Istantanee dal Cile
«Siamo venuti in terra cilena per visitare i nostri frati missionari che a Santiago, Copiapò e Curicò vivono, evangelizzano e sperano con il popolo cileno (a Santiago Maurizio, Ramon e Christian; a Copiapò Fabrizio, Enrico, Franco e Mario; a Curicò Tullio, Pedro e Giuseppe). La nostra missione in Cile è adolescente, ha 15 anni. Un fiore che nel deserto in silenzio fiorisce e, con l’aiuto di Dio, crescerà». Anche noi, come padre Giovanni Voltan (vicario della Provincia patavina di Sant’Antonio dei frati minori conventuali) autore di queste righe, vogliamo far loro visita. E lo facciamo attraverso un’intervista a padre Franco Odorizzi, missionario a Copiapò da poco meno di un anno.
Msa. Padre Franco, ci può delineare le caratteristiche della presenza dei francescani conventuali di Padova in Cile?
Padre Franco. La nostra presenza in questa terra è iniziata nel 1995, a Copiapò, nel Nord del Cile, dove si è costituita la prima fraternità su invito del vescovo che allora guidava questa diocesi, monsignor Fernando Ariztia. Di lì a poco si è aperta una seconda fraternità a Santiago del Cile, in una zona povera a nord della città e subito dopo ci è stato affidato il santuario dell’Immacolata, a sud della capitale. Dallo scorso febbraio, infine, siamo presenti con una terza fraternità a Curicò, una cittadina che si trova 200 chilometri a sud di Santiago. Le vicende legate a quest’ultima missione meritano due parole in più. Inizialmente eravamo orientati su un’altra località, ma una serie di situazioni ci ha spinto verso questa città che è stata duramente colpita dal sisma del 27 febbraio: moltissime le vittime, i feriti e le famiglie rimaste senza casa. Da subito, quindi, abbiamo portato aiuto e sostegno a chi era in difficoltà. Ora, grazie all’aiuto della Caritas Antoniana, delle fraternità della nostra Provincia religiosa e degli amici benefattori, si sta procedendo alla costruzione di piccole case in legno, dignitose e accoglienti. Come non pensare, allora, che siamo stati inviati a Curicò per volere e grazia del Padre?
Com’è nata la sua «vocazione» missionaria?
Devo molto a due confratelli con i quali ho trascorso lunghi anni di vita fraterna: fra Giorgio Morosinotto e fra Lorenzo Turetta. Essi hanno risvegliato in me il desiderio di mettermi a disposizione per un servizio missionario. La loro testimonianza di missionari in America Latina e l’esperienza di vita fraterna e pastorale maturata durante gli anni passati in Italia, mi hanno aiutato ad alzare lo sguardo per poter vedere oltre i confini della nostra patria.
Lei si trova attualmente, con altri tre confratelli, a Copiapò. Di che cosa vi occupate nello specifico?
In fraternità con me ci sono fra Fabrizio, guardiano e parroco, fra Mario e fra Enrico. Il nostro primo «impegno» è quello di vivere bene la nostra vocazione alla vita religiosa: abbiamo posto come fondamento della nostra presenza qui a Copiapò la preghiera personale e comunitaria e la vita fraterna. Siamo convinti che per poter vivere bene la nostra chiamata e metterci così al servizio di questi fratelli sia importante alimentarci ogni giorno alla fonte del Padre, cercando di visibilizzare concretamente ciò che professiamo: il Vangelo alla sequela di Francesco d’Assisi.
La zona che il vescovo ci ha affidato è ampia, con caratteristiche differenti: sono dieci i luoghi di culto presenti in questo territorio; accanto alla chiesa «madre» di San Francisco, ci sono altre nove piccole chiese. Tre sono situate in una zona chiamata «Settore aziende», con un chiaro riferimento alle multinazionali agroalimentari che qui hanno iniziato un’estesa e intensiva coltivazione soprattutto di uva da tavola, olive e pomodori. Attorno alle aziende sono sorti tre piccoli villaggi distanti dai 10 ai 30 chilometri da Copiapò. Ognuno di loro ha una piccola chiesetta dove si svolge la vita della comunità cristiana. Noi affianchiamo la persona responsabile della comunità. Il nostro compito è soprattutto quello di ascoltare, condividere e celebrare; poi, con l’aiuto della Caritas parrocchiale e dei benefattori provvediamo spesso a dare sostegno economico per le medicine o l’alimentazione.
E le altre chiese?
Da pochi anni ci è stato affidato anche un territorio che si colloca nella zona est di Copiapò. È una zona abitata prevalentemente da persone che lavorano o hanno lavorato in miniera. Si tratta di famiglie venute dal Sud del Cile, dalla Bolivia o dal Perù in cerca di lavoro. Hanno costruito lungo i fianchi della montagna delle baracche, che ora si stanno trasformando lentamente in abitazioni. Qui ci sono quattro chiesette, piccole comunità con una fede semplice e appassionata. In questi primi passi della nostra presenza, pensiamo sia molto importante conoscere e farci conoscere: visitiamo le famiglie e gli ammalati, siamo presenti durante i momenti degli incontri pastorali, formiamo le persone che si rendono disponibili al servizio alla Chiesa locale. Condividiamo le preoccupazioni legate alla precarietà e pericolosità del lavoro, alla scarsità del salario, all’elevato costo dell’assistenza sanitaria, alla fragilità delle famiglie, alla debolezza della formazione scolastica, alla cultura dello «sballo» per sfuggire alla mancanza di prospettive.
Infine, c’è la chiesa dedicata a sant’Antonio, a nord della parrocchia, nel quartiere Borgono. La comunità che vive in questa zona ha un cammino ben rodato e vivace. Anche qui ci dedichiamo soprattutto alla visita alle famiglie, alla catechesi e al coordinamento delle realtà presenti.
Quali sono i problemi più urgenti con i quali vi confrontate?
Credo sia importante aiutare questa gente a costruirsi un futuro migliore, nel quale il rispetto della dignità della persona e la ridistribuzione equa delle risorse siano garantiti. Per questo motivo, fondamentale è l’istruzione: aiutare le persone a formarsi una coscienza capace di pensare e agire per il bene comune. In questo l’annuncio del Vangelo ha un ruolo chiave, perché consente alla gente di scoprire la dignità dell’essere figli di Dio. L’esperienza di Chiesa apre al vissuto di comunione e solidarietà, e permette di diventare costruttori di ponti verso l’altro.
Di Copiapò si è parlato di recente per i trentatré minatori sopravvissuti quasi miracolosamente al crollo della miniera in cui lavoravano.
Copiapò, all’origine, era poco più di un villaggio di agricoltori. Solo in seguito alla scoperta dei giacimenti di oro, argento e rame, e al conseguente arrivo di persone in cerca di lavoro, si è trasformato in una città. La maggior parte dei suoi abitanti, quindi, è costituita da minatori che si sono sentiti direttamente coinvolti in quanto stava accadendo. Nei giorni seguenti al crollo sono stato testimone di un clima di fede e solidarietà che ha contagiato l’intera città: tutti si sono mobilitati, pregando e aiutando concretamente le famiglie dei minatori. Anche quando ragionevolmente dubitavano di poterli trovare vivi, forte saliva l’invocazione a Dio e alla Vergine della Candelaria (patrona dei minatori) per la loro salvezza. Quando poi si è sparsa la notizia che i mineros erano vivi, la città è impazzita di gioia: i caroselli con le macchine e i balli nella piazza principale sono andati avanti per diverse ore. E poi, tutti al santuario della Candelaria a ringraziare per la grazia ricevuta. Di fronte a tutto questo, mi sono sentito piccolo nella fede.