.
A quest'unità  guarda il movimento ecumenico, tendendo a superare anche le diversità  culturali e poi politiche che dalle due diverse visioni discendono: la nostra, di un Dio vicino a noi, quasi tutto qui e ora, prima di tutto padre, fratello, amico, povero, staccato dal potere; la loro, di un Dio prima di tutto re dell'universo, onnipotente, maestoso, legislatore. Nella pittura delle chiese, che è sempre catechesi prima che ornamento, la diversa visione religiosa si è tradotta in diversa rappresentazione. Può un pittore ortodosso rimetterle insieme anticipando quel che teologi e gerarchie stentano tanto a fare?
Forse è la forma migliore di catechesi dell'ecumenismo. La pittura, anche sofisticata come quella ortodossa, è per forza un linguaggio semplice: dice poche cose essenziali al comune fedele che non sa nulla di antica storia né di profonde dispute dottrinali. Rimettere insieme visione cattolica e visione ortodossa del regno di Dio si può, prima sui muri. Le cattedre seguiranno. È l'ispirazione dei parroci veneti che si sono affidati al pittore ortodosso venuto povero da noi in Occidente. È l'ispirazione di don Dino Zuliani, parroco a Montegaldella, nella ricca e concreta provincia vicentina: chiamare Mihail, pittore ortodosso, per ridare un po' più di divinità  al regno di Dio sui muri della chiesa.
Quando sentiamo parlare di ortodossia, pensiamo alle immagini dei monaci barbuti intenti a dipingere le icone, alle chiese con le cupole a «cipolla», agli incensi e ai campanelli delle celebrazioni liturgiche, agli ori e ai canti profondi che suggeriscono un altro mondo. Però, mi ricorda Mihail, in cima all'impalcatura, continuando a stendere colori dal barattolo da yogurt che tiene in mano, il Papa, nel suo ultimo viaggio a Bucarest, ha detto: «Le due Chiese, sono sorelle che debbono vivere respirando con entrambi i polmoni... !».
«Le icone ortodosse nelle chiese europee - ragiona - sono l'espressione di un ritorno a una funzione originale delle immagini sacre: la mediazione tra l'umano e il divino. Ed ecco l'affresco, in gran parte finito, di questa grande abside trasformato in preghiera, come vuole la tradizione ortodossa. Il Cristo Pantocratore, sul vertice della volta, rappresenta l'unione spirituale non solo di popoli, ma pure di due spiritualità  della stessa religione che dialogano, anche grazie all'arte che qui porta una speranza.
«Vorrei che l'arte sacra riportasse la fede nel cuore della gente che guarda le pareti affrescate di una chiesa per vedere l'immagine di Dio che seguita a rivelarsi», dice Mihail.
E parla di creatività , come veicolo di quella teologia tipica della Liturghia ortodossa, che fa dell'immagine sacra una forma di «eucarestia spirituale».
Le sue parole s'intrecciano con le linee e i colori. «La gente percepisce la diversità  della nostra arte religiosa - spiega Mihail Ivanov - ma sente anche l'appartenenza a una fede comune alle due religioni». Nella parole semplici e tranquille di Mihail, si riassumono secoli di storie religiose separate.
È possibile che la pittura possa cancellare divisioni che hanno sancito secoli di discussioni? E perché un evento così significativo sta avvenendo in un piccolo paese del Veneto, lontano dai clamori della Roma giubilare? Forse perché l'idea di questo pittore del «sacro» è un messaggio universale, ma anche semplice.
Tra qualche mese, una volta calato il «velario» che ricopre l'intera impalcatura, si vedranno i frutti di un lavoro durato più di diciotto mesi. Un clima da «visione eterna», non dato da artifizi tecnologici, ma solo dalla mano dell'uomo spinta a esprimere il divino. Mihail sta ultimando il volto di san Basilio, uno dei padri della Chie-sa d'Oriente. L'attenzione è tutta concentrata sul pennello che ricava, linea dopo linea, i contorni di quel volto santo. Dall'altra parte, sull'intonaco bianco, le figure appena tracciate di san Francesco e santa Chiara, subito sotto, le prime linee di sant'Antonio. Contrasto e unità  di figure per rappresentare la Chiesa d'Oriente e quella d'Occidente: ortodossi e cattolici in una grande superficie di una chiesa cattolica.
Prima di ogni nuova figura, Mihail si raccoglie in una breve meditazione: una forma tradizionale di preghiera come prevede la tradizione ortodossa. Pregare durante il lavoro è una consuetudine
che fa parte della vita del «pittore sacro», di colui che chiede a Dio di essere illuminato per potersi esprimere. Questa responsabilità , l'artista rumeno se la sente tutta, per ogni figura della sua tradizione e di quella cattolica.
I significati sono anche dettati dai colori vivi, tipici dell'arte bizantina: il rosso della regalità , il blu della divinità , l'oro della maestà , il bianco della resurrezione, e poi il giallo, il marrone, il verde, tutti «dicono» qualcosa.
Qua e là  bozzetti e schizzi che danno l'idea di quanto si sta realizzando, anche se il disegno definitivo è, sempre e comunque, quello che l'artista traccerà  sull'intonaco fresco. Poche linee geometriche gli servono per avere le giuste proporzioni: un vero problema date le dimensioni e le curvature della volta.
«Ho pensato quest'opera come l'immagine del cristianesimo. Dalla gloria di Dio - spiega Mihail - si passa agli angeli e poi al coro degli eletti: santi, evangelisti, martiri, dottori e padri della Chiesa. Da un lato, le figure tradizionali del rito ortodosso, piene di ornamenti e ricami; dall'altro, la presenza di santi della povertà  come san Francesco o san Girolamo. E poi, scene principali del Vangelo: la crocifissione, la resurrezione e la pentecoste. Le seguiranno l'ultima cena, la lavanda
dei piedi e la preghiera di Gesù nel Getsemani».
Osservo mani benedicenti, occhi fissi sull'evento sacro, proporzioni che variano a seconda dell'importanza del «personaggio», barbe lunghe e intrecciate, volti serafici in venerazione. In mezzo agli angeli, vedo Maricica, moglie del pittore, che lo aiuta scrupolosamente nelle dorature e rifiniture delle cornici. Mihail, in rumeno, le suggerisce gli ultimi dettagli.
Tra qualche giorno toglieranno questo livello d'impalcatura, e nessuno più potrà  avvicinarsi alle pitture. «Sarà  un gran giorno - dice Mihail - e offrirò da bere... !».
«Un gran giorno», conferma don
Zuliani, il vero «ideatore» di questo affresco ecumenico. «Iniziare un'opera così colossale era quasi una follia!».
Una «follia» che nutre lo spirito di quella Chiesa universale che ha bisogno di gesta così elevate, come quell'abside che ha l'ardire di mostrare a tutti il paradiso: quello ecumenico, ovviamente!

   
   
PER CONOSCERE LE ICONE      

Chi vuole conoscere la pittura religiosa della Chiesa d'Oriente, può vedere a Vicenza una delle più importanti collezioni di icone in Europa. Sono più di 500 «tavole» raccolte in trent'anni nell'Europa orientale, con il patrocinio di «Banca Intesa». Le prime 150 opere sono esposte nel palazzo Leoni Montanari in via S. Corona 25. A queste se ne aggiungeranno altre a mano a mano che verranno  restaurate. Il museo, unico in Italia, è aperto tutto l'anno, venerdì, sabato e domenica, dalle 10 alle 18.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017