L’anima esiste? Sembra proprio di sì
La seconda Guerra del Golfo ha, involontariamente, riproposto il dubbio antico: l`anima sopravvive al corpo ` c`è un legame fra anima e coscienza `? Beneficamente traumatizzato dal fragore d`un missile caduto a poca distanza dal suo letto, un giovinotto (39 anni) iracheno in coma da circa un anno, s`è svegliato. Nonostante il caos, in quell`ospedale di Baghdad un medico attento avrebbe riservato particolare attenzione al giovinotto uscito dallo stato comatoso. (Adopero il condizionale poiché non ho modo di verificare in loco quanto ho appreso). Alla rituale domanda: «Cosa ricorda ` ha avuto visioni durante questa `parentesi` `?», è seguita l`altrettanto rituale risposta, quella che solitamente viene da chi è uscito dal coma, e cioè: «Nulla».
E qui finirebbe la storia se non fosse che il giovinotto iracheno avrebbe aggiunto: «Sento tuttavia che è successo qualcosa durante la `parentesi`; avverto un lontanissimo ricordo vago d`un particolare momento intimo». E qui mi sovvengo d`uno scritto ` meglio: uno studio ` di Peter Fenwich, autorevole psichiatra inglese, e di Sam Parnia ricercatore clinico di Southhampton, dal quale emerge come la mente sia indipendente dal cervello così la coscienza, «vale a dire l`anima», continui a vivere dopo la morte cerebrale.
Dieci anni fa all`incirca, partecipai, durante la Settimana Santa, insieme con altissimi prelati, gesuiti d`avanguardia e psicologi, a una tavola rotonda televisiva moderata da Nuccio Fava, incentrata sulla morte e resurrezione di Gesù. Con accenti invero retorici, un alto prelato si diede ad esaltare «l`ineffabile bellezza della morte», provocando in noi non poco sconcerto. Invitato a dire la mia, dissi semplicemente che «anche» in guerra (fatta da soldato della notizia, armato soltanto di taccuino e biro) non ho mai avuto paura di morire. Epperò, dissi, mi fa paura l`idea del «dopo», del buio dopo la luce ineguagliabile della vita. Non sappiamo niente del «dopo», e sarebbe presunzione sinanco blasfema argomentare che poiché Egli è andato in Paradiso, resuscitando, lo stesso destino toccherà a noi.
Qui giunti, converrà fermarsi un attimo sulle conclusioni dei due medici inglesi dei quali più sopra ho detto. Essi hanno intervistato sessantatré pazienti: due usciti da un lungo coma, gli altri sopravvissuti ad arresto cardiaco; questi ultimi interrogati sette giorni dopo l`evento. Solamente quattro pazienti hanno superato la cosiddetta «Scala Grayson» per mezzo della quale si valuta l`esperienza detta «di quasi morte». I quattro, tutti, han riferito di «sensazioni di pace e di gioia, di perdita di percezione del corpo, di una sorta di `luce brillante` che indicava un altro mondo rassicurante».
Una notazione: tre dei pazienti si sono dichiarati anglicani non praticanti, il quarto ha detto d`essere cattolico praticante.
La conclusione cui giungono i due scienziati inglesi, dopo aver studiato e ristudiato i colloqui con i quattro pazienti usciti dal tunnel della morte fisica, se ho ben capito, sarebbe la seguente: il cervello è una specie di «intermediario della mente», la quale mente esiste indipendentemente. (`¦) Se la mente e il cervello sono indipendenti, allora l`anima, sopravvive alla morte.
Dobbiamo pertanto concludere che l`anima esiste? Sembrerebbe proprio di sì. Ma «l`anima ` scrive santa Caterina da Siena ` è un arbore fatto per amore e però non può vivere altro che d`amore. È vero che, ella non ha amore divino di perfetta carità , non produce frutto di vita ma di morte». Insomma: TUTTO dipende dalla carità di Dio. Come meritarsela? Questo è il problema.