La lobby italofona
All'indomani dell'approvazione, da parte del Senato della Repubblica italiana, della modifica dell'articolo 48 della Costituzione, per concedere il voto in loco agli italiani all'estero, abbiamo intervistato la senatrice Patrizia Toia, sottosegretario agli Affari esteri con delega per le politiche dell'emigrazione.
Msa. Possiamo dire che il voto in loco agli italiani all'estero ha ormai imboccato una strada in discesa? Quali difficoltà rimangono da superare?
Toia. Sicuramente non è più una strada in salita e la recente approvazione del Senato esprime la volontà del Parlamento italiano di imboccare questa strada in modo irreversibile. La modifica dell'articolo 48 della Costituzione, che introduce la circoscrizione nella quale voteranno gli italiani residenti all'estero, è però solo la prima tappa per arrivare al termine del percorso. Seguirà l'approvazione di una seconda legge per la modifica degli articoli 56 e 57 della Costituzione per definire quanti deputati e senatori saranno eletti da questa circoscrizione. La legge è all'esame della Commissione affari costituzionali, che ha proposto 16 deputati e 8 senatori; ma trattandosi di una legge di riforma costituzionale, si richiedono due approvazioni della Camera e del Senato. Seguirà , infine, l'approvazione di una legge ordinaria che definirà le modalità del voto. È un percorso che prevede l'approvazione di tre leggi e l'impegno di rendere più agevole l'Anagrafe degli italiani all'estero, ma essendoci in tutti la volontà di arrivare all'obiettivo, se tutto prosegue con continuità e coerenza, potremo essere pronti per le elezioni politiche del 2001, termine di questa legislatura.
Sul piano sociale e culturale cosa significherà per l'Italia, l'ingresso dei nostri connazionali all'estero nel corpo elettorale?
La nuova collettività che vota sarà di forte aiuto per diffondere sempre di più l'italianità : la nostra cultura e lingua, le nostre abitudini e il nostro essere italiani nel mondo. In secondo luogo, riconosciuto il loro diritto di voto, il Parlamento dovrà occuparsi maggiormente degli italiani all'estero. I loro rappresentanti dibatteranno i loro problemi e le loro attese, rendendoli parte della vita politica e istituzionale del Paese. Saranno rivolte maggiori attenzioni ai bisogni degli anziani all'estero, ai quali deve essere garantita una vita ricca di umanità e di momenti di aggregazione, e alle attese culturali delle nuove generazioni. In andata e in ritorno, nello stile della reciprocità , ci sarà quindi un mutuo vantaggio sia per i connazionali all'estero che per gli italiani in Italia.
Quali iniziative potrebbero essere adottate per creare un grande villaggio italofono nel mondo?
Mi piacerebbe moltissimo aumentare la comunità di italiani e italofoni. Qualcuno dice che non c'è solo l'italofonia, una comunità di persone che parlano italiano, ma anche un mondo di gente che è vicina e ama l'Italia. In tal caso, si parla di italsimpatia e di italsintonia da parte di cittadini non italiani che sentono molta affinità , quasi elettiva, per l'Italia. Noi dovremmo lavorare molto per curare i rapporti con comunità di italofoni o di italosimpatizzatori, promuovendo la conoscenza della cultura italiana, classica e moderna, della moda, del design, delle nuove discipline nelle quali l'Italia ha raggiunto punti di eccellenza, come l'arte e l'artigianato. Noi siamo eredi di un patrimonio che ci caratterizza, ma anche ci sprona a promuovere nel mondo la nostra cultura, a offrire ai giovani corsi d'italiano e borse di studio nelle nostre università . Dobbiamo approfondire legami e rapporti per creare una rete, nel cosiddetto villaggio globale, che però non si fermi alla novità degli strumenti informatici, ma punti alle persone. Una rete che trasmetta idee, cultura e quelle esperienze d'ogni giorno che fanno emergere i valori della persona e il senso della famiglia.
Gli italiani all'estero potrebbero diventare operativamente una lobby in grado di favorire l'Italia nel consesso internazionale?
Direi proprio di sì. Se la parola lobby vuol dire giusta pressione per una giusta causa, allora accetto il termine nel senso di gruppo, associazione o comunità che fanno sentire la loro voce. Un esempio di comunità italiana, che ha fatto un'azione di lobby, l'abbiamo avuto due anni fa negli Stati Uniti, in occasione della riforma del Consiglio di Sicurezza dell'Onu. L'Italia proponeva un allargamento della partecipazione dei membri non permanenti e quindi con minor peso politico, offrendo a tutti la possibilità di una turnazione frequente. La proposta ha avuto subito un momento di grave difficoltà e quando sembrava che anche gli Stati Uniti abbandonassero il progetto italiano di riforma, per acconsentire al desiderio della Germania e del Giappone di entrare a far parte del Consiglio come membri permanenti, le comunità degli italoamericani si misero in moto, esprimendo la loro delusione al governo americano e sollecitandolo a rivolgere più attenzione alla proposta italiana. Io credo che la presa di posizione dei nostri amici italoamericani, che molto hanno fatto per il Paese che li ha accolti, sia stata determinante nel convincere gli Stati Uniti a rimanere quantomeno neutrali, non ostacolando la proposta italiana che sta attuandosi. La presa di posizione degli italoamericani ha giovato al loro Paese d'origine e alla causa internazionale.
Il modello della convivenza multietnica, in Paesi dove gli italiani sono protagonisti, può fare da deterrente all'esplosione di nuove crisi politico-militari in aree calde del pianeta?
Sì, perché abbiamo bisogno di imparare da chiunque può insegnarci come possiamo stare insieme tra popoli diversi. Le grandi migrazioni in atto ora, e forse, ancor più, nel secolo futuro, ci dicono come dovremo convivere con gente di etnia, religione e cultura diverse; ad essere consapevoli della propria identità , e ad aprirci alla conoscenza e all'accettazione di altre culture, in uno stile di convivenza pacifica, basata sul rispetto dei fondamentali valori e diritti della persona. Questa è stata una regola essenziale in passato, ma è fondamentale per il futuro, perché la società sta divenendo sempre più multietnica. Guai a noi se non sapremo armonizzare l'accoglienza rispettosa delle idee degli altri con la nostra identità , abituandoci al fatto che si deve convivere nel rispetto e non nella contrapposizione. La vicenda dei Balcani, per la quale speriamo in una pacifica soluzione, ci insegna che se non c'è convivenza c'è guerra. L'esperienza d'integrazione attuata dai nostri connazionali all'estero, la loro capacità di conservare i valori della terra d'origine e di accettare quelli della società in cui si sono inseriti, ci sono d'insegnamento. Integrazione non vuol dire dimenticare la propria identità , ma vivere nel solo «culto» della propria identità può essere ghettizzante. Anche noi vivremo in una società multietnica, come cittadini italiani e cittadini europei: due dimensioni che non sono in contraddizione, ma sono un arricchimento nella sfera dei diritti della cittadinanza primaria.
L'italianità ha un futuro? Ci sono dei segni che le nuove generazioni sono interessate a mantenere i valori dell'identità trasmessa dai padri?
Da parte delle nuove generazioni c'è una certa difficoltà a partecipare alle attività associazionistiche, ma sono convinta che se proponiamo qualcosa che va incontro alle loro esigenze, riusciremo ad aggregarli, ritrovando con loro il senso dell'italianità . Sono meno interessati alle cose folkloristiche, ma rimane vivo l'interesse per lo studio, la cultura, l'arte, la musica, lo sport o proposte di lavoro collegate con l'Italia. Dobbiamo andare sul loro terreno: ascoltarli, coinvolgerli, magari organizzando per loro una conferenza, come quella per le donne residenti all'estero, organizzata nel '98. Sapere d'essere originari di un Paese, come l'Italia, unico per il suo patrimonio artistico, culturale e per le sue bellezze naturali, è anche motivo di prestigio e di orgoglio. Non è un Paese così forte da essere rischiosamente «colonizzatore», ma non è così piccolo da non aver niente da dire al mondo, sul piano politico internazionale. Direi che oggi dobbiamo far leva sull'orgoglio di essere di origine italiana, facendo risvegliare in loro la scintilla di interesse per il nostro patrimonio culturale. È la sfida per tante associazioni e per chi è impegnato nell'educazione, ma è anche la sfida a cui devono dare adeguate risposte il nostro governo e le regioni per dare un futuro all'altra Italia.