Il valore della libertà religiosa
Un affondo nella carne della nostra società plurale. Uno strumento alla portata di tutti, per leggere in modo critico il tempo in cui viviamo. È questo il discorso sulla libertà religiosa, pronunciato dal cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, il 6 dicembre scorso, alla vigilia della ricorrenza di sant’Ambrogio. Nell’occasione dell’apertura ufficiale dell’Anno costantiniano, l’intervento si è spalancato a osservare la realtà del nostro tempo e tutta la vita delle nostre società sempre più composite, a volte per questo conflittuali, ma sempre avvincenti.
Verso dove stiamo andando? Quale idea di uomo sta vincendo nel dibattito pubblico? E l’antropologia che sembra «vincente», è davvero la più adeguata? Come possono gli Stati «governare» la complessità della società civile? Sono tutte domande che appaiono sottese al «discorso di sant’Ambrogio» e che stanno animando il dibattito pubblico affilato tuttora in corso. La questione «libertà religiosa» viene offerta come una chiave unica per entrare in questo ambito in modo nuovo. Partendo dalla ricorrenza del diciassettesimo centenario, il cardinale ha rilevato quanto l’editto di Costantino segnò l’initium libertatis, l’inizio della libertà. Certo fu un inizio «mancato», perché molte delle promesse di libertà per tutti che sembrava portare con sé si sono frantumate negli anni seguenti, anche a causa dell’indebita commistione di potere politico e religione. Fino alla svolta della dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis Humanae (1965), la cui «straordinaria qualità – scrive il cardinal Scola – consiste nell’aver trasferito il tema della libertà religiosa dalla nozione di verità a quella dei diritti della persona umana».
Un valore impigliato
Passando alle sfide poste oggi alla libertà religiosa, Angelo Scola osserva come questo valore, che pure è universalmente proclamato, tuttavia rimanga impigliato in alcuni gravi problemi: il rapporto tra verità oggettiva e coscienza individuale, la coordinazione tra comunità religiose e potere statale e, dal punto di vista teologico cristiano, la questione dell’interpretazione dell’universalità della salvezza in Cristo di fronte alla pluralità di religioni e mondovisioni. Accanto a questi sono citati altri punti critici: il rapporto tra la ricerca religiosa personale e la sua espressione comunitaria, il problema della distinzione tra religioni e «sette», la posizione agnostica della maggior parte delle legislazioni di fronte ai fenomeni religiosi; la libertà di conversione, eccetera.
Ma il passo del discorso che ha provocato sui media le reazioni più vivaci, polemiche e a volte fuorvianti, di politici, giuristi ed editorialisti, è quello in cui il cardinale affronta «due nodi da sciogliere». Il primo riguarda il nesso tra libertà religiosa e pace sociale; il secondo la connessione tra libertà religiosa e orientamento dello Stato. Gli Stati democratico-liberali, osserva l’autore, nel tempo hanno subìto un’evoluzione: se prima si riferivano comunque a un’idea di uomo «aperto al trascendente», tant’è vero che la nascita, il matrimonio, la generazione, l’educazione e la morte consistevano di un riferimento religioso, nel tempo questo riferimento religioso si è andato svuotando e gli Stati hanno rinunciato a considerarlo un riferimento «fondativo». Un esempio, offerto dal cardinale, è quanto sta accadendo negli Stati Uniti con la riforma sanitaria di Obama. Pur presentandosi «neutrale», tale riforma impone a tutti, comprese le istituzioni cattoliche, di offrire ai propri impiegati polizze di assicurazione sanitaria che includano contraccettivi, abortivi e procedure di sterilizzazione. Un’imposizione che lede la libertà di queste realtà, di fatto costrette a violare i «fondamentali» della propria fede di appartenenza.
Per approfondire meglio questo passo, il cardinale si sofferma sul modello francese di laicité, il cui punto di partenza è il valore «dell’in-differenza, definita come “neutralità”, delle istituzioni statuali rispetto al fenomeno religioso».
Neutrali o maldisposti?
Certo, la posizione di chi si dice «neutrale» affascina, perché appare come l’unica in grado di «liberare» tutti. Eppure c’è qualcosa che non torna. Qui Scola sembra suggerire: questa è la dichiarazione di principio, ma stiamo ai fatti. «Si tratta di una concezione ormai assai diffusa nella cultura giuridica e politica europea, in cui però, a ben vedere, le categorie di libertà religiosa e della cosiddetta “neutralità” dello Stato sono andate sempre più sovrapponendosi, finendo così per confondersi. Nei fatti, la laicité alla francese ha finito per diventare un modello maldisposto verso il fenomeno religioso. Perché? Anzitutto, l’idea stessa di “neutralità” si è rivelata assai problematica, soprattutto perché essa non è applicabile alla società civile la cui precedenza lo Stato deve sempre rispettare, limitandosi a governarla e non pretendendo di gestirla. Ora, rispettare la società civile implica riconoscere un dato obiettivo: oggi nelle società civili occidentali, soprattutto europee, le divisioni più profonde sono quelle tra cultura secolarista e fenomeno religioso, e non tra credenti di diverse fedi. Misconoscendo questo dato, la giusta e necessaria aconfessionalità dello Stato ha finito per dissimulare, sotto l’idea di “neutralità”, il sostegno dello Stato ad una visione del mondo che poggia sull’idea secolare e senza Dio».
Ma che cosa accade? Se lo Stato sposa una sola tra le varie visioni culturali che sono variamente rappresentate nella nostra società plurale, diviene «partigiano» e, promuovendo leggi che si riferiscono a questa unica particolare «visione del mondo», può arrivare a favorirne la diffusione come «cultura dominante», capace di esercitare un’azione negativa nei confronti degli altri soggetti in campo (quelli religiosi in primis).
La riflessione del cardinale affonda ancor più la lama: «Lo Stato, sostituendosi alla società civile, scivola, anche se in maniera preterintenzionale, verso quella posizione fondativa che la laicité intendeva rigettare, un tempo occupata dal “religioso”. Sotto una parvenza di neutralità e oggettività delle leggi, si cela e si diffonde – almeno nei fatti – una cultura fortemente connotata da una visione secolarizzata dell’uomo e del mondo, priva di apertura al trascendente».
Ora, certamente, in una società plurale anche la visione secolarizzata dell’uomo è legittima, può e anzi – sembra sottolineare il cardinale – deve esprimersi al pari di tutte le altre. Ma appunto come una tra le altre: «Se lo Stato la fa propria, finisce inevitabilmente per limitare la libertà religiosa».
Per una nuova laicità
Ma come è possibile scansare questo pericolo? «È necessario uno Stato che non interpreti la sua aconfessionalità come “distacco”, come una impossibile neutralizzazione delle mondovisioni che si esprimono nella società civile, ma che apra spazi in cui ciascun soggetto personale e sociale possa portare il proprio contributo all’edificazione del bene comune». Qui riemerge il tema della «nuova laicità», molto approfondito dal cardinal Scola (che a esso ha dedicato un libro nel 2007), argomento contro il quale si infrangono le critiche di chi ha voluto interpretare il discorso di sant’Ambrogio come l’attacco di un prelato contro la laicità e l’aconfessionalità dello Stato.
Per questo, per l’ex patriarca di Venezia oggi più che mai questo tema rappresenta la più sensibile cartina di tornasole del grado di civiltà delle nostre società plurali: «Se la libertà religiosa non diviene libertà realizzata posta in cima alla scala dei diritti fondamentali, tutta la scala crolla». E fa luce sulla grande e amplissima sfida che indica la libertà religiosa: «L’elaborazione e la pratica di nuove basi antropologiche, sociali e cosmologiche della convivenza propria delle società civili in questo terzo millennio». Un ritorno al passato questo discorso? Nostalgico dello Stato confessionale, come ha commentato qualcuno? No, al contrario: fa i conti lealmente con il nostro tempo e chi lo abita, guardando all’avvenire. Un bel programma per chi cerca la verità.
L’Anno di Costantino
«Noi, Costantino Augusto e Licinio Augusto, felicemente convenuti in Milano (...) abbiamo decretato di concordare ai Cristiani e a tutti gli altri la libertà di professare la religione che ciascuno crede». È il cuore dell’Editto di Milano, firmato dai due imperatori nel febbraio del 313. Per celebrare i 17 secoli di libertà religiosa, la diocesi ambrosiana ha indetto un «Anno costantiniano», dal titolo «Liberi per credere», che, tra eventi storico-culturali e iniziative civili e interreligiose, proseguirà fino al 7 dicembre, festa di sant’Ambrogio.
L’Anno costantiniano incrocia temi di grande attualità: la libertà religiosa, il bene comune, l’apporto dei cristiani alla società, il dialogo ecumenico e interreligioso, le persecuzioni. Tra gli obiettivi, si punta a sollecitare il dibattito pubblico, a pensare un nuovo modo di vivere i rapporti con e tra le religioni, riconoscendo il contenuto positivo della libertà religiosa nell’individuazione e costruzione del bene comune: la libertà religiosa non è una concessione dello Stato, ma una delle realtà che ne fonda la legittimità democratica.