Lo Spirito anima i laici
Dalla vita
Uomini per il 'mondo'
Fedeli laici nei consigli pastorali parrocchiali. In quelli - meno conosciuti e meno numerosi, anche se l'invito a costituirli è formale - per gli affari economici. Laici catechisti, laici che studiano teologia e insegnano religione a scuola, laici che proclamano le letture dal pulpito. Laici educatori, volontari della carità , animatori del tempo libero. Mai come oggi i fedeli laici hanno avuto spazio nella chiesa italiana. Eppure...
Eppure il primo ambito d'impegno dei fedeli laici non sarebbe la comunità . La loro 'indole propria e peculiare', spiega senza equivoci il concilio (Lumen gentium , 31), è 'secolare'. Sono chiamati ad agire nel mondo. Il che non esclude l'impegno nella comunità , tutt'altro. Ma ciò che innanzitutto qualifica il laicato cattolico è la sua capacità di rendere presente Cristo nel mondo là dove vivono tutto il giorno, cioè 'fuori' della comunità . E qui cominciano i guai. Perché lo stato di salute del laicato, a sentire le cifre e gli esperti, è tutt'altro che buono. Le cifre, appunto. Una su tutte: nella seconda metà degli anni Ottanta le scuole di formazione sociale e politica erano oltre duecento. Oggi sono sessantasei, alcune delle quali con gli organici decimati. 'La pastorale sociale - invita don Mario Operti, direttore dell'Ufficio nazionale per la pastorale sociale e il lavoro della Cei - dovrebbe essere non marginale, ma pienamente inserita in tutti i progetti formativi'. Ma quali parrocchie, nelle loro catechesi specialmente per giovani e adulti, spiegano che informarsi, maturare opinioni, possedere una 'coscienza sociale' è un dovere preciso dei credenti? Quante dedicano alla morale sociale almeno lo stesso spazio dedicato, ad esempio, alla morale sessuale? In altre parole, che cosa significa oggi essere cristiani nel nostro mondo, nella nostra società , nella nostra Italia? Com è riconoscibile il fedele di Cristo? Faticano a rispondere le aggregazioni laicali, tradizionali e nuove non importa.
Chiede Domenico Rosati, ex presidente nazionale delle Acli: 'Perché lasciare solo al papa la solitaria predicazione delle implicazioni sociali del Vangelo?'. Rosati invita le aggregazioni a verificare il senso della propria missione. Avrà risposta?
Don Giacomo Canobbio , presidente dell'Associazione teologica italiana, riferisce quanto sentito da alcuni cristiani impegnati in politica: 'Finita l'epoca del collateralismo, in nome dell''equidistanza non ci si preoccupa più di ascoltare chi, cristiano, milita nei diversi partiti'. Insomma, molti parroci sono spaventati dalla diaspora. Temono che parlare di politica possa riprodurre le divisioni all'interno della comunità , così evitano del tutto il discorso. È giusto? E dove potranno mai confrontarsi i cristiani, se non nella loro comunità ? Ma poi, sono davvero così cresciuti i laici anche dentro le parrocchie? 'I consigli pastorali spesso non funzionano -piega sconsolato il sociologo Roberto Cipriani - e le decisioni le prende l'unico vero componente, l'unico ad averne le mani in pasta: il parroco. Un po' come il preside nei consigli d'istituto'. C'è chi parla esplicitamente di nuovo clericalismo: da un lato, i preti 'concedono' gli spazi ai laici, riducendoli a generosi supplenti; dall'altro, i laici non avendo modelli originali a cui ispirarsi nella comunità tendono ad assomigliare ai preti, ossia a clericalizzarsi.
Giuseppe Savagnone, responsabile per la cultura della Conferenza episcopale siciliana, parla senza mezze misure di 'laicato debole, perlopiù ridotto a bassa manovalanza'. 'Il concilio è arrivato in anticipo - spiega il sociologo Franco Garelli - . Ci vorrebbero laici maturi da una parte e presbiteri che lasciano loro spazio dall'altra'. Sarà questa la grande sfida per l'intera chiesa italiana del Duemila?l
Presenza insufficiente nel sociale e scarsa nella vita parrocchiale, dunque. Nel rinnovare l'impegno ci è d'esempio la comunità di Antiochia, fondata da credenti laici fuggiti da Gerusalemme, come raccontano
gli Atti degli apostoli. Solo più tardi arriva Barnaba, inviato dai Dodici, a verificare la situazione e a gioire per i frutti che lo Spirito aveva fatto maturare attraverso l'apostolato dei cristiani laici.
La parola di Dio
I laici di Antiochia
È anacronistico parlare di 'cristiani laici' nella prima chiesa, perché la distinzione tra 'sacerdoti' e 'laici', a livello di linguaggio introdotta alla fine del primo secolo in una lettera di Clemente romano, si imporrà solo nel corso dei secoli successivi. Invece, come appare negli scritti del Nuovo Testamento, nelle prime comunità cristiane l'impegno di tutti i credenti battezzati si articola in vario modo secondo le proprie attitudini e le esigenze stesse della vita comunitaria. Infatti, nelle chiese nate dalla missione di Paolo si sviluppano diverse forme di carismi e ministeri che vengono fatte risalire ai diversi doni spirituali di Dio o carismi.
Anche gli Atti degli apostoli attestano che le varie comunità , sorte prima nell'ambiente del giudaismo palestinese e poi in quello della diaspora e tra i greci, si strutturano in modo diversificato. Basti pensare al modo di provvedere alle necessità dei cristiani bisognosi nella chiesa di Gerusalemme. Dapprima si lascia che ognuno metta a disposizione quello che ha. Poi si organizza una specie di cassa comune gestita dagli apostoli. Infine, si crea una diversa organizzazione di responsabili anche dell'assistenza dei poveri e soprattutto delle vedove. Per i cristiani di lingua greca si crea un comitato di sette persone sul modello delle comunità ebraiche. I 'sette', che fanno capo a Stefano, non si limitano alla gestione delle mense, ma si dedicano alla predicazione tra i loro corregionali di lingua greca come fanno gli apostoli tra gli ebrei palestinesi.
Ma accanto ai responsabili, all'interno delle singole comunità vi sono altri cristiani che spontaneamente, secondo le proprie attitudini e le esigenze dell'ambiente, si dedicano al servizio della Parola e alla testimonianza della carità . L'autore degli Atti, come Paolo nelle sue lettere, riconosce in questo impegno dei cristiani che si sviluppa in forme e in tempi diversi, l'azione dello Stato Santo che guida la chiesa secondo la promessa di Gesù Cristo, il Signore risorto.
La storia della nascita e dello sviluppo della chiesa di Antiochia di Siria è rappresentativa della vitalità dei primi cristiani, che obbediscono all'impulso dello Spirito Santo. Questa comunità viene fondata dal gruppo di cristiani costretti a lasciare la città di Gerusalemme dopo la morte di Stefano. La predicazione coraggiosa e franca di questo cristiano, infatti, suscita la reazione violenta da parte dei giudei di Gerusalemme. Stefano viene condannato a morte perché, appellandosi alla tradizione di Gesù, mette in discussione il ruolo del tempio di Gerusalemme e delle istituzioni ebraiche nel loro insieme. Il suo linciaggio scatena una caccia ai cristiani di lingua greca, di cui si fa promotore un ebreo originario di Tarso: Saulo, noto anche con il nome greco-romano: Paolo. Perciò i cristiani che fanno capo al gruppo dei 'sette' sono costretti a lasciare la città di Gerusalemme. Essi, dice il testo degli Atti, dispersi percorrono il territorio fuori di Gerusalemme e diffondono la parola di Dio (Cf. At 8,4).
Da questa attività itinerante provocata dalla persecuzione di Paolo a Gerusalemme nasce la missione di Filippo in Samaria. Egli annuncia il Vangelo con grande efficacia. La nascita della chiesa in Samaria viene riconosciuta e sanzionata dall'invio di Pietro e Giovanni che, mediante l'imposizione delle mani, comunicano il dono dello Spirito Santo a quelli che sono stati battezzati da Filippo. Egli poi prosegue la sua opera di evangelizzazione verso la parte occidentale della Giudea e lungo la costa mediterranea.
Nel frattempo il gruppo dei cristiani ellenisti costretti a lasciare la città di Gerusalemme si dirige verso le regioni della Fenicia e della Siria fino a Cipro. La loro meta è Antiochia di Siria, la grande metropoli che collega le regioni occidentali dell'impero con l'Oriente. Qui c'è una fiorente colonia ebraica di lingua greca che offre ai profughi l'opportunità di annunciare il Vangelo di Gesù Cristo. Ma un gruppo di essi, originari di Cipro e della città africana di Cirene, approfitta per rivolgersi anche ai greci pagani che gravitano attorno alla sinagoga ebraica. Per la prima volta il Vangelo viene proposto in modo aperto e sistematico ai non ebrei. Il risultato di questo annuncio nella città di Antiochia è la nascita di una chiesa mista formata da ebrei e pagani convertiti. La notizia di questo fatto arriva alla chiesa di Gerusalemme e gli apostoli inviano ad Antiochia di Siria un giudeo cristiano originario di Cipro, Barnaba, un uomo 'pieno di Spirito Santo e di fede', dice Luca negli Atti degli apostoli. Barnaba con la sua autorevolezza e il suo spontaneo entusiasmo incoraggia tutti i convertiti a proseguire nel proprio impegno. Questo dà nuovo impulso all'opera di evangelizzazione nella città di Antiochia, dove 'una folla considerevole fu condotta al Signore' (At 11,24).
Per farsi aiutare nell'organizzazione della nuova comunità Barnaba va a Tarso a cercare Saulo, che egli ha conosciuto a Gerusalemme dopo il suo radicale cambiamento avvenuto nei pressi di Damasco. Insieme essi si dedicano per un anno intero alla formazione dei neoconvertiti, che ormai si distinguono dalla comunità ebraica, al punto che i greci di Antiochia per la prima volta chiamano gli aderenti alla nuova fede in Gesù Cristo 'cristiani' (At 11,26).
È da questo ambiente vivace di Antiochia, aperto al dialogo con l'ambiente dei greci, che nasce la decisione di organizzare la prima missione oltre le frontiere dell'ambiente siro-palestinese. Questa decisione viene presa in un contesto di preghiera sotto la guida e l'animazione del gruppo di 'profeti e dottori' della chiesa antiochena. L'autore degli Atti menziona un gruppo di cinque persone, di cui fanno parte anche Barnaba e Saulo. Egli racconta che mentre stanno facendo la liturgia del Signore, lo Spirito Santo dice: 'Riservate per me Barnaba e Saulo per l'opera alla quale li ho chiamati' (At 13,2). La comunità cristiana di Antiochia partecipa a questa decisione con la preghiera intensa accompagnata dal digiuno. L'incarico di missione viene espresso con un gesto simbolico che esprime anche l'impegno solidale della comunità : 'Imposero loro le mani e li accomiatarono'. In questa esperienza ecclesiale di Antiochia l'autore degli Atti vede l'azione dello Spirito Santo che suscita e anima l'impegno attivo e responsabile dei singoli e della comunità cristiana. Infatti egli prosegue la narrazione con una frase programmatica che rivela questa prospettiva: 'Essi dunque, inviati dallo Spirito Santo, discesero a Seleucia e di qui salparono per Cipro' (At 13,4).
Dunque, la nascita e l'espansione della chiesa stanno sotto il segno dello Spirito Santo. La chiesa di Gerusalemme è nata grazie all'effusione dello Spirito Santo e alla parola di Pietro nel giorno di Pentecoste. La chiesa di Antiochia trae origine dall'annuncio dei cristiani ellenisti del gruppo di Stefano. Essa riceve il sigillo dello Spirito Santo confermato dalla presenza di Barnaba inviato dagli apostoli di Gerusalemme. Lo Spirito Santo, che suscita e anima le diverse forme di impegno ecclesiale, sta all'origine della missione cristiana che porta il Vangelo oltre i confini della cultura e della religione ebraica. Se ne ha una conferma nella opera di evangelizzazione di Barnaba e Paolo nelle città dell'altopiano anatolico. È lo Spirito Santo che ad Antiochia di Pisidia e a Iconio sostiene l'adesione al Vangelo dei nuovi convertiti nonostante l'opposizione o l'ostilità dell'ambiente.
Grazie a questa coscienza della propria responsabilità suscitata dallo Spirito Santo l'esperienza cristiana si estende e mette radici nei nuovi ambienti culturali. Un ruolo non indifferente in questo processo di crescita della prima chiesa hanno i collaboratori locali e soprattutto alcune donne che animano le comunità domestiche, come Lidia a Filippi e Priscilla a Corinto ed Efeso. Si può dire che il segreto del successo della prima missione cristiana è la fiducia nell'azione dello Spirito Santo che sostiene l'impegno dei singoli e della comunità nell'opera di evangelizzazione. Pur nella diversità di forme e strutture, tutti si sentono responsabili della parola del Vangelo che hanno ricevuto come 'Uno' da comunicare.
Straordinario l'impegno dei laici cristiani di Antiochia.
Anche nella nostra comunità i laici sono attivi in modo ammirevole.
Lo sono meno nella vita sociale e politica, in base al pregiudizio
che la fede sia un affare privato. Fa parte della loro missione
ordinare secondo il Vangelo le realtà temporali; quindi il campo
della loro attività evangelizzatrice è il mondo vasto della politica,
della realtà sociale, dell'economia, della cultura, delle scienze
e delle arti, dei mezzi di comunicazione sociale...
Il catechismo degli adulti
Chiesa e società attendono i laici
Nell'attuale clima culturale, segnato da un marcato soggettivismo, il credente è portato a considerare la religione come un 'affare privato', da conservare nascosto nel sacrario della propria coscienza. Anche tra i cattolici praticanti è diffuso il pregiudizio che la fede sia un problema personale, anzi individuale, qualcosa da vivere in modo privato, muto e invisibile.
In realtà , questo individualismo religioso non ha nulla a che vedere con una corretta concezione della fede cristiana. I cristiani, infatti, grazie al dono dello Spirito Santo ricevuto nel battesimo, appartengono al 'corpo reale' di Cristo che è la chiesa: 'Voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte', scrive Paolo ai cristiani di Corinto. Perciò ciascun cristiano è chiamato a fare dono della sua vita agli altri, a rendere attuale il dono che Cristo ha fatto di se stesso attraverso il proprio servizio nella chiesa e nella società .
Perché i cristiani possano svolgere il loro servizio nella chiesa e nella società , lo Spirito Santo, mediante i sacramenti, dà loro i suoi doni o carismi; scrive ancora Paolo: 'Vi sono diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito. Vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore. Vi sono diversità di attività , ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti'.
I carismi non sono dati perché i cristiani facciano propaganda a se stessi, né per la loro personale gratificazione, ma per l''utilità comune', come afferma san Paolo; cioè, per costruire la comunità ecclesiale, corpo di Cristo, e per edificare un mondo più giusto e fraterno. 'E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito, per l'utilità comune'.
Perciò l'esercizio dei carismi è subordinato alla crescita di tutta la comunità ecclesiale; per questo tale esercizio viene regolato dai 'pastori' della comunità .
Attivi e responsabili nella chiesa
Dopo il concilio Vaticano II nella chiesa è aumentato notevolmente il numero dei cristiani che hanno ricevuto dai pastori il compito di svolgere servizi o 'ministeri' nella comunità ecclesiale: basti pensare al numero rilevante di catechisti laici (in Italia ce ne sono più di 300 mila), agli animatori della liturgia e del canto liturgico, ai cristiani dediti all'assistenza dei fratelli bisognosi, ai membri di consigli pastorali, ai responsabili di associazioni e movimenti ecclesiali.
Data anche la progressiva riduzione del numero dei preti, in futuro si prevede un ulteriore aumento del numero di persone impegnate attivamente e responsabilmente nelle parrocchie. Infatti, il 60 per cento delle attività pastorali, che attualmente sono svolte dal prete, in futuro dovranno essere svolte dai laici.
Ma il coinvolgimento attivo e responsabile dei laici nella vita e nella missione della chiesa non deve essere attuato per la mancanza di presbiteri, né per far sopravvivere la parrocchia come 'luogo di servizi religiosi', bensì come riconoscimento della loro dignità e della loro corresponsabilità nell'edificazione di una chiesa tutta missionaria (Catechismo degli adulti, 538-539).
Infatti, il concilio Vaticano II, affermando che tra tutti i fedeli in forza del battesimo esiste una vera uguaglianza nella dignità e nell'agire, ha chiamato tutti i fedeli - presbiteri, religiosi, laici - a cooperare all'edificazione della chiesa, corpo di Cristo, e alla sua missione evangelizzatrice, secondo le condizioni e i compiti propri di ciascuno. 'Carismi sia umili che eccelsi vengono concessi ai laici sotto molteplici forme', e ciò in vista dell'apostolato. 'Dall'aver ricevuto questi carismi, anche i più semplici, sorge per ogni credente il diritto e il dovere di esercitarli per il bene degli uomini e a edificazione della chiesa, sia nella chiesa stessa che nel mondo'.
Nell'esercizio dei carismi è necessario che i cristiani laici siano preoccupati soprattutto di promuovere la partecipazione ecclesiale di tutti i membri della comunità . In tal modo essi contribuiscono a costruire il 'corpo di Cristo'. In questi anni si sono moltiplicati gli operatori pastorali; questi svolgono preziosi servizi, ma spesso lasciano inattivi gli altri membri e di riflesso rendono 'paralitico' il corpo ecclesiale.
Infine, è di fondamentale importanza che nello svolgimento dei servizi ecclesiali ci sia sempre la carità , che non solo è il carisma più grande, ma è ciò che dà efficacia spirituale ai vari servizi. Così anche il servizio più modesto può divenire il più efficace per il rinnovamento della comunità ecclesiale.
...e nella società
Se è ammirevole l'impegno attivo di tanti cristiani laici nella comunità , non bisogna dimenticare che 'il campo proprio della loro attività evangelizzatrice è il mondo vasto e complicato della politica, della realtà sociale, dell'economia; così pure della cultura, delle scienze e delle arti, della vita internazionale, degli strumenti della comunicazione sociale; e anche di altre... quali l'amore, la famiglia, l'educazione dei bambini e degli adolescenti, il lavoro professionale, la sofferenza' (Catechismo degli adulti, 540). È in questi ambiti che i cristiani laici, oggi più di ieri, devono essere attivi e responsabili.
'Specifica dunque la vocazione evangelizzante dei laici? Non solo specifica: nella situazione storica di oggi essa è provvidenziale. Già agli inizi la chiesa corse il pericolo di chiudersi in un particolarismo giudaico e di rinunciare così al mondo. Nei secoli successivi le tentazioni di chiusura giudaizzante sono stante tante. Oggi, se il laico non si offre, anzi se non rivendica la sua 'efficace e specifica vocazione', c'è un nuovo pericolo di chiusura 'giudaizzante' in una chiesa, che si condanna a restare 'sinagoga', riservata ai preti e a pochi praticanti, anziché diventare fermento nella pasta del mondo' (monsignor Alberto Ablondi).
Quali sono i compiti che i cristiani laici sono chiamati a svolgere nella realtà sociale?
n Innanzitutto quello dell'annuncio esplicito del Vangelo. È necessario che i cristiani laici sappiano rendere ragione della loro fede in tutti gli ambiti della vita e che diventino 'catechisti della strada', capaci di svolgere la loro missione evangelizzatrice soprattutto in quelle situazioni vitali di gioia e di dolore, di speranza e di attesa (nascita, innamoramento, malattia, morte, ecc.), in cui si ripropongono i grandi interrogativi della vita.
n La salvaguardia della dignità di ogni persona e la difesa del diritto alla vita. L'essere umano è un valore in sé e per sé, perché creato a immagine di Dio, reso suo figlio e tempio dello Spirito, destinato alla comunione piena con Dio. 'Tocca ai fedeli laici, che più direttamente, o per vocazione o per professione, sono coinvolti nell'accoglienza della vita, rendere concreto ed efficace il 'sì' della chiesa alla vita umana... I fedeli laici, in questo nostro tempo, sono chiamati ad affrontare, in particolare, la sfida che viene dalle scienze biologiche e dai problemi della bioetica'.
n L'edificazione della comunità degli uomini: dalla salvaguardia e dalla valorizzazione della famiglia alla promozione della solidarietà sociale; dalla partecipazione politica all'animazione culturale. I cristiani laici sono chiamati a vivere dentro la comunità degli uomini e a farsi carico dei problemi del territorio, secondo la logica dell'incarnazione; ad amare le persone così come sono, a saper cogliere il positivo che c'è in ogni uomo; a promuovere relazioni interpersonali nuove e a salvaguardare i valori morali che trovano la loro linfa vitale nella fede cristiana: il primato dell'uomo sul lavoro e sui beni materiali, la stabilità della famiglia, la giustizia, la solidarietà , la pace. l
Non saranno tantissimi i laici che hanno scelto di impegnarsi nel sociale; di quelli che lo hanno fatto più uno lo sta facendo con grande slancio e apprezzabili risultati. Segnaliamo Ernesto Olivero, fondatore del Sermig (Servizio missionario giovani) di Torino, animatore dell'Arsenale della pace. Per questo suo impegno a favore della giustizia e della pace è stato premiato dall'Onu e candidato al premio Nobel.
La testimonianza
L'Ernesto della pace
Trent'anni fa era un giovane torinese sconosciuto; nel 1994 è stato candidato al Nobel per la pace. La vicenda di Ernesto Olivero, cinquantasei anni, padre di tre figli e già nonno, è uno splendido esempio di quello che può fare un laico disponibile a lasciare operare Dio in lui.
A ventiquattro anni, con la moglie e alcuni amici, l'impiegato di banca Olivero sceglieva di combattere la fame nel mondo e di sostenere le missioni nei paesi in via di sviluppo. Il Servizio missionario giovani (Sermig) è nato così, 'per rivoltare la storia verso la pace e la giustizia' e ha mosso i primi passi semplicemente: aiutando i missionari nella realizzazione di pozzi, scuole, ambulatori. 'Scegliemmo il Terzo mondo, lontano, perché là ci sono le più grandi ingiustizie sociali', afferma Olivero.
Ma senza trascurare i poveri di casa nostra. E generazioni di giovani piemontesi, ma anche di altre parti d'Italia, gli hanno dato una mano per realizzare un grande sogno: espandere in ogni periferia del mondo la carità del vangelo e il vangelo della carità . Poveri, carcerati, tossicodipendenti, emarginati, malati di Aids: sono oltre mille i progetti di sviluppo attuati in decine di paesi flagellati dalla fame e dall'ingiustizia. La vocazione di Olivero sembra essere la naturalezza: 'Fin da bambino mi sembrava naturale aiutare gli altri, specialmente i poveri che mi stavano vicino. Sono entrato in modo naturale nella vita della fraternità . Credo che la naturalezza sia la mia vita'.
Il Sermig ha al suo attivo oltre centocinquanta missioni di pace con aerei carichi di viveri e medicinali in nazioni 'a rischio' di guerre e cataclismi. Per le migliaia di 'meninos de rua' salvati dalle strade brasiliane, Giovanni Paolo II ha definito Olivero 'amico fedele di tutti i bimbi abbandonati del mondo'.
Estraneo ai circuiti di potere, nemico della burocrazia mortificante ed ottusa, Olivero organizza i suoi interventi di solidarietà con un gruppo di una cinquantina di amici e collaboratori. Lo sostengono migliaia di giovani volontari attratti dall'idea, ma anche personaggi famosi, conquistati dal suo carisma.
Dal 1963 il Sermig, quasi a voler dare corpo alla profezia di Isaia delle spade forgiate in falci, con il lavoro di migliaia di volontari ha trasformato l'antico Arsenale Militare di Torino nell'Arsenale della pace, luogo dell'accoglienza e della promozione della giustizia. 'Leggendo le parole del profeta pensammo che quelle parole fossero scritte per noi' afferma Olivero. 'In un solo anno sono passate per l'Arsenale oltre settecentomila persone, che hanno pregato con noi, ci hanno aiutato portandoci dei denari e tanti di loro li abbiamo aiutati noi'.
'Diamo lavoro ai carcerati - aggiunge Olivero, - aiutiamo i drogati e gli alcolizzati a uscire dalle loro dipendenze. Abbiamo particolare cura per gli ammalati di Aids, per le donne con un passato di prostituzione. Vi è inoltre un funzionale centro medico dove centosessanta dottori lavorano gratuitamente; un centro di accoglienza notturna ospita fino a duecento persone per notte'.
Ernesto Olivero ha ricevuto diversi riconoscimenti. Torino lo ha insignito della medaglia d'oro per 'alti meriti sociali' che lui considera un riconoscimento ideale a quanti spendono la propria esistenza nell'impegno solidale. Ricorda il vangelo che se un uomo di fede dirà a una montagna di spostarsi, essa lo farà . Ebbene, Ernesto Olivero, uomo 'tra i più coraggiosi del nostro tempo' (è scritto nella Targa europea della pace, consegnatagli nel 1987), 'seminatore di speranza nella disperazione e di dubbio tra eccessive certezze' (ha affermato di lui Norberto Bobbio), si potrebbe dire proprio che fa spostare le montagne o più semplicemente, che ha saputo incarnare nella sua vicenda quotidiana l'utopia cristiana.
L'impegno dei laici nella società
'La chiesa è il segno efficace del regno di Dio che viene nella storia e comincia a salvare il mondo. Fa parte della sua missione ordinare secondo il Vangelo le realtà temporali: famiglia, lavoro, cultura, società . Questo compito viene attuato soprattutto mediante l'impegno dei fedeli laici. Se una certa dimensione secolare è comune a tutti i cristiani, 'è proprio e specifico dei laici il carattere secolare'. Spetta a loro edificare una degna città dell'uomo...' (Catechismo degli adulti, 535).
'Il campo proprio della loro attività evangelizzatrice è il mondo vasto e complicato della politica, della realtà sociale, dell'economia; così pure della cultura, delle scienze e delle arti, della vita internazionale, degli strumenti della comunità sociale; e anche di altre... quali l'amore, la famiglia, l'educazione dei bambini e degli adolescenti, il lavoro professionale, la sofferenza' (Evangelii nuntiandi, 70; Catechismo degli adulti, 540).
La verità vi farà liberi, è la più recente versione del Catechismo degli adulti al quale facciamo spesso riferimento in questi servizi sul giubileo.Ispirato al Catechismo della Chiesa cattolica, espone in forma organica, sistematica e in stile moderno i contenuti della fede e, attraverso opportuni cammini, aiuta anche a viverla.
di Giacomo Panteghini
Il laico: titolare e non supplente
L'attuale stagione ecclesiale è stata, non impropriamente, salutata come l'era dei laici. Anche se, come viene richiamato da questo dossier, resta ancora parecchio da fare perché gli orizzonti aperti dal concilio si traducano in una realtà ecclesiale concreta. La Lumen gentium prospettava una duplice possibilità di azione del laico: una, tradizionale, in aiuto o in supplenza al clero (stile Azione Cattolica preconciliare); l'altra, come espressione specifica della condizione ecclesiale, colta nell'impegno di animazione cristiana delle realtà terrene o consecratio mundi (santificazione del mondo).
La vera novità è evidentemente la seconda, che consegue al riconoscimento esplicito di una missione propria del laico: non delegata o di supplenza, una missione originata dal battesimo e non conferita dalla gerarchia.
La missione del laico
In sostanza il concilio vede il laico come cristiano impegnato nel mondo in forza del battesimo e non di una semplice delega da parte dei pastori. Si impone così la coscienza di un ruolo laicale proprio e distinto da quelli religioso e clericale. Nella Octogesima adveniens Paolo VI precisava: 'I laici devono assumere come loro compito il rinnovamento dell'ordine temporale. Se l'ufficio della gerarchia è di insegnare e di interpretare in modo autentico i principi morali da seguire in questo campo, spetta a loro attraverso la loro libera iniziativa, e senza attendere passivamente consegne o direttive, di penetrare di spirito cristiano la mentalità e i costumi, le leggi e le strutture della comunità '.
I dati sopra riferiti mostrano, invece, un laicato più impegnato nel sostegno della struttura interna delle comunità ecclesiali (catechisti, consigli pastorali, ecc.) che nell'animazione cristiana delle realtà terrene (cultura, economia, politica, impegno sociale, mass media, ecc.).
Questo dimostra che non è stata ancora adeguatamente compresa la rivalutazione della 'secolarità ' (il saeculum o mondo inteso come destinatario della salvezza e portatore di molti germi dell'attesa di questa salvezza, immessi dallo Spirito Santo) operata dal Vaticano II. Quella secolarità di cui parla la Lumen gentium quando afferma: 'L'indole secolare è propria e peculiare dei laici... Per loro vocazione è proprio dei laici cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio'.
Cogliendo con precisione questa consegna, il documento di Puebla, che ha segnato la svolta pastorale dell'episcopato dell'America Latina, ha parlato del laico come dell 'uomo della chiesa nel cuore del mondo' e dell''uomo del mondo nel cuore della chiesa'.
Cristiano nel mondo
Va preso atto che l'etichetta di 'cristiano nel mondo' ha seguito il laico dall'era costantiniana in poi, con conseguenze opposte. Dapprima - nel contesto di una ecclesiologia clericale e di una cultura platonizzante - come un marchio negativo. Ora - nel contesto della moderna cultura -'secolare' e della nuova ecclesiologia di comunione del Vaticano Il - come una qualificazione decisamente positiva, ma non priva di ambiguità . Per superare queste ambiguità l'Apostolicam actuositatem, il decreto conciliare sull'apostolato dei laici, precisa: 'Tutte le realtà che costituiscono l'ordine temporale, cioè i beni della famiglia, la cultura, l'economia, le arti e le professioni, le istituzioni della comunità politica, le relazioni internazionali e cosi via, come pure il loro evolversi e progredire, non soltanto sono mezzi con cui l'uomo può raggiungere il suo fine ultimo, ma hanno un valore proprio, riposto in esse da Dio' (n