L'intervista
Le sue battute, quando nel confronto politico i toni erano meno beceri, ci deliziavano: argute, sagaci, caustiche e qualche volta al vetriolo, ma sempre venate di intelligente ironia (oggi imperversano altri stili). Giulio Andreotti, romano, classe 1919, dal 1944 nella Dc, deputato all'Assemblea costituente nel 1946 e poi ininterrottamente in prima fila, e da protagonista, sulla scena politica e parlamentare. I primi anni a fianco di Alcide De Gasperi come sottosegretario alla presidenza del Consiglio nei due governi guidati dal grande statista trentino, scomparso cinquant'anni fa, del quale Andreotti è impegnato a rinverdire la memoria e valorizzare la preziosissima eredità umana e politica.
Ricordo che tra le vecchie foto di famiglia ingiallite dal tempo che una mia cugina soleva mostrarmi, una ritraeva il funerale (1958) del proprio suocero, Rodolfo Verduzio, napoletano, pioniere dell'aviazione, progettista di mitici aerei, come lo S.V.A (1916) usato da Gabriele d'Annunzio per l'epico volo su Vienna. Ebbene, dietro al feretro, posto su un affusto di cannone, se ben ricordo, c'era, con aria compunta, un Andreotti non ancora quarantenne e già ministro.
Poi, una carriera eccezionale: più volte ministro e sette volte presidente del Consiglio, negli anni in cui l'Italia, lasciandosi alle spalle i dolenti ricordi di una guerra che l'aveva prostrata, imboccava e percorreva la strada di una prodigiosa ricostruzione, ricordata come il miracolo italiano. Ma anche in quelli dolorosi e funesti del terrorismo rosso e nero e del rapimento e uccisione di Aldo Moro.
Astuto navigatore tra i marosi e le risacche di una politica italiana poco stabile ma sempre uguale, spesso avviluppata in crisi gravi ma non serie (Andreotti), era uscito indenne da molti tra i più clamorosi scandali della storia della repubblica: affare Sindona, affare Gelli-P2, scandalo dei petroli, affare Eni-Petromin, scandalo dei servizi segreti. A parte le guerre puniche, mi viene attribuito veramente tutto, commentava lui. Non lo hanno neppure sfiorato, invece, gli sconquassi provocati dalla tempesta di Mani pulite.
Cavallo di razza, statista intelligente e avveduto, divo Giulio, per chi lo apprezza e lo osanna. Diabolico burattinaio di oscure trame, vecchia volpe, disposto a tutto per il potere (che logora chi non ce l'ha, diceva lui), Belzebù per i detrattori.
Da una decina d'anni era quasi a riposo, incamminato verso una vecchiaia tranquilla e feconda: a riordinare nell'archivio della memoria la miriade di eventi di cui è stato testimone o protagonista e a dire comunque la sua, quando alcuni pentiti lo hanno ributtato sulla peggiore delle scene, quella dei tribunali, con accuse infamanti: mandante di un assassinio (del giornalista Pecorelli) e colluso con i potenti clan della mafia siciliana. Ne sono usciti due interminabili processi, che lo hanno profondamente segnato, nonostante l'apparente imperturbabilità . Per la cronaca: già assolto a Palermo per concorso in associazione mafiosa, è stato prosciolto dalla Cassazione per la vicenda Pecorelli. L'importante è arrivare vivi alla verità , era solito dire Andreotti. Ci è arrivato. Non senza una coda di roventi polemiche. Ma le polemiche sono il pane quotidiano della politica.
Msa. C'era una volta l'ironia. Lei ne è un maestro. Celeberrime alcune sue battute che rivelano intelligenza, stile e rispetto degli altri. Oggi regna, tra i politici soprattutto, l'invettiva, l'allusione pesante, la volgarità ... Come giudica questa caduta di stile?
Andreotti. È un brutto segno. Forse ne è causa (o almeno concausa) il sistema elettorale dei due blocchi, della democrazia aritmetica.
Chi semina vento raccoglie tempesta: che cosa raccoglieremo da questa ventosa stagione di risse continue?
Speriamo che si riesca ad avere almeno una decorosa plastica facciale.
Per Bossi e bossiani gli ex dc andavano fucilati tutti: a quale santo accenderà un cero per lo scampato pericolo?
All'Angelo custode di Bossi, incolpandolo di una totale disattenzione.
C'è la tendenza in chi governa (non solo oggi) di evocare errori dei predecessori per mascherare le proprie inefficienze: tutto il male di oggi verrebbe dal passato. Ma i nostri padri non ci hanno lasciato proprio nulla di buono in eredità ?
In parte è un metodo, direi, di superbia politica. Quando venne a Roma per il funerale di Paolo VI (o l'intronizzazione di Giovanni Paolo I?) il generale Videla mi disse che nell'assumere la guida dell'Argentina aveva trovato solo l'effetto degli errori dei suoi predecessori. Gli risposi di andar cauto nel dire così; intanto avevo conosciuto ottimi presidenti argentini, come Frondizi e Aramburu; e poi i suoi successori avrebbero detto male di lui come lui stava facendo ora. Mi guardò male.
Del periodo degasperiano l'Italia dev e essere orgogliosa.
Su Alcide De Gasperi, una delle figure più incisive - come uomo e come statista - della nostra recente storia, è caduto un pesante velo di oblio. Varrebbe la pena di riproporlo, ai giovani soprattutto: per che cosa in particolare, secondo lei?
A cominciare dal 14 ottobre con una eloquente Mostra e con un Forum internazionale, sono iniziate le celebrazioni del cinquantesimo della morte, che si chiuderanno il 19 agosto a Trento. Miriamo a far sì che gli italiani ricordino o conoscano. Altro che pietoso oblio!
Che posizione avrebbe assunto De Gasperi sull'allargamento dell'Europa a venticinque Paesi? E lei, lo ritiene un passaggio positivo, nonostante un certo prezzo che dovremo pagare?
Forse sui tempi sarebbe stato più prudente ma come disegno politico lo avrebbe certamente condiviso.
Come giudica il mancato (ormai certo) richiamo alle radici cristiane del Vecchio Continente?
Mi dispiace, ma non ne farei motivo di polemica che divida. Metterei in evidenza che il 2003 (o 2004) la Costituzione parta con il sigillo dell'Annum Domini.
Vedrebbe volentieri De Gasperi sugli altari?
Certamente sì, ma forse per un politico è meglio che i tempi siano lunghi. Per evitare che vecchi contrasti impediscano di apprezzare il fatto, che è puramente spirituale.
L'attuale maggioranza ha proposto un pacchetto di riforme costituzionali per dare un volto più moderno e meccanismi più snelli - dicono - al Paese. Lei sentiva la necessità di tali mutamenti?
Non tutto quello che è nuovo è bello. Qualche modifica può essere utile, ma occorre la massima prudenza. Anche perché in nome dell'efficienza e di meccanismi più sbrigativi si può - senza volerlo - corrodere le basi del sistema che ha permesso all'Italia di crescere e di svolgere una politica costruttiva in tutte le direzioni.
Che cosa di quanto proposto ritiene utile e che cosa invece non le piace affatto?
Non mi piace la sostanziale irrilevanza che si dà al parlamento, creando canali diretti tra governo e popolazione al di fuori della rappresentanza organica attraverso le due camere. Dobbiamo restare repubblica parlamentare.