Lettere al direttore
Papa Francesco: solo retorica populista?
«Premetto che, come tutti i buoni cristiani, prometto cieca obbedienza a papa Francesco. Lo stile pastorale del nuovo Papa ha lasciato tutti senza parole. Rifiuta la croce d’oro, evita sdegnosamente di indossare la mozzetta, preferisce i suoi sandali neri consunti alle scarpe rosse artigianali, usa il pulmino anziché l’auto di lusso, dimezza la scorta… Inevitabile risalire al poverello d’Assisi del quale prende anche il nome pontificale… Ma quanto c’è, in queste azioni, di retorica e demagogia pauperista? Francesco d’Assisi, è vero, rinunciò a tutto. Ma altri grandi santi, invece, seppero usare il denaro per aiutare il prossimo! Per fortuna il Paradiso non è monopolizzato da chi come Francesco s’è spogliato dei suoi beni. Perché il denaro può essere un male, ma può diventare uno strumento per fare il bene se non è usato in modo egoistico. E i segni di un rango vanno rispettati... un ammiraglio (sebbene umile!) non potrà vestire come un soldatino semplice, un amministratore delegato non può andare in ufficio come l’usciere...».
David M.
Mi piacciono i suoi distinguo, il suo mettere a confronto l’ammiraglio con il soldato e l’amministratore delegato con l’usciere, ma forse bisogna anche dire che il Pontefice è una figura unica e irripetibile e difficilmente sopporta paragoni. Di certo il nuovo Papa non corre il rischio di non essere riconosciuto, e, evitando ogni ostentazione, sta diventando un segno ancora più trasparente della missione della Chiesa tutta. Sarei d’accordo con lei se da cardinale, e prima ancora da vescovo, Bergoglio avesse amato orpelli e vesti di lusso, comodità e palazzi e poi, una volta Papa, ci fosse stata la svolta pauperista. Non mi risulta che le cose siano andate in questo modo, ed è proprio la continuità tra il prima e il dopo che fa ben sperare, scalzando alla radice ogni ipotesi di scelta demagogica. Non ci si improvvisa, infatti, profeti della sobrietà e soccorritori dei poveri, perché quando si è sotto i riflettori del mondo intero non si può barare e si vince solo rimanendo se stessi. Che un Papa si comporti «normalmente», si trovi a suo agio salutando grandi e piccini, esca dal copione imposto a lui come a ogni personaggio pubblico, mi preoccupa piuttosto dal punto di vista della sicurezza personale, perché in giro non mancano le teste calde.
Due parole anche sulla questione dei soldi in relazione a «madonna povertà», come la chiamava san Francesco. Nessun dubbio sul fatto che i soldi siano necessari e indispensabili, innanzitutto per vivere dignitosamente, ma anche per aiutare i poveri e lottare contro ogni emarginazione, però non credo che papa Francesco sia un pauperista, cioè un fanatico della povertà. Piuttosto ha usato e userà tutti i mezzi, compresi i soldi, per una causa più alta. Sant’Ireneo ha scritto Gloria Dei vivens homo (la gloria di Dio è l’uomo che vive in pienezza), espressione ripresa dal vescovo martire di El Salvador, Óscar Arnulfo Romero, che la tradusse in Gloria Dei vivens pauper: la gloria di Dio è il povero al quale è restituita la piena dignità.
Papa Francesco Laura Boldrini e i poveri al centro
«Due avvenimenti, nei giorni scorsi, hanno illuminato la realtà sociale, ridandoci nuova speranza: la nomina di papa Francesco e l’elezione a presidente della Camera di Laura Boldrini. Papa Francesco: una novità impensabile, la profezia di un ritorno alle origini. E chi poteva pensare che la Chiesa, in una fase declinante della sua storia, avrebbe suscitato dal suo seno, con un sussulto di vitalità inaspettata, un uomo senza maschera, capace di parlare al cuore del mondo? Un Papa che, al dire di qualcuno, ricorda nell’aspetto Giovanni XXIII, ha la simpatia di papa Wojtyla, parla con semplicità come Giovanni Paolo I e la pensa come Ratzinger. Un mix esplosivo di gesti che hanno affascinato tutti: il nome, il vestiario, il linguaggio, la rottura dei protocolli, l’ottimismo, la bontà del cuore, la fede profonda coniugata a disponibilità illimitata verso gli altri, visti in modo frontale, alla pari. Con lui è iniziata una Chiesa nuova, che depone la tiara e diventa scalza, come Francesco, per camminare fra la gente. Con lui, varcano la soglia del tempio di Dio i poveri e i semplici. Una Chiesa umile, evangelica, guidata dal vescovo di Roma che, secondo l’espressione di sant’Ignazio di Antiochia (I secolo), “presiede nella carità” la Chiesa universale. Quante cose potrebbero accadere con una Chiesa meno sfarzosa. Con una curia meno accentratrice. Forse si ricomporrebbe in unità il gregge di Cristo. Negli onesti crescerebbe la speranza e fiorirebbe la fede.
E veniamo a Laura Boldrini, già portavoce del Commissariato Onu per i rifugiati e oggi presidente della Camera dei deputati. Il discorso d’insediamento basta da solo a tratteggiarne la statura morale e ad aprire il nostro cuore alla fiducia: “Il mio pensiero va a chi ha perduto certezze e speranze. Abbiamo l’obbligo di fare una battaglia vera contro la povertà, e non contro i poveri… quest’Aula dovrà ascoltare la sofferenza sociale. Dovremo farci carico dell’umiliazione delle donne uccise da violenza travestita da amore. Dovremo stare accanto ai detenuti che vivono in condizioni disumane e degradanti. Dovremo dare strumenti a chi ha perso il lavoro o non lo ha mai trovato. Ai tanti imprenditori che costituiscono una risorsa essenziale per l’economia italiana e che oggi sono schiacciati dal peso della crisi, alle vittime del terremoto e a chi subisce gli effetti della scarsa cura del nostro territorio. (...) Facciamo di questa Camera la casa della buona politica. Il nostro lavoro sarà trasparente, anche in una scelta di sobrietà che dobbiamo agli italiani”».
L. V. – Teramo
A volte le cose belle succedono. Sono un estimatore di Laura Boldrini, non da ora, e mi sento orgoglioso del fatto che proprio lei occupi l’alta carica istituzionale di presidente della Camera. La questione dei rifugiati oggi è centrale, decisiva, così come la questione dei poveri, e sentire un nuovo linguaggio in proposito fa bene al cuore e riconcilia con la vita. Mi auguro che la presidente Boldrini riesca a contrastare alcuni luoghi comuni della politica italiana, soprattutto il fatto che troppo spesso questa viene fatta senza curarsi degli ultimi della fila. Per papa Francesco le aspettative sono molto più alte, non solo le mie. È il pastore di un miliardo e duecento milioni di cattolici nel mondo e un leader spirituale planetario. Il suo compito è immane e credo che incontrerà, dopo una luna di miele effervescente, non pochi ostacoli: quando qualcuno agisce con tutte le forze per fare il bene, subito il male si mette all’opera per remare contro.
«Pregate per me, ve lo chiedo di tutto cuore», continua a dire papa Francesco ogni volta che incontra la folla, e non si tratta di una formalità. Sa che solo la preghiera avrà la meglio sulla durezza dei cuori e sulle strutture di peccato che ne derivano.
Papa Francesco e la primavera dello Spirito
«Nel corso della mia ormai lunga vita ho avuto il privilegio di conoscere ben sette Pontefici, dal venerabile Pio XII a papa Francesco; ripensando a loro e alla loro opera, nel momento storico di ciascun pontificato, scorgo l’opera vivificante dello Spirito Santo che ha orientato le scelte dei cardinali sugli uomini più adeguati per ciascun periodo, nella storia della Chiesa e del mondo.
La Chiesa, pur “santa” per istituzione divina, è comunque costituita da uomini (non mi riferisco soltanto ai presbiteri e ai prelati, ma a tutti noi) e, ogni tanto, ha bisogno di una “messa a punto”, che può avvenire attraverso il travaglio di un Concilio, come volle fortemente papa Roncalli, o per l’opera di Pontefici come Paolo VI, il beato Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e, ora, Francesco. (...) L’ultimo conclave ha eletto un Papa che viene da una Chiesa in piena espansione, un nome noto soltanto agli addetti ai lavori. Ora che iniziamo a conoscerlo, benediciamo e rendiamo grazie a Dio; dopo un fine teologo proveniente da uno dei più opulenti Land della Germania, Dio ci invia un uomo cresciuto tra i poveri, tra la miseria non soltanto economica, ma frutto di degrado, un uomo che ha fatto della semplicità di vita e della dedizione agli ultimi lo scopo della sua opera, chiarendo tuttavia subito che la Chiesa non è una Ong. Nel corso del primo Angelus ci ha parlato della misericordia di Dio e ci ha indicato una strada, oggi abbastanza negletta: pur senza citarlo esplicitamente, ci ha infatti invitato al sacramento della riconciliazione. Dio non si stanca mai di usarci misericordia, ma noi non dobbiamo stancarci di chiederla. Che Dio ce lo conservi a lungo e gli conceda di convertire tutti i “mercanti nel Tempio”».
Alfredo
Mentre stiamo chiudendo il numero di aprile del «Messaggero», papa Francesco è sul soglio di Pietro da appena dieci giorni, eppure lettere come queste sono arrivate a decine in redazione. Pare proprio che sulla Chiesa si stia abbattendo una nuova primavera dello Spirito... in concomitanza con quella meteorologica. Mi unisco anch’io, allora, all’augurio di Alfredo, che Dio ci conservi a lungo papa Francesco, cui aggiungo un grazie a Benedetto per la sua scelta di libertà.
Lettera del mese. In nome di Francesco
«Orgoglio» cristiano ma anche qualche pregiudizio
C’è chi ha scritto che «per risollevare l’umore dei fedeli (…) non serviva tanto un cesellatore di encicliche, quanto un uomo di cuore». Verissimo. Ma non dimentichiamo che quanto avvenuto è stato reso possibile dal gesto profetico di Benedetto XVI.
«Carissimo padre Ugo, un papa di nome Francesco, che bello! Ci voleva proprio in questo momento così difficile per la Chiesa, ma anche di pesante crisi economica e politica. Finalmente i poveri saranno al centro delle preoccupazioni della Chiesa, e voi francescani dovrete essere in prima linea, come sempre. Mio figlio ha 9 anni e si chiama Francesco, e ora ha di fronte un modello davvero luminoso e credibile… Ringrazio il Signore che ha fatto meraviglie!».
Luisa – Como
Dopo l’apparizione sulla loggia di San Pietro di papa Francesco è stato un diluvio di sms, e-mail e, dal giorno dopo, di messaggi e lettere. Amici, giornalisti, lettori, si sono rallegrati con me come se fosse diventato Papa un mio parente stretto. Mi ha fortemente colpito la capacità di un nome semplice e italianissimo come Francesco di fare squadra, di scaldare i cuori e ricondurli alla fratellanza. Papa Francesco, il gesuita col saio, ha sbaragliato ogni pronostico della vigilia e la sua presenza spiazzante ai vertici della Chiesa è solo agli inizi. Che cos’è successo, in verità? Un cataclisma, se guardiamo la cosa con occhi umani, un evento dello Spirito, di quelli che cambiano di segno la storia, se il punto di vista è quello della fede. Anche se non bisogna avere la pretesa di capire tutto subito, è spontaneo domandarsi che cosa sta indicando oggi il dito di Dio, che cosa cambia per la Chiesa. Il cardinale Ravasi ha invitato a riscoprire, partendo dalla figura semplice e comunicativa del nuovo Papa, «l’orgoglio del credere», mentre nella scelta concorde dei porporati – ha aggiunto – si è reso leggibile il fatto che «la Chiesa è ancora capace di dare segnali». Certo, sono state avanzate letture meno ufficiali ma non prive di intuizione, come quella di Massimo Gramellini sulla prima pagina de «La Stampa» del 15 marzo: «Per risollevare l’umore dei fedeli e la reputazione della ditta non serviva tanto un cesellatore di encicliche, quanto un uomo di cuore». Verissimo, anche se non bisogna dimenticare che quanto avvenuto è stato reso possibile dal gesto profetico di Benedetto XVI, Papa emerito che continuerà a parlare a lungo sia alla Chiesa che al mondo anche dal suo silenzio.
Ma nemmeno il nuovo Papa è andato bene a tutti e non sono mancate, fin da subito, le critiche, il tentativo di sporcare e diffamare: «Non è Francesco», ha titolato un quotidiano (lo stesso che otto anni fa aveva riempito la prima pagina con le parole «Pastore tedesco»), insinuando ambiguità nella linea di comportamento tenuta da Bergoglio con la giunta militare argentina, tesi del tutto falsa e già più volte smentita. Che dire? Quando la lingua riesce solo a lamentarsi e a criticare, significa che è malato il cuore, che non ci si rassegna a riconoscere che la realtà è altra da quello che ci si ostina a pensare. Ora i media stanno setacciando ogni traccia passata della vita di Bergoglio, nella speranza di scoprire la contraddizione, il passo falso, lo scandalo, per poter poi gridare al mondo che anche lui è come tutti, falso e corrotto. Difficile accettare che qualcuno sia una spanna più in su di noi per rettitudine morale e coerenza di vita, ma non resta che accogliere il dato di fatto e, per chi crede, rendere gloria a Dio.
Un punto qualificante di questo pontificato sarà la riscoperta dei poveri di tutte le latitudini e di tutte le povertà. Infatti, un conto è essere poveri in America Latina e abitare nei barrios di periferia di Buenos Aires, e un altro esserlo in Italia. Si dovrà riprendere, in tutta la sua concretezza e attualità, la beatitudine evangelica che recita: «Beati i poveri!», per un mondo più giusto al quale i cristiani, con tutti gli uomini di buona volontà, dovranno concorrere. Una ripartenza dal cuore del Vangelo, sulle orme di Francesco, con la tenacia e il coraggio missionario del fondatore dei Gesuiti, sant’Ignazio di Loyola.
Lettere al direttore, scrivere a: redazione@santantonio.org