La nuova Beirut

Progetti di grande respiro per fare ritornare la capitale libanese agli splendori di prima della guerra, anzi di superarli per attirare il bel mondo. Scarsa attenzione ancora per la rinascita dei quartieri poveri.
06 Luglio 1997 | di

Chi ha seguito il viaggio del papa in Libano attraverso la televisione si è reso conto delle distruzioni subite dal paese, e soprattutto da Beirut, la sua capitale, in sedici anni di insensata guerra civile. Colpisce soprattutto il centrocittà , dove gli edifici pericolanti sono stati abbattuti e dove si presenta uno spettacolo di macerie a perdita d'occhio, come per le città  tedesche nell'immediato dopoguerra. Ma ora le ruspe hanno quasi ultimato il loro lavoro, e i primi cantieri cominciano a disegnarsi accanto ai pannelli pubblicitari che già  illustrano una Beirut dell'avvenire.

Il progetto è molto ambizioso: 608 mila metri quadrati, una nuova piccola città , guadagnati sul mare con il materiale di riporto delle rovine e protetti da una diga lunga un chilometro. Una città  tridimensionale che cresce in larghezza, in altezza e in profondità , segnata da ampi spazi verdi e percorsa da arterie alberate, con il prolungamento e il completamento della passeggiata lungomare chiamata, con nome francese, corniche. Una città  polivalente: centro degli affari, della politica e del turismo, ma anche con zone residenziali di alta qualità , che ospiterà  quarantamila abitanti fissi e centomila pendolari.

Per un piccolo paese come il Libano, proiettato tutto sulla capitale, è un progetto che mobiliterà  le energie ben oltre l'anno duemila (il suo completamento è previsto per il 2015). E farà  di Beirut nuovamente, e più di prima, una meta del turismo ricco internazionale e del flusso finanziario: una 'Svizzera' sulle rive del Mediterraneo. Accanto alle occhiaie vuote dell'hotel St. Georges, già  luogo prediletto dall'élite internazionale e dai ricchi sceicchi del golfo, si lavora per delineare il bacino di un porto turistico, mentre ne viene disegnato un altro all'estremità  opposta del delta formato dai detriti di riporto: assieme potranno ospitare un migliaio di yacht e altri natanti di lusso. Ma tanta euforia futuribile è tutta giustificata?

Il piano originale di ricostruzione ha subìto varie vicissitudini. All'inizio è stato accusato dagli urbanisti di gigantismo, di stravolgimento del tessuto storico urbano, di immaginare una Manhattan o una Singapore sulle rive del Mediterraneo. Nel 1992 una inchiesta fra gli studenti aveva rivelato che il 47 per cento voleva il centro storico 'com'era prima', di fronte a un 20 per cento che lo auspicava 'più funzionale'. Il piano definitivo, che è del 1994, ha accolto parte delle critiche e appare un 'compromesso più equilibrato'.

Oggi nei camminamenti scavati in mezzo ai detriti si vedono avanzare le file dei turisti, macchine fotografiche a bandoliera, che vanno a visitare i reperti archeologici apparsi durante gli scavi: l'antica Berytus, colonia romana, sta riaffiorando dalle fondamenta della Beirut del duemila. Così il cardo maximus, le terme, un criptoportico.

Si è appurato che il cardo romano non è la prima pianificazione urbanistica, ma già  ricalca una arteria della preesistente città  ellenistica. Gli archeologi - fra i quali anche delle équipe italiane - vorrebbero continuare a portare alla luce l'intera città  romana, mentre i ricostruttori, protestando che già  i lavori sono in ritardo a causa di queste scoperte, hanno delimitato alcune isole di reperti che saranno mostrati 'a cielo aperto', decidendo di tirare avanti alla successiva fase della costruzione della nuova Beirut.

Il gruppo cui è stato affidato l'impegnativo compito della ricostruzione del centrocittà  si chiama Solidere, una sigla per 'Società  libanese per lo sviluppo e la ricostruzione' (in francese) che suona assai bene, sempre in francese, simile a solidarietà , solidità . È un gruppo tutto privato, senza che lo stato abbia dovuto tirare fuori una sola lira (libanese), né le grandi istituzioni internazionali un solo dollaro. È questo l'aspetto positivo della scelta, ratificata nel 1994. I proprietari dei terreni o degli immobili hanno ricevuto, in cambio dell'esproprio, delle azioni di Solidere, e il finanziamento è venuto da consistenti gruppi libanesi, del mondo arabo, della finanza privata internazionale. Fra i libanesi, fanno parte dei diversi gruppi finanziari personaggi politici di spicco, in prima fila il primo ministro, Rafic Hariri.

Per certi versi, Hariri può essere definito il 'Berlusconi libanese'. Non soltanto perché possiede un canale televisivo, ma perché viene dalla gavetta, ha cominciato dal nulla come intermediario con i ricchi sceicchi arabi, per diventare lui stesso un ricco finanziere imprenditore.

È questa commistione di ruoli, d'altronde tradizionale per il Libano, che appare discutibile. Per il rischio, già  evidente, se economia e politica finiscono nelle stesse mani, che si instauri una condizione di monopolio, prodiga di favoritismi e lottizzazioni. Hariri sta cercando di consolidare la propria base politica lanciando un suo movimento che parte, come sempre in Libano, da una origine confessionale, in questo caso musulmano-sunnita, ma cercando alleati fra i moderati del campo cristiano e di quello musulmano-sciita. Sul piano internazionale si sta puntellando su due protettori: da un lato, il 'grande fratello' siriano, che dal 1976 mantiene nel paese migliaia di soldati e fa, simbolicamente e vistosamente, capolino all'angolo di molte strade dalle gigantografie di Hafiz al-Assad, il presidente siriano; dall'altro lato, la superpotenza Usa. Due appoggi che in qualsiasi altra parte del mondo sarebbero in contraddizione fra di loro, ma che qui consentono ad Hariri e ai suoi alleati di realizzare un capolavoro di equilibrismo e compromesso.

Con il progetto 'Orizzonte duemilacinque', poi, Hariri punta a fare del Libano un tassello determinante di quella integrazione economica del Medio Oriente di cui si è discusso nelle conferenze internazionali a Casablanca, nel 1994, e ad Amman, nel 1995, e quindi ad arrivare alla pace con Israele.

Gibran Khalil Gibran, il più suggestivo poeta e pittore libanese di questo secolo, ha scritto: 'Beirut mille volte distrutta, mille volte rinata'. Andando negli uffici di Pubbliche relazioni di Solidere mi è stato mostrato il plastico della Beirut oltre il duemila. A settembre di quest'anno sarà  inaugurato il primo nuovo edificio pubblico di spicco: un palazzo delle agenzie dell'Onu per l'Asia occidentale. Ho visto il modellino del Centro commerciale: una torre-grattacielo già  in restauro e che sarà  sopraelevata per diventare la vedetta della rinnovata Beirut degli affari.

Ho letto della trasformazione del Gran Serraglio, l'imponente palazzo turco-ottomano, in sontuosa rappresentanza della presidenza del consiglio, con un grande diwan (salotto arabo) arredato con mobili Luigi XVI e veneto-turchi, e una camera da letto per il primo ministro di 180 metri quadrati. Però non ho letto di progetti altrettanto grandiosi per creare quartieri residenziali popolari. Ho visto molti cantieri attivi nei quartieri della borghesia di Beirut, sia a prevalenza musulmana che cristiana, ma nei quartieri più poveri la crescita mi sembra, per il momento, affidata soprattutto al fai da te, alle poche impalcature che una famiglia riesce ad alzare per aumentare di una stanza o di un piano la casetta spesso abusiva. l

Palestinesi: i senza diritti

In Libano i palestinesi sono poco meno di mezzo milione, e vivono, crescono e muoiono per lo più ammassati in campi profughi dove sono arrivati cinquant'anni fa, dopo la proclamazione dello stato di Israele e la prima guerra israelo-araba.

Sono i più poveri, ma soprattutto sono senza diritti: non possono esercitare una lista di settanta professioni: tutte quelle medioalte; non hanno passaporto, ma solo un documento di viaggio per rifugiati e con molte limitazioni; per loro è difficilissimo, quasi impossibile venire naturalizzati e ottenere la cittadinanza libanese. Recentemente l'Unrwa, l'organizzazione delle Nazioni Unite che si occupa dei profughi, ha limitato la distribuzione delle razioni di viveri ai più poveri, e ridotto l'assistenza sociale e sanitaria, per motivi di bilancio (il numero dei profughi sta minacciosamente crescendo in tutto il mondo e i palestinesi vengono progressivamente dimenticati).

Dopo gli accordi fra governo israeliano e autorità  palestinese si sono anche rotti i rapporti politici fra il principale movimento palestinese, Al Fatah, di Yasser Arafat, e i profughi che vivono in Libano, dove hanno preso il sopravvento i gruppi estremisti filosiriani e filoiraniani. Così, i palestinesi del Libano si trovano sempre più abbandonati e sempre più isolati, senza una prospettiva razionale: occorre uno sforzo di immaginazione delle organizzazioni internazionali e delle diplomazie per cercare una soluzione equa e accettabile anche per loro.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017