La più grande passione è Mia
La storia dei De Lorenzo ha lontane origini. Recentemente ho incontrato Italo, uno degli eredi di quella famiglia che la professoressa Laura Schram Pighi, in un'intervista per Incontri olandesi (maggio-giugno 1977), presentava come appartenente all'«aristocrazia dei gelatai italiani in Olanda». Italo era di ritorno dall'«Adunata Nazionale degli Alpini» del 2000, celebrata a Brescia, e da due giorni d'escursione sulle montagne del Cadore con ex compagni della Scuola militare alpina. Il nostro dialogo inizia ricordando l'avventura del nonno Giacomo, nato a Vinigo di Cadore e costretto a emigrare per la crisi dell'economia montana. I suoi zii avevano già aperto delle gelaterie in Germania e anche Giacomo tentò di affiancarsi a loro, continuando la tradizione familiare. Era il 1885-1890, un periodo in cui tanti veneti avevano iniziato a emigrare verso le Americhe e i Paesi del Nord Europa per cercare un lavoro.
«A nonno Giacomo, il mestiere di gelataio non piaceva - mi racconta Italo - tanto che preferì percorrere la riviera italiana e francese per vendere occhiali: un prodotto che ha una lunga tradizione in Cadore. Sposatosi nel 1890, decise di stabilirsi prima a Vinigo e poi a Tai di Cadore, riversando passione all'agricoltura e all'allevamento del bestiame. Fu uno dei primi a importare nella provincia di Belluno patate olandesi e ad allevare mucche della razza olandese; e per abituare queste ultime al nuovo habitat montano, ideò una stalla modello. Sognava che almeno uno dei figli continuasse la sua attività : la continuò la figlia Angelina, mentre il fratello Guido, mio padre, dopo il servizio militare emigrò per un paio d'anni presso i parenti residenti in Germania, poi in Belgio e, infine, nel 1928, in Olanda dove aprì a 23 anni il primo negozio di gelati a Utrecht: la «Venezia IJS».
Msa. Quali sono le prime tappe della sua vita?
De Lorenzo. Sono nato in Olanda nel 1939. Avevo una sorella, Giacomina, e una fratello, Enrico, e quando mia madre era incinta del quarto figlio, tornammo per le vacanze, ospiti di zia Angelina, che conduceva l azienda del nonno. Ma poco tempo dopo mia madre, partorendo la sua quarta creatura, morì per setticemia. Con i due fratelli maggiori e con la sorella più piccola, Erminia, sono rimasto presso la zia che come una vera madre ci allevò con altri quattro cugini, figli di parenti emigrati o morti in guerra, divenuti per noi dei fratelli. Cominciai a frequentare la scuola a Tai di Cadore, proseguendo gli studi fino al diploma di ragioniere; ma quando, nel 1959, mio padre mi richiamò in Olanda, non ci andai volentieri, tanto che, poco dopo, ritornai in Italia per il servizio militare anche se, risiedendo all'estero, ne ero esonerato. Terminato il servizio e raggiunto mio padre a Utrecht (unito in nuovo matrimonio con Rachele Zambianco, madre d'un nuovo fratello, Carlo), avvenne un fatto che cambiò la mia vita: l'incontro con colei che divenne mia moglie e che da allora mi «legò» definitiva- mente all'Olanda, come marito e padre felice.
Da dove nasce la sua passione per il bob?
È uno sport legato all'amore per le nostre montagne che io ed Enrico avevamo nel sangue: Eugenio Monti, famoso campione di bob, era infatti un nostro cugino acquisito. Mio fratello divenne campione del mondo di bob a Garmisch Partenkirchen nel 1962; io fui campione europeo nel 1964 e medaglia d'argento al Campionato mondiale di bob a St. Moritz nel 1965. Avevo una promettente carriera, ma dopo il matrimonio decisi di troncarla, perché i trasferimenti dall'Olanda all'Italia per allenarmi divenivano sempre più difficili. Continuai però a coltivare la mia passione sportiva partecipando, dal 1965 al 1977, a trasmissioni radiofoniche e televisive in cui raccontavo agli olandesi la storia e le caratteristiche del bob. Riuscii così a trasmettere la passione per uno sport tipico delle nostre Dolomiti a un gruppo di giovani olandesi tanto che fondai, nel 1978, i primi tre club di bob. Successivamente è sorta una federazione, di cui divenni presidente con il compito di curare la rappresen- tanza delle squadre olandesi all'estero.
Nell'attività sportiva e nella sua professione sente di essere portatore dell'italianità ?
Sono sempre stato fiero di essere italiano e veneto, sia nella mia attività sportiva, come nella mia professione. Già vent'anni fa ho chiesto la cittadinanza olandese per una questione di principio. Mia moglie e tre figlie, legate affettivamente e culturalmente all'Italia, hanno la doppia cittadinanza. Alla fine di una lunga procedura per superare gli stop del trattato di Strasburgo, che in alcuni Paesi dell'Unione vieta la concessione della doppia cittadinanza, sono riuscito a ottenerla dopo aver dimostrato la mia completa integrazione nella società olandese. Anche la mia professione è una palestra di italianità : «Venezia IJS - Puro gelato italiano» non è solo il logo di una famiglia, ma di una tradizione e sono convinto che anche attraverso il gelato si possa promuovere l'«immagine Italia» nel mondo. Per quest'impegno, nel 1997 ho ricevuto a Longarone il premio «Maestro Gelatiere», assieme a Mario Talamini Brugo: un riconoscimento che mi ha veramente gratificato perché, oltre ad attestare la mia professionalità nel lavoro, ha premiato una «scuola» che risale a mio padre, morto quasi novantenne nel 1990. È da lui che ho imparato le cose più importanti come uomo e come imprenditore: mi ha insegnato la serietà nell'impegno professionale; la correttezza nei rapporti con i collaboratori, i clienti e i fornitori; la disciplina necessaria per fare bene un lavoro; la fierezza di presentare i nostri prodotti; la curiosità e la continua ricerca per trovare strade nuove; l'importanza di non rimanere isolati come categoria; il valore, infine, delle ricette che da più di 40 anni caratterizzano i nostri prodotti. Papà mi diceva: «Non aver paura di mostrarle agli altri, perché il tocco finale lo conosciamo soltanto noi! Apriti, invece, e fa in modo di conoscere le loro opinioni». Sono insegnamenti che hanno fatto di mio padre un maestro.
Ci sono altri compiti che l'hanno particolarmente coinvolta?
Sono stato il primo straniero a far parte della Commissione esaminatrice del Centro di istruzione professionale e, dal 1977 al 1982, presidente dell'associazione commercianti della città di Utrecht. Un impegno che mi ha gratificato come professionista, ma che nello stesso tempo è stato per me una sfida. Infatti dovevo difendere i diritti della categoria in occasione di incontri e dibattiti pubblici, esprimendomi evidentemente in olandese. Sono socio dell'Ana e anche quest'anno ho partecipato all'Adunata nazionale degli alpini. Volevo fondare una sezione Ana anche in Olanda, ma il tentativo non è riuscito. Gli italiani in Olanda non sono molti, forse ventimila. Il nostro incontro annuale più importante è la festa della Repubblica, che viene celebrata il 2 giugno presso il Consolato italiano con la partecipazione dei rappresentanti della comunità . Altre occasioni d'aggregazione e di incontro sono: l'«Accademia della cucina italiana» e l'«Associazione gelatieri italiani», a cui maggiormente rivolgo la mia attenzione essendone presidente. È stata fondata nel 1972, e i 35 proprietari di gelaterie formano, anche in Olanda, una rete capillare di servizi. I nostri negozi sono divenuti anche degli spazi promozionali delle bellezze della nostra regione d'origine e dei punti di riferimento per ritirare dépliant che rappresentano le città e le montagne del Veneto.
Ricorda qualche connazionale a lei particolarmente vicino?
Mi piace ricordare Paolo De Mas, direttore della Facoltà di scienze sociali dell'Università di Amsterdam; suo fratello Luigi, avvocato commercialista, nostro prezioso consulente; Antonio Talamini Bantona, fondatore, con me, dell'ITAL, di cui è presidente onorario; Nino Zilli e Romana Bridda, presidente dell'associazione «Bellunesi nel mondo». Aiutata anche dal marito, Carlo van Maanen, promuove ini- ziative che coinvolgono i membri dell'associazione e gli olandesi.
Cosa rimarrà nella memoria dei vostri figli dell'epopea migratoria italiana e veneta?
Se uno ha saputo trasmettere ai figli la fierezza di appartenere a un determinato ceppo italiano, veneto e, nel mio caso, cadorino, i suoi figli saranno certamente eredi e continuatori del suo patrimonio di memorie e di tradizioni. Noi italiani, anche se siamo bene integrati nella società olandese, manteniamo la nostra identità , nell'attività professionale e nella vita familiare. Io ho tre figlie: Carlina, di 34 anni, sposata con Roberto Coletti di Tai di Cadore. La seconda è Francesca Romana, sposata con Huib Baauw, un olandese impegnato nel settore automobilistico. La terza è Maria Angela, nata nel 1982, iscritta alla facoltà di Giurisprudenza. I loro nomi sono italianissimi; la loro educazione è stata arricchita dal patrimonio della lingua, della cultura e dell'arte italiane che ci fa fieri; le loro vacanze in Italia non sono solo una scelta turistica, ma rappresentano il desiderio di ritornare in una terra che fa parte delle loro radici.
Lei è un padre felice...
Sì, ma devo aggiungere che è anche merito della mia consorte, Mia, che oltre ad amare l'Italia e possederne la cittadinanza, ha voluto che in famiglia si parlasse l'italiano e si educassero le figlie allo stile e ai valori della mia terra d'origine. Siamo una coppia affiatata: due caratteri complementari per cui se nell'azienda io curo l'aspetto tecnico e il rapporto con i fornitori e i clienti, lei, oltre ad aiutarmi con il suo spiccato senso degli affari, cura l'aspetto estetico del «Venezia IJS», per renderlo un piacevole luogo d'incontro. Debbo quindi molto a Mia per tutto ciò che ho potuto attuare in famiglia, nella mia professione oltre che nel settore sociale e sportivo.