Lettere al direttore

01 Agosto 2011 | di

Neoateismo: un catechismo al contrario
 
«Caro direttore, ho letto la sua risposta alla questione del nuovo ateismo sul numero di giugno scorso. Secondo me non è giusto liquidare queste correnti di pensiero affermando che basta leggere un loro libro per leggerli tutti. Ho letto recentemente Inchiesta sul Cristianesimo di Corrado Augias, che intende ricostruire alcuni passaggi chiave, poco noti ai più, sulle origini della religione cristiana. Non ho percepito la volontà di demolire il cristianesimo, come lascia intendere la vostra lettrice, ma quella di approfondire fatti storici che la Chiesa conosce bene. Quel poco che so del pensiero di Odifreddi non lo condivido. Ma forse in lui, che ha fatto il cammino di Santiago, senz’altro in Augias, che ha studiato a fondo i vangeli, e naturalmente in Erri De Luca, non credente che si alza a ogni alba per leggere la Bibbia in ebraico, avverto un forte bisogno di senso e di verità. L’aggressività di alcuni, intellettuali o persone della strada, contro la religione, non nega ma anzi rivela attrazione verso il divino, che però non trova “soddisfazione” nella dottrina ecclesiastica. Credo che questo non basti per tacciarli di superficialità. Sono convinto che ogni uomo sia in cammino verso Dio. A volte, però, il sentiero è molto impervio e all’inizio può sembrare che conduca da tutt’altra parte. Grazie per la splendida rivista, un caloroso saluto».
A. B. - Olgiate Comasco (CO)
 
Grazie della sua e-mail che mi dà la possibilità di tornare su un argomento che mi sta a cuore. Nella mia risposta di giugno parlavo soprattutto del nuovo ateismo di area anglosassone, ma lei richiama autori di casa nostra, per cui si rende necessaria una distinzione: per quanto riguarda Erri De Luca, scrittore eccezionale e persona squisita nonché equilibrata nei giudizi, direi che non ha nulla a che fare con il filone del neoateismo. È un fine intellettuale in costante ricerca, e tra l’altro ha collaborato anche con la nostra rivista.

Augias e Odifreddi sono invece divulgatori del pensiero religioso, pur non essendo studiosi né esperti di scienze religiose o teologiche. Non ho nulla contro la divulgazione quando è ben fatta, ma credo che nel loro caso vi siano pesanti (mi auguro non intenzionali) cadute di tono: parlo di disinformazione. Come quando Odifreddi scrive che «lo stesso termine cretino deriva da “cristiano” (attraverso il francese crétin, da chrétien)», e aggiunge che «la critica al cristianesimo potrebbe ridursi a questo: che essendo una religione per letterati cretini, non si adatta a coloro che, forse per loro fortuna, sono stati condannati a non esserlo», Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici), edito nel 2007. Nel libro di Augias (Inchiesta sul cristianesimo. Come si costruisce una religione, con Remo Cacitti, edito nel 2008) si legge, ad esempio, che: 1) il libro del Papa (si fa riferimento a Gesù di Nazaret. Dal Battesimo alla Trasfigurazione) ha come obiettivo dichiarato «di tornare molto indietro, a prima degli studi storico-critici su Gesù» (p. 39); la norma sul celibato ecclesiastico «si diffonde solo nel Novecento, quando lo stipendio, e quindi il controllo economico sui preti, passa dai benefici, spesso erogati dalle comunità parrocchiali, direttamente nelle mani delle curie» (p. 114); mentre martiri islamici e cristiani non sono debitamente distinti (pp. 190ss.) e il martirio cristiano viene fatto risaltare per mettere in evidenza che, appena hanno avuto forze sufficienti, i cristiani hanno fatto altrettanto (pp. 187-188).

E si potrebbe continuare a lungo, segnalando imprecisioni e vere e proprie falsità. Ma quello che colpisce di più, e che risulta essere evidente forzatura (fin dalla Premessa, pp. 4ss.) è la pretesa di dire un cristianesimo secondo Gesù che poco o niente ha a che fare con la Chiesa, la quale sarebbe stata impegnata, nei secoli, solo a deformarne il genuino messaggio. Caro lettore, non mi pare di cogliere nelle affermazioni sopra riportate «un forte bisogno di senso e verità». Piuttosto un contro-catechismo disinformato e zeppo di luoghi comuni. La qual cosa mi riconferma sul consiglio da dare: leggere uno di questi libri è come averli letti tutti.

 
Mio figlio troppo permissivo
 
«Temo che mio figlio sia troppo permissivo con mio nipote Gabriele, che ha 10 anni. Tende a cedere su aspetti in apparenza banali, per esempio l’acquisto di un nuovo gioco senza un contesto che lo giustifichi, come un compleanno. E poi gli permette spesso di oltrepassare i limiti: stare al computer o davanti alla tv a oltranza, andare a letto sempre più tardi. Quando poi il bambino esagera, arrivano le reprimenda: grida, minacce, epiteti che a mio avviso mortificano il bambino. Mio figlio dice che non vuole togliere possibilità e libertà a suo figlio, come invece abbiamo fatto io e sua madre con lui, però poi non tollera gli eccessi di Gabriele, chiara conseguenza di ciò che lui per primo ha concesso».
Sergio - Caserta
 
In quanto mi racconta, caro Sergio, si ravvisa una certa confusione. Suo figlio ritiene che non porre specifici paletti significhi dare a Gabriele maggiori possibilità e libertà di quanto lui abbia avuto. Pensa cioè che regole e libertà stiano agli antipodi. Suo nipote, però, non avendo limiti precisi, ritiene di poter decidere di volta in volta a piacimento, avendo come timone solo i propri interessi istantanei guidati – poiché è un bambino – dall’altalena del mi piace/non mi piace. Usufruisce, purtroppo, di una libertà che non è in grado di gestire e nella quale rischia di perdersi. Perché, ad esempio, dovrebbe studiare se è molto più gratificante giocare ai videogame? È chiaro che per Gabriele «esagerare», cioè andare oltre i limiti (che quindi ci sono, per quanto molto elastici) imposti da suo padre, è un’evenienza del tutto prevedibile.

E a questo punto il genitore, che crede in buona fede di aver fatto per il figlio tutto il possibile, va in escandescenze, lasciando il bambino confuso e avvilito. L’equivoco di base sta nel fatto che nessuna libertà esiste o si può costruire senza coscienza del limite. Come fa Gabriele a sapere quando e quanto può guardare la tv, se nessuno glielo spiega? Alcune regole gli darebbero la possibilità di orientarsi, delineando al contempo quali sono gli spazi della sua libertà. Senza di esse suo nipote non solo non è in grado di capire la reazione del padre, ma rischia di crescere fragile e insicuro, cioè, in fin dei conti, meno libero. D’altro canto, l’educatore che pone regole deve farlo con virtù e sapienza: queste devono essere adeguate alla situazione, chiare, spiegate e motivate, possibilmente condivise e, soprattutto, ragionevoli: solo così saranno utili al bambino. Una vita zeppa di regole assurde, sarebbe, al contrario, un ostacolo alla sua crescita e libertà, oltre che un tradimento – da parte dei genitori – del proprio compito educativo.

 
Quel rifiuto che pesa sul cuore
 
«Siamo una coppia che ha rinunciato, dopo molti anni di attesa, a un abbinamento (l’abbinamento è quella fase della procedura di adozione di un bambino in cui l’autorità competente del Paese d’origine individua tra le domande depositate da parte delle coppie aspiranti all’adozione, quella dei coniugi più rispondenti alle caratteristiche e alle specifiche necessità dei bambini in attesa di adozione, ndr). L’immensa grandezza della situazione ci ha spaventati. Siamo una coppia di sposi cristiana e praticante. Abbiamo pregato a lungo, ma forse col cuore chiuso... Credo che abbia vinto il nostro egoismo. Cosa dobbiamo pensare? Noi ci vogliamo molto bene. Grazie in anticipo della risposta».
S. M. - e-mail
 
Capita a volte di innamorarsi di un’idea, ma di non essere pronti o disponibili, poi, a trasformarla in un reale progetto. E non per egoismo, ma per fragilità oppure perché, semplicemente, non è la strada alla quale si è chiamati. È qui, a mio parere, il punto centrale della vostra vicenda, sul quale vi invito a riflettere – magari con l’aiuto di un esperto –, cercando di capire se il «no» che avete pronunciato corrisponde effettivamente a ciò che sentivate nel cuore o è, invece, frutto di paure – paura delle difficoltà che avreste incontrato, del fallimento…–, comprensibili ma tutto sommato molto simili a quelle di qualsiasi coppia in attesa di un figlio. Se, invece, scrutando nel vostro intimo doveste scoprire che non era quella la vostra strada, rifiutando l’abbinamento avete compiuto la scelta migliore: un bambino ha bisogno di un amore concreto e non potendo garantirglielo avete agito responsabilmente. Ci sono altri modi per essere fecondi come famiglia: l’affido temporaneo o l’impegno nel volontariato, per esempio.
La vostra presenza attiva e solidale in situazioni difficili sarà il frutto benedetto generato dalla vostra unione. Un’ultima sottolineatura: non permettete che questa spina che ora portate in cuore vi laceri con inutili sensi di colpa o vuoti rimpianti. Restate aperti al futuro, coltivando con cura i desideri del vostro cuore.
 
Ci sarà una ricompensa divina?
 
«Sono una single e ho poco più di 50 anni. Non ho avuto una vita facile, specie in amore e nel lavoro. Quando avevo perso tutte le speranze, è invece giunto il tanto atteso impiego. L’ho ritenuto una sorta di ricompensa da parte del Signore, per tutte le sofferenze passate. Inaspettatamente, poi, un anno fa ho incontrato un uomo di cui mi sono innamorata. Nonostante all’inizio il sentimento sembrasse ricambiato, per colpa sua la relazione è andata di male in peggio, lasciandomi con l’anima lacerata. Poiché anche il lavoro è stato in passato causa di grandi sofferenze, ma poi c’è stata la giusta ricompensa, perché non pensare che dopo questa esperienza possa esserci una gioia che mi aspetta?».
 e-mail firmata
 
Ho dovuto «potare» di molto la sua lunghissima lettera, ma il titolo è esattamente l’oggetto della sua e-mail. Voglio essere franco con lei, a costo di sembrarle duro. Dio non agisce per automatismi. In altre parole, lei non ha «diritto» a nessun risarcimento. Sarebbe riduttivo anche per la persona che lei spera di incontrare: l’altro non è mai – scusi se banalizzo – un buono premio, figlio, partner o amico che sia. Ne perderebbe la gratuità della relazione, elemento decisivo in qualsiasi dinamica d’amore. Il dolore non è merce di scambio; l’amore, ancora meno. E tuttavia, quando dico «nessun risarcimento», non intendo affermare che non potranno esserci autentici motivi di gioia, gratificanti situazioni affettive che aiuteranno la sua ferita a rimarginarsi e forse a guarire. In altri passaggi della sua lettera emerge lo spirito giusto con cui affrontare il futuro: fiducia, apertura, disponibilità a lasciarsi sorprendere.
Per quanto riguarda il passato, invece, e le corrette aspettative da coltivare nel presente, si faccia aiutare da una guida spirituale, per rivisitare e rileggere gli snodi della vita. Per superare, finalmente, una mentalità religiosa di scambio. L’amore, lo ripeto, è gratuità.
 
 
Lettera del mese. Con la Parola e l'esempio
 
Così Antonio combatteva l’eresia, da buon cristiano. Nei «Sermoni» leggiamo parole severe, ma contro gli ecclesiastici: «Molti, proprio per il cattivo esempio dei prelati, si convertono all’eresia».
 
«Pregiatissimo padre Ugo, le scrivo in relazione all’articolo “Un condottiero di Dio in missione contro i catari”, a firma di Paolo Pivetti, apparso sul “Messaggero” a giugno di quest’anno. Devo dirle che ho provato una grande amarezza nel leggerlo. Non conosco a fondo la storia dei catari, ma so per certo che hanno subito violenze inimmaginabili a opera di uomini della nostra Chiesa. L’eresia catara è stata sconfitta a durissimo prezzo: fiumi di sangue, torture, violenze, molto spesso roghi di interi villaggi, catari o sospettati di esserlo. L’articolo non fa cenno a tutto questo, se non molto debolmente, come quando conclude che “gli uomini adepti vennero imprigionati e processati”, omettendo di aggiungere cosa seguì a quei processi. In compenso si allude a interessi economici e connivenze con i potenti, ma non si dice che – con la scusa di combattere l’eresia catara – i re di Francia riuscirono ad annettersi tutto il territorio della Francia del Sud! E che dire di quei poco raccomandabili personaggi che furono Simon de Monfort e l’abate Arnaud Amaury, rispettivamente capitano e “ideologo” della crociata contro i catari? Famoso l’assedio alla città di Béziers. La città non era a maggioranza catara, ma al suo interno viveva una comunità di catari. I crociati chiesero che venissero loro consegnati questi eretici e i cittadini di Béziers rifiutarono: perciò furono tutti sterminati. Sembra che un soldato abbia chiesto ad Amaury come distinguere i catari dagli altri cristiani, ottenendo in risposta: “Uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi”.
Insomma, è una brutta pagina del nostro passato. Per rispetto di chi è stato perseguitato per la propria fede, forse la storia dei catari andrebbe raccontata con spirito più fraterno».
F. R. - e-mail 
 
Gentilissimo lettore, concordo con molte osservazioni da lei avanzate rispetto alla vicenda dell’eresia catara e dei suoi sostenitori.
L’intento dell’articolo di Paolo Pivetti, comunque, era descrittivo, nel senso che il fanatismo nei confronti di una malintesa «purezza» che portava i catari a forme di disprezzo del corpo, dell’unione matrimoniale, fino a una vera e propria ossessione circa il peccato, non ne fa dei miti e innocui credenti. Tra l’altro, il discorso sui processi e sulle violenze non viene bypassato, ma affidato a un recente volume (segnalato in un box) nel quale la vicenda è fotografata da vicino e senza sconti: Elena Bonoldi Gattermayer, Il processo degli ultimi catari. Inquisitori, confessioni, storie, Jaca Book 2011.
Ogni volta che si parla di argomenti come inquisizione, crociate, forme di evangelizzazione forzata, si dimentica che papa Giovanni Paolo II ha provveduto, in più modi e a più riprese, a chiedere perdono per i figli della Chiesa che nei secoli hanno commesso crudeltà e nefandezze.

Ora, credo non sia il caso di battersi il petto ogni qualvolta ci si avvicina a un tema storico «pregiudicato». Tra l’altro, la Chiesa è l’unico soggetto unitario che può vantare una vicenda bimillenaria, mentre per tutte le violenze, e sono infinite, non commesse dalla Chiesa, nessuno ha mai fatto un passo avanti altrettanto significativo. E per quanto riguarda l’espressione «uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi», si tratta di una falsificazione storica (si veda la ricostruzione che ne fa Vittorio Messori sul «Corriere della Sera», 3.01.2007, p. 41).

L’articolo di Pivetti, poi, è stato collocato nella sezione della rivista che si chiama «Antonio oggi», perché l’eresia catara è uno dei contesti nei quali il nostro Santo si trovò a predicare. Non come «martello degli eretici», come una tradizione secondaria ha superficialmente trasmesso, quanto piuttosto come «martello dei prelati». Antonio teme lo scandalo dei pastori indegni, ed è convinto che «la malizia dei prelati distrugge la Chiesa» e che «molti, proprio per il cattivo esempio dei prelati, si convertono all’eresia». Il Santo combatte quindi l’eresia con la Parola e soprattutto con l’esempio, da buon cristiano.



PREMIO SPECIALE CAPRI S.MICHELE A LIBRO EMP
 


A Dialoghi nel cortile dei gentili di Lorenzo Fazzini è stato assegnato il Premio Speciale Capri S. Michele dalla giuria presieduta da Francesco Paolo Casavola e composta da Grazia Bottiglieri Rizzo, Ermanno Corsi, Vincenzo De Gregorio, Marta Murzi Saraceno, Lorenzo Omaghi, Raffaele Vacca.

Il premio sarà consegnato il 24 settembre nel corso della Cerimonia di proclamazione dei vincitori della XXVIII edizione del Premio Capri S. Michele.

Nelle altre edizioni il Premio Speciale è stato assegnato, fra le altre, a opere di Giulio Andreotti, Romano Guardini, Zygmunt Bauman, Edgar Morin, Carlo Caffarra, Pietro Barcellona e Francesco Ventorino.

Il volume premiato inaugura la collana Il cortile dei gentili, Edizioni Messaggero Padova, diretta da Ugo Sartorio.

 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017