Italia, terra promessa
Nei grandi processi migratori ogni singola persona - ieri i nostri connazionali, oggi gli extracomunitari - è un seme trasportato dal vento. E i venti della storia possono fecondare una società cos' come possono distruggerla.
Gli arrivi di immigrati clandestini in Italia hanno riempito le cronache degli ultimi mesi spesso con toni di eccessiva drammatizzazione, ma hanno comunque riproposto in modo pressante la «questione immigrazione» e, soprattutto, hanno delineato ancora una volta la necessità sia per l'Italia, sia, più in generale, per l'Unione europea, di cercare soluzioni che garantiscano al tempo stesso la tutela della persona umana e la sicurezza delle popolazioni di accoglienza. Ignorare i fenomeni di criminalità che accompagnano l'immigrazione clandestina sarebbe assurdo. Ma limitare a questo aspetto l'approccio al fenomeno, fare in altre parole dell'immigrazione una questione di polizia, sarebbe più assurdo ancora. Eppure, da parte di forze politiche, stampa e opinione pubblica, si dà per scontata questa equazione tra criminale ed extracomunitario (gli «extracomunitari», nell'accezione comune, non sono cittadini di Paesi dell'Unione europea, ma quelli del Terzo Mondo. Nessuno, infatti, chiama cos' gli americani o gli svizzeri). Questo atteggiamento non può che sconcertare e avvilire ogni retta coscienza. E tanto più incongruo appare quando a rendersene responsabili sono le autorità , la stampa e i cittadini di un Paese, come l'Italia, che negli ultimi centocinquant'anni ha visto oltre un decimo della propria popolazione lasciare la patria per cercare altrove la possibilità di sopravvivere.
Oggi, troppi nostri connazionali infliggono agli stranieri che giungono in Italia quel rifiuto mentale, quell'approccio razzista che tanti italiani, a loro volta, hanno subito lungo le strade dell'emigrazione percorse dal nostro popolo nell'Ottocento e nel Novecento, e che in qualche caso ancora non viene meno, nonostante l'apporto di lavoro, di cultura e di valori che gli italiani all'estero offrono ai Paesi di accoglienza.
Peraltro, l'auspicabile spirito di accoglienza del nostro Paese, testimoniato dall'atteggiamento e dall'impegno di tanti volontari, comunità locali e strutture ecclesiali, non può tradursi in un'apertura indiscriminata delle frontiere. Più in generale, è evidente che il fenomeno non può essere ricondotto per l'Italia e per la stessa Unione europea a un'esclusiva dimensione interna. In questo senso vanno lodati gli accordi conclusi dal Governo di Roma con quelli di Marocco e Tunisia, ed è auspicabile un confronto costante e un'intesa costruttiva tra l'Europa i Paesi più coinvolti nel fenomeno. Le fughe di intere popolazioni, siano esse spinte dal bisogno economico, come accade per quelle del Nord Africa, o anche da persecuzioni politiche, come è il caso, ad esempio, dei curdi sia dalla Turchia sia dall'Iraq, sollecitano iniziative internazionali nei Paesi di provenienza delle sventurate persone che premono ai confini dell'Europa opulenta. Dal canto suo, papa Giovanni Paolo II ha ricordato che «... la necessaria compassione verso dei rifugiati stremati non deve far dimenticare i milioni di loro fratelli che sono alla ricerca di condizioni di vita sicure e degne».
Preoccupa, quindi, che il confronto all'interno dell'Unione europea sembri concentrarsi soprattutto sulle questioni di sicurezza e sulle misure di repressione dei flussi migratori, senza che venga percorsa con la necessaria decisione la strada della cooperazione internazionale e dell'aiuto al Terzo e Quarto Mondo. È infatti nei Paesi d'origine dei flussi migratori che occorre adottare politiche che riducano il fenomeno dell'immigrazione: ogni dollaro investito per aiutare i Paesi in via di sviluppo, ne fa risparmiare cento in strutture di accoglienza e in spese di sicurezza.
Ma il discorso è ben più vasto e si concentra sulle sfide essenziali che il nuovo Millennio propone all'intera umanità sul piano dello sviluppo e della costruzione della pace. Ciò non è possibile senza una reale giustizia, senza un autentico rispetto per tutti gli uomini e per tutti i popoli. L'Europa che può costruire la sua unità solo basandola su principi di tutela dei diritti dell'uomo dei quali è stata storicamente la culla, è dunque sollecitata a riconoscere in tale visione il proprio compito storico nell'aprirsi al nuovo Millennio. Il concetto di «fortezza», chiusa a difesa, non solo è estraneo alla storia della civiltà europea, ma è altres' foriero di prospettive di imbarbarimento della convivenza tra gli stessi popoli del continente, da tempo avviati sulla strada dell'integrazione.