Lettere al Direttore
LETTERA DEL MESE
Il celibato dei preti
Leggo su un quotidiano la seguente notizia : Tom Mac Mahon ha vissuto con la donna che chiamava 'moglie' e i suoi due figli a soli 16 chilometri da dove era parroco in California. Ma sperava che i suoi superiori non lo scoprissero. Era un prete cattolico combattuto tra la vocazione e il celibato imposto dal sacerdozio e l'amore per la sua famiglia. Questa la scarna notizia che ancora una volta mette a nudo la realtà di tanti sacerdoti dibattuti tra un celibato imposto e l'avere accanto una donna e dei figli... Penso che sia giunto il momento che la Chiesa riconosca la psicologia sessuale umana e dia ai sacerdoti che lo vogliono la possibilità di avere una compagna per evitare scandali peggiori. Richard Sipe, monaco benedettino e psicologo, pensa che la metà del clero sia sessualmente attivo e che l'omosessualità sia tante volte causata dalla realtà del celibato. I dati precisi non si conoscono ma ora si spera che lo scandalo sugli abusi sessuali possa aiutare a riesaminare il problema del celibato.
P. G. B. - Milano
In recenti documenti (Paolo VI e Giovanni Paolo II) la Chiesa ha rinnovato il suo tradizionale insegnamento sulla fecondità spirituale del celibato, rimotivandolo anche alla luce delle moderne acquisizioni dell'antropologia. Il celibato è presentato non come un freddo obbligo canonico, ma come un modo d'essere e d'amare libero e liberante. Non imposto, come afferma il lettore. La Chiesa, al contrario, chiede un'adesione personale, responsabile e attiva, all'impegno celibatario. Essa si attende che la castità venga sentita e vissuta per quello che è: un cammino gioioso di liberazione verso una maggiore capacità di amare, e non già un faticoso fardello di cui, potendo, si farebbe volentieri a meno. Se invece il celibato viene subito controvoglia, e senza vera partecipazione, sarà difficile viverne le privazioni e le fatiche con la generosità che esso richiede. Si comprende come, in tal caso, alla fine corra il rischio d'essere sentito più un'imposizione che un'intima esigenza spirituale e d'amore. Che dire? In questi casi è certo più facile mettere in discussione il valore del celibato ecclesiastico, che se stessi...
Non conosciamo lo psicologo cui il lettore si riferisce, e le affermazioni citate ci paiono piuttosto vaghe e generiche. Forse quello che lo psicologo voleva dire non era tanto che il celibato favorisce l'insorgere dell'omosessualità , ma che gli errori educativi e le forzature pedagogiche, anche nel campo della formazione al celibato, possono talora favorire il cristallizzarsi o l'insorgere di tendenze omosessuali negli adolescenti. In questi casi non è il celibato di per sé a essere chiamato in causa, ma piuttosto gli inciampi evolutivi, gli errori pedagogici, le storture educative che segnano il percorso maturativo d'un adolescente.
Certo conosciamo bene quale carico di sofferenza, lotta e fatica la fedeltà al proprio celibato comporti. È forse un motivo valido per rifiutarlo? Vorremmo forse che nella nostra vita fosse tutto facile, liscio, indolore? È forte la tentazione di voler evitare le scelte difficili, con gli spigoli acuti che graffiano e fanno male. Il celibato è una di tali scelte. Vi sono nella vita d'un sacerdote delicati momenti di prova in cui egli è chiamato a rinnovare, in modo più pieno e maturo, quell'atto d'offerta a Dio che aveva fatto il giorno della sua ordinazione. È l'offerta di sé che passa attraverso il dono generoso di tutto se stesso al Signore e alla Chiesa. Comprendiamo allora l'intimo dramma d'un sacerdote, convinto della sua vocazione, ma che trova particolarmente difficile recuperare la scelta del suo celibato. Difficile, ma non impossibile: la preghiera, l'amicizia e il sostegno dei confratelli, una rinnovata direzione spirituale, il silenzio, sono i mezzi di cui la grazia si serve per far ritrovare ai sacerdoti la fedeltà e la gioia del dono totale di sé. Non da ultimo: l'aiuto di una comunità che lo sostenga nella sua missione.
La Chiesa e la pena di morte
Perché la Chiesa giustifica il ricorso alla pena di morte e alla guerra, sia pure a determinate condizioni, che peraltro non mi convincono, se, al di là del comandamento che pure recita non uccidere l'innocente e il giusto, c'è poi l'insegnamento di Gesù, ama i tuoi nemici, porgi l'altra guancia (anche Isaia 50,4-7 dice le stesse cose). Sono certo che ci sono valide ragioni ma, poiché non riesco a vederle, ti sarei grato per una risposta.
Galluccio (da e-mail)
Lei pone una domanda acuta. Coglie una contraddizione nel pensiero della Chiesa. La soppressione del reo si pone in antitesi rispetto al comandamento di Gesù: ...ama i tuoi nemici. Lei non riesce a conciliare le due affermazioni. A rigor di logica, non è possibile. Non ho la pretesa di dissolvere le sue perplessità , tuttavia, mi sembra di poter leggere il problema anche da un'altra angolazione: l'evoluzione del pensiero della Chiesa.
Provi a fare un passo indietro nel tempo. Nel Medioevo la Chiesa ha formato un connubio strettissimo con il potere temporale e la sua longa manus non ha lesinato alcuna violenza pur di garantire all'impero l'ordine costituito. Nello stesso momento storico, la Chiesa ha concepito l'Inquisizione, comminando la morte anche a persone straordinarie, riabilitate solo nei secoli successivi.
La morale cattolica ha percorso un lungo itinerario evolutivo. Sul Catechismo compaiono solo esigue tracce delle vecchie norme. Fortunatamente lo Spirito Santo non dà tregua agli uomini che governano il popolo di Dio. Sono figli del loro tempo e, in ogni caso, uomini. La tesi della progressiva maturazione della morale cattolica trova conforto proprio nella storia del Catechismo. L'ultima edizione è stata approvata nel 1992 e ha già subito degli emendamenti. Anche gli articoli, cui lei fa riferimento, sono stati riveduti e integrati. Al n° 2267 leggiamo una variante che riduce notevolmente le condizioni che giustifichino la soppressione del reo.
È prevista solo quando questa fosse l'unica via praticabile per difendere efficacemente dall'aggressore ingiusto la vita di esseri umani. Il paragrafo prosegue con la seguente postilla: ...i casi di assoluta necessità di soppressione del reo sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti.
Evidentemente siamo ancora distanti dalla purezza della norma di Gesù. L'amore per il nemico richiama la coscienza del credente al sacrificio estremo, all'eroismo assoluto. Il Catechismo non ha ancora codificato questo salto di qualità .
Nella definizione delle norme morali la storia della Chiesa ha indicato un lento ma efficace dinamismo. Ciò lascia ben sperare per il futuro.
Le esigenze del Vangelo sono molto forti e il cammino di conversione individuale è condizionato dalla nostra finitudine umana.
Le brutte compagnie dei cattolici
I partiti della sinistra erano i nostri nemici virtuali nel recente passato, e non solo per la vita religiosa, ma anche nella vita sociale, e la loro matrice materialista forse giustificava alcune intemperanze verso la religiosità della gente, senza addentrarmi nella persecuzione al cristianesimo, solo che non erano nostri amici di viaggio. Ora assisto a un connubio strano fra gente di matrice cristiana e gente di matrice comunista, non solo nella politica, che forse è giustificato dalle poltrone di potere, ma anche nella vita quotidiana, con il consenso e, a volte, il plauso delle autorità religiose cristiane, ed è questo che mi sgomenta un poco, la convivenza civile ci porta a tollerare i diversi, ad aiutare i deboli, a soccorrere gli ultimi sfortunati, ma senza dover ottenebrare la matrice con cui sono stato forgiato; posso dare tutto me stesso per aiutare anche un nemico della mia fede, ma senza rinunciare ai miei principi etici e morali....
S.C.
Lei si definisce un cristiano con memoria e quindi senza alcuna simpatia verso i partiti della sinistra. La sorprende il connubio tra gente di matrice cristiana e gente di matrice comunista. Un sodalizio benedetto, secondo lei, dall'autorità religiosa, inaccettabile, per un passato che non può essere sdoganato dal cambio dell'etichetta.
Capisco le sue riserve. Probabilmente l'esperienza e la formazione culturale la inducono a essere critico verso la sinistra: è vivo il ricordo delle persecuzioni e la loro matrice materialista. Credo che la memoria del cristiano non debba scordare due elementi decisivi: la storia e il Vangelo. Anzitutto, la storia va conosciuta e rispettata nella sua completezza. Il credente non può dimenticare i passaggi che lei ha citato. Non può neppure misconoscere altri eventi, tragici, che nessun trasformismo può redimere. Il lavacro di Fiuggi, per esempio, non cancella il passato della destra fascista. Il battesimo del Po non cristianizza le cannonate di benvenuto da riservare ai disperati.
L'ostilità verso il fratello o la negazione della sua libertà non sono meno gravi della dichiarata inimicizia rispetto alla religione. La nostra memoria rischia di essere politicizzata. Dovremmo rileggere la storia con obiettività , con la distanza critica che ci consente il Vangelo. Il Vangelo non è certo di destra o di sinistra. Supera, piuttosto, i due punti di vista e ha una forza in grado di trascendere ciascuna scuola di pensiero, criticandone i limiti e valorizzando ciò che umanizza le persone.
La politica è l'arte del possibile. Ogni ideologia rappresenta una speranza e, insieme, una prigione per la storia. Il Vangelo ci rende vigili rispetto a tutte le utopie, nelle quali gli uomini hanno riconosciuto la salvezza. La destra e la sinistra hanno elaborato una propria visione del mondo, hanno interpretato il senso della storia affidandosi a schemi antropologici diversi. È un'ambizione naturale e giusta. L'importante è non assolutizzare mai nessuna opinione.
Malattia mentale: famiglie non rassegnate
Siamo un gruppo di familiari che cerca di rialzarsi dopo il passaggio del tornado schizofrenia e che non vuole piangersi addosso (pur rispettando chi lo fa). La invitiamo a visitare il sito nazionale dell'Arap ( www.arap.it), il nostro sito web.tiscali.it/arapcatania, il sito www.sospsiche.it (particolarmente interessante, aggiornato e utile).
Marina Bertolino
Nell'attesa di trovare qualche forma concreta di collaborazione, suggeriamo intanto a famiglie di nostri lettori alle prese con i problemi creati dalla presenza in casa di un malato mentale i siti da lei indicati, augurandoci che possano trovare spunti e occasioni per non sentirsi soli nel vivere una situazione di difficoltà e di disagio.
Scuola: passano anche gli asini
Gentile direttore, insegno discipline giuridiche ed economiche in un istituto della mia città . Una volta come correttivo automatico i 5 in Consiglio passavano a 6. Oggi vi passano i 4. Si discute solo sui 2. Gli alunni appaiono sconcertati quando, aspettandosi la bocciatura, apprendono dai quadri la promozione piena. I più bravi si domandano se vi sia ancora differenza tra il bianco e il nero, e se a farla abbia ancora senso. Il nostro sistema è come un cane che si morde la coda: la scuola produce questa società e conseguentemente la società produce questa scuola. Sapesse quanti asini troveremo sotto forma di dottori, ingegneri, avvocati, ecc. e senza deontologia alcuna. Lo dica dalle sue colonne a chi di dovere. Forse a lei presteranno ascolto.
Domenico - Benevento
Alcuni dirigenti scolastici con i quali abbiamo scambiato dei pareri, ci hanno consigliato di non fare di ogni erba un fascio. A fronte di Consigli che fanno passare i 4, ce ne sono altri di cerbera severità che bocciano anche il 30 per cento e più di alunni in una classe. Quanto ai futuri asini con il titolo di dottore o ingegnere, non sono una novità : ricorda il 18 politico della contestazione sessantottina? Comunque, abbiamo trovato i dirigenti scolastici preoccupati sì che tra le maglie troppo larghe di alcuni istituti passino anche alunni scarsamente preparati, ma ancor di più del fatto che gli insegnanti (la scuola) faccia troppo poco, o nulla, perché quell'impreparazione si tramuti in una almeno passabile preparazione. Tirare su alunni che fanno fatica, che richiedono impegno doppio, è lavoro che a pochi piace. È assai più gratificante e comodo seguire quelli che non hanno problemi. Gli altri meglio lasciarli al loro destino. Ma così si viene meno al compito principale della scuola, che è di far raggiungere a tutti un livello soddisfacente di preparazione, per il futuro degli alunni e non per la gratificazione degli insegnanti.
Una lunga storia di incompatibilità
La mia figlia più grande ha 32 anni, è medico, e vive con me. Ci scontriamo molto spesso e sono convinta che succederà sempre. Forse il tanto tempo dedicato allo studio, le ha impedito di avere buone relazioni con gli altri... Ho provato in tutti i modi ad avere buone relazioni con lei, che è sempre stata in competizione con me, ma non ci sono mai riuscita....
Lettera firmata
Quella con sua figlia potrebbe essere una convivenza felice, come avviene tra persone mature, alla pari. Invece il dialogo è impraticabile. Progressivamente vi state scoprendo incompatibili. Lei è stanca e non esita a definire la sua vita un inferno. La lettera mi offre indicazioni importanti per capire il carattere della figlia, ma non abbastanza da poter esprimere un consiglio ispirato. Lei parla di competizione. Un atteggiamento di per sé non negativo. La competizione favorisce lo sviluppo della personalità e di altre attitudini. Una relazione eccessivamente integrata non sarebbe altrettanto avvincente. Tuttavia, prima che l'esasperazione dei competitori degeneri in conflitto, è meglio escogitare qualche contromossa.
Perché non invita la figlia a esprimere tutta la propria irruenza, il senso critico e la saccenteria mettendosi in proprio, andando ad abitare per conto suo, rinunciando anche alla sicurezza che le deriva dall'essere in guerra con qualcuno?
Paradossalmente, il nemico rinforza la propria identità e, talvolta, se ne ha bisogno per vivere. La tensione e il conflitto richiedono concentrazione e questo basta per distrarre il pensiero dai problemi veri, dalla paura di darsi le risposte che contano, necessarie per diventare grandi. Non conosco abbastanza sua figlia. Ho la sensazione, però, che le farebbe bene risiedere lontano dalla mamma e viceversa. Ciascuna rischia di essere ostaggio dell'altra e la sindrome di Stoccolma, probabilmente, non sta risparmiando nessuna delle due.
Provi a discutere l'ipotesi di separazione con sua figlia. La scelta potrebbe sembrare poco caritatevole, ma solo apparentemente. Il distacco aiuta a valorizzare la persona che manca.