Lettere al Direttore

02 Giugno 2002 | di

Lettera del mese 

 

Giustizia troppo severa o permissiva?

«Sono una casalinga di Roma e vorrei (come la ormai mitica mia collega di Voghera) che certe cose fossero semplici e chiare. E invece non riesco a capire. È di oggi la notizia che il giudice Bonaudo di Aosta è stata promossa (dai suoi colleghi del Consiglio superiore della magistratura, `€œper anzianità `€, dunque in modo automatico). Sarei curiosa di conoscere lo stipendio di questa `€œbenemerita`€ che con speciale accanimento continua a voler carcerare Anna Maria Franzoni, mamma di Samuele Lorenzi, quando ormai è chiaro a tutti che non esistono pericoli di fuga, di inquinamento delle prove, di ripetizione del delitto (tutte cose smentite dall`€™evidente realtà  dei fatti); un accanimento che ha coinvolto anche i due giudici più giovani, per i quali, evidentemente, i giorni di carcere (degli altri) sono come bruscolini...

«Sono scandalizzata dalla faciloneria di questi giudici, come da quella di altri giudici, quelli minorili di Milano e Torino, ad esempio, i quali condannano gli adolescenti autori di gravi delitti perché `€œmalati`€ (nei tragici `€œcasi`€ di Novi Ligure e di Chiavenna) ad anni e anni di carcere, in pratica per impedire che possano essere curati adeguatamente. Cosa pazzesca e assurda (...). Dov`€™è la `€œgiustizia giusta`€, umana e rispettabile?».

Marzia Canitto Prosperi - Roma

 

«Genitori che uccidono i figli, figli che uccidono i genitori: è l`€™allucinante scenario che oggi si presenta agli occhi atterriti degli italiani, in una società  dove abbiamo ormai pochi motivi per sentirci orgogliosi della nostra civiltà  e dove si è pure fatta strada la tendenza a perdonare più che a condannare.

«Bisogna reagire per battere la cultura della morte: non basta trincerarsi dietro le solite, stantie frasi, tipo `€œabbiamo toccato il fondo`€. Occorre un ampio cambiamento degli atteggiamenti culturali e spirituali per il recupero dei valori tradizionali e la riconquista del terreno perduto nell`€™opera di educazione dei nostri figli che per mezzo secolo sono purtroppo cresciuti all`€™interno della cultura ufficiale comunista, senza ideali, in cui il valore della sacralità  della vita si è completamente dissolto.

«(...) per non farsi dominare dalla violenza vanno costruite delle politiche tendenti al ripristino della legalità , atteso che nel nostro travagliato contesto sociale le assai discutibili riforme di questi ultimi tempi, propugnate dalla Sinistra (vedi, ad esempio, quelle relative alla libertà  provvisoria, alla semilibertà , alla scarcerazione preventiva, agli arresti domiciliari, agli sconti di pena, ai patteggiamenti, ecc.) non permettono più ai giudici di applicare il noto, sacrosanto principio `€œa ogni infrazione della legge la sua pena`€...».

Eugenio Liserre - Roma

Due lettere che rispecchiano modi diversi di leggere la realtà , che sono, poi, all`€™origine delle incesanti polemiche che infuocano le nostre giornate. Tento due risposte separate, lasciando ai lettori una loro valutazione. Per Marzia Canitto Prosperi: «Di questi tempi non vorrei essere nei panni di un giudice. Anche se applica la legge con scrupolo assoluto, rischia di essere comunque linciato:qualcuno che non è d`€™accordo con le sue decisioni ci sarà  sempre. Nei fatti di giustizia, oggi più che in altri periodi, ci si comporta come allo stadio, si tifa, ci si schiera: con chi o contro chi, secondo noi, anche se ignoranti di leggi e diritto, non può non essere innocente o colpevole.

Lei si scandalizza `€“ dice `€“ perché i giudici hanno condannato a svariati anni di carcere gli adolescenti «assassini» di Novi Ligure e Chiavenna. Anche noi abbiamo seri dubbi sulla capacità  rieducativa del carcere. Ma se quei ragazzi fossero stati scarcerati, mezza Italia (e forse più) sarebbe insorta gridando, a sua volta, allo scandalo (veda, ad esempio, la lettera che segue).

Sul caso di Cogne è difficiile dare un giudizio. Ci ripugna pensare che sia stata la mamma a uccidere il piccolo Samuele e finché un tribunale non la giudicherà  colpevole, dobbiamo ritenerla innocente. Ma facciamo anche fatica a pensare che i magistrati siano mossi da altri intenti che non siano quelli della ricerca della verità . Forse su questo caso sì è fatto troppo clamore, troppi i fari puntati e quando qualcuno è costretto a lavorare con gli occhi di tutti addosso, non gli è facile agire con serenità  e, quindi, può sbagliare. Lasciamo, in questo come in altri casi, i magistrati lavorare in pace.

 

Per Eugenio Liserre, «sul recupero dei valori morali, nulla da eccepire. Lo andiamo sollecitando da una vita. Mi scusi, però, un appunto: ci pare che a reggere le sorti del Paese e a determinarne le scelte siano stati, per cinquant`€™anni, gli uomini della Democrazia cristiana con alleati vari. Se a dominare, poi, è stata un`€™altra cultura, come dice lei, di chi la colpa? Di chi al potere si occupava solo di affari? Di noi stessi che non abbiamo saputo trasmettere quei valori, con l`€™esempio soprattutto, preoccupati di imbandire le tavole dei nostri figli con mille cose materiali dimenticando la loro mente e la loro anima? Qualche mea culpa in più e qualche alibi in meno sarebbe una salutare presa di coscienza per rilanciare impegno e ideali. Quanto alla giustizia (veda come la pensa la `€œcasalinga di... Roma`€) è in corso un`€™altra riforma, staremo a vedere».        

 

Tutti alla gogna?

 

«Finalmente qualcosa si muove! Ho appreso che sono stati ufficialmente condannati tre pseudo-sacerdoti che riempivano le cronache della carta stampata e della televisione. Mi riferisco allo spagnolo omosessuale e ai nostrani don Vitaliano e don Barbero. Raccomando solo ai media cattolici di dare risalto e diffusione a questi sacrosanti provvedimenti. Pregherei, però, di applicare analoghe sanzioni contro molti altri religiosi che fanno scempio della fede. Cito solo lo squallido don Gallo e quel giovane frate comunista che mostrò il pugno chiuso durante la marcia Perugia-Assisi».

Lettera firmata

 

Se qualcuno infrange le leggi è giusto che ne paghi le conseguenze (ma don Vitaliano e don Barbero sono solo inquisiti). Se poi vogliamo alla gogna o in galera tutti coloro che la pensano in modo diverso da noi, allora addio libertà  e democrazia!

 

La confessione collettiva

 

«Ho letto un libretto in cui si ipotizza la confessione e assoluzione generale non solo in casi eccezionali e alla condizione di una successiva confessione, ma con seconda forma ordinaria perché risponde più a una celebrazione comunitaria. Che ne pensa?».

Spadaccini Pasquale

 

La confesssione è un problema in tutto il mondo, per l`€™attutirsi del senso del peccato e la mancanza di sacerdoti. Non tutte le parrocchie sono in grado di rispondere ai fedeli che, in occasione delle grandi feste, affollano i confessionali. Allora si ricorre ad assoluzioni collettive, che prevedono anche la successiva confessione individuale, ma all`€™atto pratico questa, se non la si fa subito, non la si farà  più. Per questo motivo, Giovanni Paolo II in un suo recente documento, Misericordia Dei, a proposito dell`€™uso (o abuso) delle assoluzioni collettive, ha ribadito la necessità  della confessione personale, lasciando quella di gruppo ai soli casi eccezionali.

Nel presentare il documento, il cardinale Joseph Ratzinger ha detto: «Dio non ci tratta come parti di un collettivo, la colpa è qualcosa di totalmente personale, così anche il perdono deve essere totalmente personale». «L`€™abbandono della confessione personale dei peccati e il ricorso abusivo all`€™assoluzine collettiva costituiscono gravi danni per la vita spirituale dei fedeli e per la santità  della Chiesa», ribadisce il Papa nel documento, sottolineando che «non restano in alcun modo affidate alla libera disponibilità  dei pastori» soluzioni diverse, come non è consentito creare o consentire che si realizzino condizioni di apparente necessità . Il Papa invita, inoltre, i pastori a rendersi sempre disponibli all`€™ascolto della confessione personale, il non farlo «sarebbe un doloroso senso di carenza di spirito pastorale».

 

 Una gratitudine senza fine

 

«Mi giunge, davvero inaspettato, il suo cortese riscontro al rinnovo dell`€™abbonamento al `€œMessaggero di sant`€™Antonio`€, giornale al quale sono fedele da molti anni, sia per la devozione che mi lega al Santo, sia per la qualità  del contenuto, espresso in chiave di semplicità , ma profondo e attuale.

«Altre due circostanze mi spingono a scriverle. L`€™incontro con un`€™amica, che, proprio un paio di giorni fa, mi parlava di una grazia di conversione di una persona cara che le stava tanto a cuore, avvenuta a opera del Santo proprio in occasione di una visita alla sua basilica. E prima di questo, l`€™ascolto casuale di un intervento radiofonico, se non erro proprio da parte sua, che si concludeva con la richiesta di segnalazione di grazie e miracoli.

«Allora mi decido. Tantissimi anni fa, nel 1927, nasceva ai miei genitori una bellissima bambina; purtroppo, in seguito alla vaccinazione contro la poliomielite, si verificava l`€™attacco della terribile polio e sembrava non ci fosse speranza. Si temeva anche che la bimba morisse. Papà  e mamma `€“ tante volte me l`€™hanno raccontato `€“, rimanevano tutta la notte in preghiera accanto alla culla della mia sorellina, supplicando sant`€™Antonio perché intervenisse presso il Signore operando il miracolo...

«Se fosse avvenuto, la famiglia sarebbe andata a Padova, appena possibile. Al mattino, il pediatra (divenuto poi uno dei `€œgrandi`€ a Genova) dichiarava: `€œSe fossi credente, direi che è avvenuto un miracolo`€.

«La piccola era veramente perfettamente guarita e non portava più, per tutta la vita, nessuna traccia dell`€™accaduto. È ora nonna felice di sette nipotine. Il voto veniva sciolto parecchi anni dopo: da allora sono tornata molte volte a Padova, l`€™ultima, nel marzo 2001».

Giovannina - Genova

La ringraziamo per i generosi apprezzamenti. Le critiche ci stimolano a far sempre meglio e gli apprezzamenti a non deludere. Le une e gli altri sono graditi.

 

Tredici giugno, un anno fa

 

«Nel mese di giugno dello scorso anno sono stata sottosposta a un delicato e rischioso intervento di cuore (sostituzione di valvola aorta e triplice by-pass). Avrebbero dovuto operarmi il 12 giugno, poi hanno deciso per il 13, festa di sant`€™Antonio, il mio santo protettore. Sono andata in sala operatoria con un`€™immagine di sant`€™Antonio sotto la cuffia. Dopo parecchie ore è uscito il cardiochirurgo e ha detto ai miei parenti: `€œtutto è andato bene`€. Erano appena arrivati a casa che ricevono una telefonata: mi avevano riportato in sala operatoria per una perdita di sangue. Credevano il peggio, invece, (si è risolto bene, si era rotto un vaso sanguigno) sant`€™Antonio mi è stato molto vicino. Ora sto abbastanza bene anche se dovrò sottopormi a un altro intervento meno rischioso».

Ida M. - Lecco

 

Quella volta che mia figlia sparì

 

«Un grazie che voglio condividere. 1989. Una sera, come al solito, vado a lavorare. Quando torno, poco prima della mezzanotte, mia figlia Romina, sofferente per problemi psichici, rimasta in casa con un`€™amica, era scappata. Con la disperazione addosso mi rivolsi al Santo e andai alla caserma dei carabinieri dove il maresciallo mi tranquillizzò dicendomi che avrebbero cercato in tutte le discoteche. Ma di mia figlia nessuna traccia. Piansi tutta la notte invocando sant`€™Antonio che qualche anima buona si occupasse di lei. Così, mentre pregavo e piangevo, mi assopii; nel dormiveglia vidi il Santo, ma continuai a piangere e pregare fino al mattino. L`€™angoscia cresceva; all`€™improvviso squillò il telefono: `€œMamma sono alla stazione di Brignole, vienimi a prendere`€. Tanta fu la gioia e ringraziai il Santo: una signora buona d`€™animo `€“ proprio come avevo chiesto al Santo `€“ l`€™aveva accudita facendola dormire e mangiare prima di accompagnarla alla stazione».

Pilloni Laura - Genova

 

A che serve la laurea?

 

«Molti studiosi (economisti, sociologi, psicologi, sempre disposti a comparire in tv) parlano di `€œmercato del lavoro`€ e lo definiscono un meccanismo volto alla regolazione dell`€™incontro tra domanda e offerta di lavoro. La ricerca di un lavoro è da loro definita come un`€™operazione complessa, analizzabile in modo scientifico, che deve andare considerata secondo molte prospettive che dovrebbero aiutare i disoccupati, ai quali va accordato il ruolo di `€œattori sociali`€ (...).

«C`€™è però una categoria sociale specifica, i laureati, che vivono queste ridondanti teorie da una prospettiva più immediata. Quello che appena vent`€™anni fa poteva costituire un titolo garantito di prestigio e di guadagno, la laurea, oggi vale poco o nulla. In alcuni casi, addirittura, diventa titolo compromettente ai fini della ricerca di un lavoro sempre più incerto.

«Cercare un lavoro è divenuta l`€™unica occupazione per molti neo-laureati, o meglio, per quanti non hanno genitori, pronti a `€œpiazzarli`€ appena ottenuto l`€™agognato titolo o costretti per sentenza a provvedere fino a sistemazione adeguata.

«In Veneto, patria del celebrato `€œmiracolo del Nordest`€, il problema è grandemente sentito e oltremodo urgente per coloro che, in possesso di un titolo universitario, alle soglie dei trent`€™anni, si trovano di fronte a un mondo che sembra non avere più bisogno né dì loro né, tantomeno, di cultura. Crediamo veramente che la ricerca del lavoro possa essere trattata come un fenomeno scientifico? Noi, in tutta sincerità , e per quanto poco possa valere la nostra opinione, non lo crediamo! Non varrebbe forse la pena di chiedersi che cos`€™è per noi il lavoro? 0 meglio, che cosa dovrebbe essere?

«La scienza e la tecnica hanno sorretto la nostra evoluzione proprio perché la mera sopravvivenza non fosse il nostro unico fine. Non vi pare che forse l`€™attuale `€œfilosofia del lavoro`€ ci conduca all`€™`€œinumano`€? Oggi sono tanti i disoccupati che hanno studiato e quelli con una laurea in tasca crescono di anno in anno. Il problema è certamente giustificabile invocando l`€™aumento della scolarizzazione nel nostro Paese, ma è veramente un problema?

«L`€™errore è forse nascosto proprio nella subdola convinzione per la quale studio e cultura siano un aggiunta lodevole, ma non necessaria. Studiare o non studiare: sarà  l`€™enigma del nostro futuro? Forse non lo si formulerà  mai così esplicitamente, ma già  oggi lo ritroviamo con orrore nelle parole dei potenziali datori di lavoro. A questo punto, vorremmo chiedere, a chi oggi si trova con una laurea in tasca (e solo quella), se non rifarebbe in ogni caso, la stessa scelta culturale. Noi lo rifaremmo! Qualcosa di troppo non funziona nel nostro stile di vita, e i rapporti sempre più tesi tra giovani e lavoro, ne sono dei sintomi più evidenti».

Elena e Marina

laureande disoccupate

 

Il problema è scottante e vasto e non è certo nelle nostre possibilità  offrire una qualsivoglia pratica soluzione. Il mercato del lavoro ha esigenze diverse e anche imprevedibili. A volte gli addetti ai lavori lamentano la mancanza di laureati in determinati settori per cui le facoltà  in questione si intasano di studenti, i quali, al termine del ciclo, si ritrovano, magari, con un pezzo di carta in mano poco spendibile perché, nel frattempo, la situazione economica è cambiata e le richieste del mercato sono altre. E allora? Noi pensiamo che in ogni modo studiare serve, studio e cultura non possono essere considerati solo come introduzione al mondo del lavoro. La cultura arricchisce una persona, la fa più consapevole e libera, e offre, in ogni caso, maggiori opportunità . La vita ha molti interessi e continua oltre il lavoro...

 

Troppo timido con le ragazze

 

«C`€™è chi, avendo conosciuto una ragazza bellissima, e avendola corteggiata con la poesia e il rispetto, si è accorto che per lui non c`€™era posto, perché non la faceva divertire...».

Salvatore Bottino - Perugia

 

Il suo amico, ci pare, ha un «blocco» nei confronti delle ragazze. Se è così, bisogna consultare chi di dovere. Non è questione di bacio o non bacio, ma di una incapacità  di fondo che impedisce a questo giovane di rendere felice la ragazza che lui frequenta. È ovvio, d`€™altronde, che per entrare in comunione profonda con una persona, in questo caso con una ragazza, non basta la poesia, ci vuole concretezza. E la concretezza, per noi cristiani, viene dal fatto che il Signore ti ha messo accanto una persona determinata, con i suoi pregi e difetti, che è disposta a mettere la sua vita in comune con la tua.

Il fidanzamento, e poi il matrimonio, comportano un tipo di rapporto che non è puramente platonico, ma che investe bel bello anche tutta la sfera umana, corpo compreso. Gli psicologi ci avvertono che nell`€™uomo non c`€™è nulla di tanto spirituale che non sia anche materiale e nulla di tanto materiale che non sia anche spirituale. Se noi cristiani diciamo che il fidanzamento non è il matrimonio e che va vissuto nella castità , ciò non toglie che tra i fidanzati ci debba essere tutto uno stile di affettuosità  e tenerezza che esprimano davvero la comunione dei due.

La lettera in questione riporta le parole dello scrittore francese Denis Sonet che parla di «baci svalutati, banalizzati, standardizzati» di cui è pieno il mondo moderno... Sì, non è questo ciò che il cristiano cerca: nella volontà  di Dio egli cerca qualche cosa che ci richiama la bellezza originaria (di cui parla il Vangelo) per la quale Adamo ed Eva vivevano la felicità  del loro stare insieme, nel rispetto vicendevole, sentendo che «questa (la donna) è carne della mia carne e osso delle mie ossa». Ma ripeto: ove intervengano complessi, paure, ecc., vale la pena cercare un aiuto adeguato, che non sta solo nei consigli dei coetanei e per sé neppure in quelli dei genitori. A ciascuno il suo!

 

Oppressa dagli scrupoli

 

«Dall`€™età  di 23 anni mi ritrovo incapace di vivere serenamente la vita religiosa perché oppressa dagli scrupoli... io la forza di confessarmi per ritrovarmi con le stesse difficoltà , non la troverò mai».

G. Rossi

 

Rispondo volentieri alla sua lettera nella quale manifesta la sua sofferenza per l`€™incapacità  di affrontare il sacramento della penitenza, a causa dei suoi terribili scrupoli. Intanto, vorrei dirle che il problema non è solo suo, è di tanti. A dire il vero, non dipende dall`€™educazione rigida che si dava una volta, o dall`€™idea che uno si fa di Dio. Direi che tutto ciò viene dopo, ma prima c`€™è un problema psicologico legato fondamentalmente all`€™affettività . Non parlo da psicologo, ma per lei in sostanza si tratta certamente di una profonda insicurezza che ha finito per ingarbugliare le cose. Non occorre che qui andiamo in cerca dei motivi che hanno dato origine a questo disturbo. Ripeto: non è l`€™educazione religiosa che le ha creato questi complessi, ma tutto un insieme di cose che generalmente si richiamano ai rapporti tra lei e i genitori, o tra lei e i fratelli... Che fare? Alla sua età  è difficile dare consigli sbrigativi. Un suggerimento è di trovare un bravo confessore che capisca la sua situazione e la aiuti in una linea da seguire `€“ con fiducia, proprio perché la nostra psiche non è serena, è disturbata, non discerne `€“. Si informi e valuti con serenità  anche questa opportunità .

 

Perché gli uomini si fanno la guerra

 

«Spesso mi trovo a riflettere sul perché gli uomini si facciano la guerra e il più delle volte non trovo una spiegazione. Non ho ancora capito il perché di tante guerre e tanta divisione nel mondo...».

Rosario La Fauci

 

Le tante domande poste dall`€™amico lettore (qui sintetizzate) si possono riassumere, mi sembra, in una sola (che è l`€™eterna domanda): perché il male nel mondo?

Per noi cristiani la risposta sta nella pagina biblica del peccato originale. Quando Adamo ed Eva si sono staccati da Dio con il peccato si sono sentiti nudi, hanno, cioè, sperimentato di essere soli, sperduti nell`€™universo, perché si sono separati da colui che è fonte della vita. E hanno paura, scaricano la colpa l`€™uno sull`€™altro. E comincia per loro una storia dolorosissima che comincia con l`€™uccisione di Abele da parte di Caino e finisce con le Torri gemelle e tutti i guai dei nostri tempi. In tutta questa lunga storia si vede che l`€™uomo scappa dalla sofferenza e cerca la vita dove lui pensa che ci sia: nei soldi, nel sesso, nel successo. Mai permetterà  che l`€™altro lo schiavizzi o lo scavalchi. Si pensi solo all`€™inizio della storia romana con l`€™uccisione di Remo da parte di Romolo.

Di fronte a questa situazione, Dio ha provveduto mandando il suo Figlio sulla terra. Gesù s`€™è fatto in tutto simile a noi fuorché nel peccato e assumendo su di sé i peccati del mondo, li ha inchiodati sulla croce, fattosi per noi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per quella sua obbedienza, Dio lo ha esaltato e l`€™ha costituito Signore dei vivi e dei morti, e gli ha dato il potere di donarci uno Spirito datore di vita, come si vede nel giorno di Pentecoste. Gesù ha pagato il nostro riscatto a caro prezzo, e in forza del suo sacrificio si apre per noi la porta della vita. Ecco allora che, vinto il peccato, è vinta la paura e cessa la schiavitù: l`€™uomo può amare l`€™altro senza pensare che l`€™altro lo uccida. Incomincia una vita nuova, quella di cui parla anche lei nella sua lettera. Dove si visibilizza questa vita nuova di persone che si amano? Nella Chiesa, o per dir meglio dove nasce una comunità  di persone che sono unite nel nome di Gesù Cristo. Nella storia della Chiesa si riporta in proposito l`€™esempio mirabile delle prime comunità  cristiane (cf. Atti degli apostoli). Ma si può portare anche l`€™esempio delle prime comunità  francescane, o, per il nostro tempo, l`€™esperienza che ci raccontano i primi focolarini... E senza andare ad esempi così alti, basta pensare solo a famiglie unite nel nome di Gesù, dove si rivive `€“ per quanto è concesso a semplici uomini `€“ il modello della famiglia di Nazareth.

Nel contempo, continua lo spettacolo del mondo diviso e violento. Certo, e non è che il mondo occidentale sia meglio o peggio del mondo orientale, né che i mussulmani siano e

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017