Inclinazioni antoniane

Sono quelle che hanno consentito ad Antonio di accorgersi di chi gli stava attorno, soprattutto dei «piccoli» piegati dall'esistenza. Perché è sulle persone che, come il Santo, sanno chinarsi, che si può appoggiare la vita.
20 Maggio 2014 | di

Che pagherei per essere «tutto d’un pezzo»! Ditemi dove posso acquistare un «centro di gravità permanente che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose e sulla gente», come cantiamo ostinatamente con Franco Battiato da più di trent’anni, e ve ne sarò grato. Essere persone «rette», davvero, in tutti i sensi: equilibrate, con le idee chiare, in grado di stare in piedi da sole. Non eccedere da nessun lato, il peso equamente ridistribuito tra destra e sinistra. Fare la «verticale» tra bisogni e desideri, tra gli echi delle nostre voci interiori e i richiami della variopinta umanità attorno a noi. Insomma, per «fregarsene» degli uni e degli altri, garantendosi una distanza di sicurezza da tutto.
 
Ma poi, è proprio così che deve essere? Dico io: sant’Antonio di Padova, sarebbe stato quello che è se non avesse piuttosto deviato dalla retta, se non avesse, cioè, «inclinato» la traiettoria della sua vita? Se, per dirla ancor più chiaramente, non si fosse spostato dalla linea orizzontale? Se non si fosse pericolosamente sbilanciato verso qualcos’altro che non fossero le immancabili aspettative familiari e sociali, che anche per lui avevano già stabilito carriera, matrimonio, affari? Se fosse rimasto impigliato nelle ombre di sogni troppo umani, avrebbe mai potuto decidere di farsi monaco agostiniano? E non deve essere stato un po’ «squilibrato» per lasciarsi alle spalle, dopo non molto, le sicurezze del monastero per passare tra le file dei frati di san Francesco? Non vi pare che solo «perdendo l’equilibrio» poteva arrischiarsi a svestire la bianca veste monastica per il ruvido saio cenerino, a lasciare la quiete di una cella per l’affollata strada, i manoscritti riccamente miniati per i ruvidi volti di poveri e popolani? Annunciando il Vangelo per impervie stradine invece di salmeggiare con voce squillante tra gli scranni del coro? Non è stato inchinandosi, sporgendosi all’esterno, fuori di sé, eccedendo verso malati, carcerati, peccatori, piccoli, che Antonio ha intuito che cosa significhino misericordia e perdono? E non avrà imparato a farlo contemplando tante Madonne chine sul Bambin Gesù, affrescate ovunque? Ché chinarsi è paradossalmente il modo più corretto per vedere lontano, così come scrutare la terra è il miglior punto di vista sul cielo. Come Dio che, stando a quanto dice il Salmo 113, dimora nell’alto, ma si china verso il basso. O come fece Gesù alla lavanda dei piedi. Meglio di glosse e commentari biblici, non sarà stato sbottonando anima e corpo, piegandosi devotamente davanti al Santissimo celato nel sacramento eucaristico e a quello, non meno celato, nel mistero di ogni uomo e donna, che gli si sarà svelato l’eni­gma dell’evangelico «chi perde la propria vita, la guadagna» (Mt 16,25)? Che non c’è nessuna santità cristiana nell’orgogliosa autonomia e nella saccente indipendenza. E neppure nell’egoistica autorealizzazione.
 
Antonio ha dovuto perdersi, per ritrovarsi. E per ritrovare Dio e i fratelli. Perdere l’equilibrio, per ristabilirlo. Ondeggiare, per imparare a danzare. Scrivere fuori dalle righe, per catturare parole nuove. Errare, nel senso di sbagliare, per poter errare, nel senso di vagare. E se fosse proprio così? Che l’evoluzione della specie preveda un ulteriore gradino, dall’homo erectus all’homo obliquus? All’uomo, cioè, che si china sui suoi fratelli? Antonio avrà letto nelle antiche biografie di Francesco d’Assisi, di quando lui e i suoi compagni, nei pressi delle chiese, pregavano «inclinato utroque homine», «proni verso terra con il corpo e con lo spirito». Ecco, questo mi piace: un sant’Antonio inclinato! Sulla persona eretta niente si posa, tutto scivola via. La persona china si fa ricettacolo di polvere e neve. Su di lei si adagiano foglie e pollini. Vi ci si può appoggiare la vita. Oltretutto con la certezza, e non è poco, che Dio «non spezzerà una canna incrinata» (Is 42,3).
 

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017