Lo spirito di Assisi
Ritorniamo, in spirituale pellegrinaggio, ad Assisi, alla sequela di Francesco: un uomo «povero di spirito», in cui Dio ha voluto manifestare il suo amore per gli uomini e il creato, e nel quale cristiani, membri di altre religioni e non credenti, trovano un singolare testimone dei valori spirituali e un maestro di vita.
Questo mese, abbiamo l'occasione di rivivere lo «spirito di Assisi». La sera del 3 ottobre, infatti, nella Basilica di Santa Maria degli Angeli, restaurata dopo i danni del terremoto del 26 settembre 1997, si commemora la morte di san Francesco. Il giorno dopo, nella Basilica patriarcale che custodisce il suo corpo, ha luogo la solenne celebrazione liturgica, presieduta dall'arcivescovo Piovanelli, cardinale di Firenze, con la presenza del presidente della Repubblica, Ciampi e dei vescovi della regione Toscana, a cui spetta quest'anno l'offerta dell'olio che arderà per un anno davanti alla Tomba del Santo patrono d'Italia. Infine, il 27 ottobre, Assisi accoglie ancora una volta i rappresentanti delle Chiese cristiane e i leader delle grandi Religioni del mondo: un incontro, questo, che fa rivivere la giornata del 27 ottobre 1986, quando la città del Poverello venne scelta da Giovanni Paolo II per una giornata di digiuno e di preghiera a testimonianza dei valori della pace. «La mia mente torna ancora a quella memorabile giornata - scriveva il papa il 22 dicembre 1996 - quando per la prima volta nella storia, i rappresentanti delle grandi religioni mondiali si radunarono assieme per invocare la pace da Colui che solo può darla con pienezza. In quella giornata, e nella preghiera che ne era il motivo e l'unico contenuto, sembrava per un attimo esprimersi, anche visibilmente, l'unità nascosta ma radicale tra gli uomini e le donne di questo mondo».
Lo «spirito di Assisi» richiama l'uomo contemporaneo a manifestare, alla vigilia del Giubileo, l'unità delle genti e lo impegna a promuovere la pace, il rispetto dei diritti umani e i valori del dialogo. Un dialogo che non può limitarsi alle parole, ma esige riflessione, come momento privilegiato per il rispetto di ogni persona; esige la conoscenza della diversa esperienza umana e spirituale dell'altro, non per rinunciare alle proprie radici e convinzioni, ma per trarre da tali esperienze, motivazioni per rivolgersi con maggiore autenticità a Dio, fonte della vita e dei doni che rendono la persona irripetibile. «Io credo che il dialogo interreligioso - scrive Venkatesha Murthy, induista e docente di Matematica all'Università di Pisa , non possa limitarsi a un semplice scambio di parole. Non a caso Gandhi così come san Francesco diceva sempre che la preghiera, momento culmine della giornata, è un grido del cuore con il quale chiediamo a Dio di essere uniti a tutti gli esseri viventi».
La preghiera e il dialogo, in questo spirito, diventano germe fecondo dell'ecumenismo e del rapporto con le grandi religioni del mondo, quali l'ebraismo, l'Islam e le religioni orientali. Nonostante le profonde diversità anche culturali che le distinguono dalla fede cristiana, lo «spirito di Assisi» sospinge gli animi a cogliere dei segni che possono testimoniare l'azione dello Spirito Santo nel piano universale della salvezza. Come non accogliere, infatti, come fatto positivo, l'evolversi delle nostre società sempre più interculturali e multietniche, in cui fenomeni, come il razzismo e l'intolleranza, sono sempre più recepiti come espressioni negative della storia?
Le Chiese cristiane come le grandi religioni sentono il bisogno di dare un'anima alla nostra società interculturale. È allora quanto mai attuale la profetica insistenza di Giovanni Paolo II, convinto che il terzo millennio vedrà realizzarsi il cammino di riconciliazione già intrapreso dalle Chiese cristiane: un tempo che sarà segnato dal dialogo tra le religioni del mondo.