Lettere al direttore

02 Gennaio 2013 | di

Pregare non costa nulla
«Gentile direttore, sono reduce da un viaggio alla scoperta di alcuni tra i più bei centri storici italiani. Attraversando Friuli-Venezia Giulia, Veneto, Emilia Romagna e Toscana, ho visitato molte chiese che porterò sempre nel cuore. Ma c’è anche una cosa sgradevole che mi è rimasta impressa al pari di tutte le pale d’altare, di tutte le sculture o gli affreschi ammirati. In alcune di queste chiese, infatti, ad accogliermi all’ingresso non ho trovato una maestosa navata, bensì uno squallido banchetto dove un uomo in divisa staccava biglietti in cambio dei soldi d’ingresso, come in un qualsiasi museo. Dunque, è proprio vero che in questo mondo iper-consumistico tutto ha un prezzo, compresa la preghiera. Si potrebbe obiettare che alcune chiese sono opere artistiche di grande rilievo e, come tali, necessitano di fondi per il mantenimento. Ma possibile che non esista una soluzione meno drastica e più in linea con gli insegnamenti del Vangelo? Se non ricordo male, fu lo stesso Gesù a scacciare i mercanti dal tempio…».
Lettera firmata – Latisana (UD)
 
Paragonare la cacciata dei mercanti dal tempio di Gerusalemme al pagamento di un ticket per l’ingresso in chiesa mi sembra ingeneroso. Certo, tutti vorremmo che ogni chiesa fosse un luogo aperto e accogliente, dove il visitatore è invitato ad aprire il cuore e non il portafogli. Ma, come dice lei, stiamo parlando – in buona parte dei casi – di luoghi ove ammirare «opere artistiche di grande rilievo», piccoli musei che richiedono una manutenzione continua e costosa (stando ai dati diffusi dalla Cei lo scorso febbraio, si tratterebbe di una sessantina di chiese sulle oltre 95 mila sparse in tutta Italia). Le spese legate alla gestione di simili capolavori dell’architettura – siano essi di età romanica, gotica o barocca, sia che ospitino al loro interno una pala del Tiziano (come nel caso della Basilica di Santa Maria dei Frari a Venezia), piuttosto che gli affreschi del Ghirlan­daio (Santa Maria Novella a Firenze) – sono tante, anche se forse agli occhi del visitatore possono sfuggire. Spese per il restauro delle opere e per la loro sicurezza, ma anche spese più quotidiane, come quella per il riscaldamento e la pulizia dell’edificio, per la gestione del flusso di visitatori e per l’illuminazione. Confrontando i servizi offerti con il prezzo – in genere davvero poco oneroso – del ticket d’ingresso, credo che questo «obolo» rappresenti un contributo necessario per far sì che l’eredità artistica dei nostri padri non perisca nel degrado.

Pregare non costa nulla, verissimo. Ma pregare in un luogo storico, ricco di arte e ben curato, è tutt’altro discorso. A questo proposito, prenderei come esempio una chiesa non molto lontana dalla nostra Basilica del Santo di Padova: Santa Maria Gloriosa dei Frari, a Venezia. Questo edificio, che dal 1250 si erge nell’omonimo Campo dei Frari, aderisce all’associazione Chorus per le chiese del Patriarcato di Venezia. Visitarlo – tutti i giorni tranne la domenica mattina, dalle 9 alle 17.30 – costa solo tre euro. Cifra che, peraltro, non sono tenuti a sborsare i residenti a Venezia, né tutti coloro che desiderano solo pregare. Durante le celebrazioni, poi, l’ingresso ai turisti viene sospeso. Stesso regolamento per le altre quindici chiese del circuito Chorus, nato nel ’97 proprio con l’intento di combattere il degrado e la chiusura dei luoghi sacri nel capoluogo veneto. Con una media di 600 mila ingressi all’anno e ben sedici chiese storiche sempre aperte, si può dire che il sistema veneziano – autonomo da ogni altra istituzione, compreso il Comune di Venezia – abbia centrato l’obiettivo. Alle volte basta un minimo contributo a fare la differenza.

 
 
Vivere la fede tra mille impegni
«Gentile padre Ugo, mi ero riproposta di vivere un Avvento più improntato alla preghiera e alla vita spirituale, ma non c’è stato niente da fare: presa da mille cose, i giorni sono trascorsi veloci e il periodo prima di Natale è stato simile a un qualsiasi tempo dell’anno. A dire tutta la verità, non è la prima volta che mi succede, soprattutto nei tempi forti di Avvento e Quaresima: sono risoluta, desidero impegnarmi, eppure alla fine mi trovo con un pugno di mosche in mano e un senso di colpa nell’animo. Come posso riuscire a vivere uno stile di preghiera adatto al mio stato di vita di lavoratrice a tempo pieno?».
Erica – Lodi
 
Cara Erica, quanto vivi è un sentimento che, con diversa intensità, ci tocca tutti. Non voglio chiamarlo, come fai tu, «senso di colpa», ma è piuttosto un comune sentire, una sensazione che spesso ci abita. È come se avvertissimo una nostalgia della bellezza, un desiderio profondo di essere migliori di come siamo. In alcuni particolari momenti di grazia, ci riconosciamo fatti per le altezze, percepiamo questo moto dell’anima come vero, un caldo desiderio del cuore che coincide con la speranza, la fiducia e l’amore. Perché poi, allora, dobbiamo fare i conti con l’amarezza della caduta e della rinuncia? E questo nonostante l’impegno profuso, le buone  intenzioni e l’applicazione della volontà? Forse ci stiamo ingannando? Forse dovremmo «smettere di provarci», accontentandoci di quello che siamo, senza tanti pensieri? No, questa è una tentazione da riconoscere e da superare.

Chi vive snobbando la radice di bene che è dentro di sé, si condanna da solo. L’inquietudine del cuore – ce lo testimonia sant’Agostino – ha un unico approdo dove trovare riposo, e questo «porto certo» è Gesù.

«Nell’identificarmi con Lui – insegna Benedetto XVI –, nell’essere una cosa sola con Lui, riscopro la mia identità personale, quella di vero figlio che guarda a Dio come a un Padre pieno di amore». Il paragone più efficace è quello relazionale. Infatti, sempre nello stesso intervento, l’udienza generale del 3 ottobre scorso, il Papa così affermava: «La vita di preghiera consiste nell’essere abitualmente alla presenza di Dio e averne coscienza, nel vivere in relazione con Dio come si vivono i rapporti abituali della nostra vita, quelli con i familiari più cari, con i veri amici». Non so lei: io amo i miei cari anche se sono fisicamente distanti, anche se non li vedo tutti i giorni. E quanto godo del tempo passato con loro! Alla presenza di Gesù, il più caro tra gli amici, possiamo stare in ogni momento, perché egli è sempre con noi, come lui stesso ha affermato nella conclusione del Vangelo di Matteo: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo». Sta a noi vivere gli impegni e gli affetti quotidiani alla sua presenza.
 
 

Il grande alfabeto dell’umanità
 
Nel 2013 ricorrono i 1.700 anni dalla firma dell’Editto di Milano (o di Costantino), che sancì la libertà religiosa. Per celebrare l’importante anniversario, l’Associazione Sant’Anselmo-Imago Veritatis insieme con la Biblioteca-Pinacoteca Ambrosiana hanno promosso, tra marzo e giugno 2013, una serie di eventi articolati attorno alla Bibbia e al significato storico dell’Editto di Costantino, dal titolo «Il grande alfabeto dell’umanità».

L’iniziativa si concretizzerà, tra le altre cose, in una mostra nella quale sarà possibile ammirare codici, facsimili, edizioni antiche della Bibbia provenienti dalla Biblioteca Apostolica Vaticana, dalla Biblioteca Ambrosiana stessa e dalla Biblioteca Trivulziana di Milano; un olio di Chagall e delle sue acqueforti a soggetto biblico; la riproduzione in misura reale della Porta del Paradiso del Battistero di Firenze di Lorenzo Ghiberti. A margine della mostra verrà presentata una scelta delle edizioni della Bibbia nelle diverse lingue del mondo e sarà attivo un bookshop delle edizioni italiane.
 

Sono previsti, inoltre, incontri con personaggi dell’arte e della cultura (in particolare: con i poeti Franco Loi e Roberto Mussapi, con il giornalista e scrittore Armando Torno, con lo storico dell’arte Timothy Verdon), un cineforum da cineteca a soggetto biblico (presso lo Spazio Oberdan messo a disposizione dalla Provincia di Milano) e, infine, un concorso per le scuole superiori sul tema «Tolleranza e ruolo pubblico della religione» (in collaborazione con l’Ufficio scolastico regionale Lombardia e con l’Ufficio scuola della diocesi). Il programma, che gode dell’alto patronato del cardinale Angelo Scola, è reso possibile dal sostegno di Fondazione Cariplo, Regione Lombardia, Trenord, Metropolitana milanese.
 

Lettera del mese
Anziani
 
Invecchiamento attivo o giovinezza per sempre?
 
Anche la vecchiaia può essere un periodo fecondo della vita, se si cerca di viverla al meglio, curando la salute, la qualità delle relazioni e sfruttando le potenzialità acquisite negli anni.
 
«Caro padre, mi colpisce come oggi ci si ribelli alla stessa idea di invecchiamento. Invecchiare è diventato una colpa che bisogna nascondere con forme anche ridicole di giovanilismo. Senza avvedersi che la senilità vissuta in forma adolescenziale è una caricatura bella e buona, che rischia di rovinare quanto si è costruito in un cammino lungo e spesso faticoso. Perché molti anziani si buttano via, scimmiottando stili di vita impossibili? Sostengo pienamente l’idea di anzianità o invecchiamento attivi, perché sono convinta che ogni età della vita ha il suo fascino e va vissuta fino in fondo. Ma non condivido comportamenti tanto esuberanti quanto sgradevoli di chi vive per scelta molto al di sotto dei suoi anni, fingendosi giovane».
Lucia – Genova
 
Ciò che una volta era una conquista oggi sembra diventare un peso. Parlo dell’anzianità che, avendo perso ogni aura di età della saggezza e fruttificazione di quanto acquisito nel corso di molti anni, è come scivolata lontano e a lato della vita, in una zona neutra che non gode di buona reputazione. Si è usciti dal ciclo produttivo, i figli si sono resi indipendenti (non sempre, purtroppo), le forze non sono più quelle di una volta, alcune malattie ormai cronicizzate richiedono attenzioni alimentari e modificazione degli stili di vita, la vita affettiva è più rarefatta. Ma a quanti anni si diventa anziani? Interrogati su questo punto, gli italiani rispondono a 80 anni, oppure quando non si è più autonomi, per cui, visto che in Italia la vita media dei maschi è appena sotto gli 80, si invecchia dopo essere morti, cioè mai. Visione che è frutto di un certo giovanilismo diffuso, secondo il quale la giovinezza è un’età elastica che si estende a molti decenni, finché si sente di avere la vita in pugno e anche oltre, con sorprendenti forme di autoinganno. Se è possibile chiamarsi ragazzo o ragazza dopo la soglia dei 40, vuol dire che il linguaggio delle età della vita è stato troppo a lungo manipolato, per nascondere e per nascondersi. Per non dire degli ambienti religiosi a cui appartengo, nei quali un prete di 50 anni è, nel linguaggio comune, un prete giovane.

Siamo forse diventati immortali? O ci pensiamo tali? Con il bisogno compulsivo di negare l’evidente declino che accompagna la vita umana nelle sue tappe, fin dall’infanzia, per esorcizzare il trascorrere del tempo e tutelare l’immagine vincente di noi stessi: sempre prestanti, sempre attivi, sempre all’altezza, insomma forever young, sempre e comunque giovani. A farne le spese sono i giovani, quelli veri, i ventenni che sbocciano alla vita sociale, extrafamiliare, già stressati da una lunga attesa, che dimorano a oltranza in un infinito limbo senza sbocchi lavorativi, professionali, per cui anche le scelte affettive trovano spesso soluzioni contingenti. I giovani sui quali, negli ultimi anni, si sono scaricati molti costi della crisi con forme indecenti di precarizzazione lavorativa e prospettive pensionistiche da fame. Mai come oggi gli adulti sono stati preoccupati della sorte dei loro figli, che intravedono meno fortunata della loro e in ogni caso a rischio.

Ma ritorniamo all’invecchiamento attivo, che significa vivere dentro la propria pelle cercando di starci al meglio. Curando la salute, la qualità delle relazioni, e sfruttando, perché no, le molte potenzialità acquisite negli anni. Pochi si sono accorti che proprio il 2012, l’anno che ci sta alle spalle, è stato dedicato dall’Unione europea all’«invecchiamento attivo e alla solidarietà tra le generazioni». Temi che non fanno scalpore, perché quasi nessuno si sente parte in causa. Come lei dice bene, signora Lucia, se non siamo convinti che ogni età ha il suo fascino non riusciremo mai a vivere appieno il tempo che ci è dato, la stagione in corso.

Lettere al Direttore, scrivere a: redazione@santantonio.org
 
 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017